Il bicchiere d’acqua viene fatto scivolare all’altro capo della scrivania. «Lo prenda, beva. È acqua che proviene dai rubinetti di Hinkley». La donna fa per prenderlo, lo porta quasi alla bocca, poi realizza. Lo mette giù, senza pensarci un attimo, e lo allontana da sé. Prendo il telecomando, torno indietro, al punto di partenza. Il bicchiere d’acqua viene fatto scivolare all’altro capo della scrivania. Una donna parla e l’altra allontana l’acqua da sé. Come fosse veleno. Torno ancora indietro, guardo di nuovo.
L’acqua passa da una parte all’altra. La telecamera inquadra il bicchiere. Fermo l’immagine. Sul veleno. Da una parte c’è Erin Brockovich. Dall’altra l’avvocato che difende gli interessi della multinazionale che ha inquinato le falde acquifere e avvelenato l’acqua della cittadina di Hinkley con il cromo esavalente. Faccio in modo che tutto sia in secondo piano. Quello che mi interessa è quel bicchiere di acqua intossicata. Dove c’è un bicchiere di acqua imbevibile c’è sempre una Erin Brockovich che ogni mattina si sveglia con un preciso obiettivo: ottenere giustizia.
Ne ho conosciuti di magistrati e avvocati, pronti ad affrontare la controparte, guardandola negli occhi, mentre fanno scivolare il bicchiere d’acqua nelle loro mani. «Ne beva, è acqua di Sarroch, Cagliari, dove il petrolchimico Saras lascia una scia di scarichi e di malati. Ne beva, è l’acqua delle autobotti, perché a Vaglia, nel Mugello, da quando è stato scavato per costruire i tunnel della Tav, l’acqua non arriva più dalle sorgenti a monte. Ne beva, è l’acqua di Malagrotta, a Roma, dove la discarica più grande d’Europa ammorba l’aria, scivola nel sottosuolo, inquina le falde. Ne beva, è l’acqua di Porto Tolle, a Rovigo, dove gli scarichi industriali hanno fatto impennare le malattie tra i bambini. Ne beva, è l’acqua di Trento. Ha presente quel territorio incontaminato pieno di vallate, montagne e buon vino? Qui le Acciaierie Valsugane hanno emesso fumi nocivi. E hanno mischiato gli scarichi industriali al terreno vendendolo poi ai contadini. Beva, e mangi questi frutti che arrivano da lì».
Ho letto che in Italia si compie un delitto contro l’ambiente ogni 43 minuti, secondo i dati del 2010 del ministero per l’Ambiente. E nei tribunali sono almeno 300 gli eco-avvocati, contando solo quelli del Wwf, oltre mille ore l’anno di lavoro al servizio della società civile, 250 udienze nel solo 2010 per difendere salute e ambiente. È da qui che è partita la ricerca. Mi ha fatto attraversare l’Italia, da Nord a Sud, isole comprese, scoprendo un altro Paese, che è orgoglioso, e che resiste, nel silenzio generale. È stato un bel viaggio, quello che mi ha fatto conoscere da vicino alcune di queste toghe verdi.
Non so se è vero, come ha scritto Erri de Luca nella prefazione, che ho fatto «restauro di coscienza civile della nostra sbracata identità di popolo». Però mi sono divertita tanto. E ho trovato nuovi motivi per continuare a essere italiana e continuare a fare il mio mestiere di cronista: l’ospitalità di uno degli abitanti del Mugello: vino rosso inchiostro, pecorino stagionato e deliziosi pomodori sott’olio prodotti dall’azienda agricola nata lì perché fino a qualche anno fa l’acqua c’era, ed era abbondante.
Le risate al telefono con l’avvocato del Codici quando in un lampo la nostra conversazione è passata dall’inquinamento della falda acquifera di Malagrotta ad argomenti decisamente più frivoli e femminili. Lo stupore e subito dopo la rabbia mentre mi rendevo conto che la chiacchierata con un avvocato cagliaritano era diventata improduttiva. Che lui si stava rimangiando tutto quanto aveva promesso di raccontarmi qualche giorno prima al telefono. E lo faceva mentre arrivava l’odore acre e fastidioso del petrolchimico della Saras a pochi metri da noi. Quella rete di rapporti umani che mi riempie la mail di messaggi d’auguri e di inviti a tornare a Rovigo, a Sarroch, a Firenze, a Trento, e ovunque ci sia un’emergenza ambientale.
Il tramonto sul tetto di un palazzo minacciato dalla supertalpa che tra qualche mese scaverà un inutile tunnel sotto Firenze. E il fremere di fervore civico della gente che abita lì, che ha paura, che conosce la sua città bomboniera palmo a palmo e che si aggrappa ancora alla speranza, al testardo convincimento, di riuscire a bucare il muro di indifferenza e menefreghismo, e a vincere la battaglia, nel nome dei propri figli e del patrimonio storico artistico che non è solo di Firenze, ma di tutta l’Italia. Non so se ce la faranno davvero. Ma mi piace immaginarmi al loro fianco.
Stefania Divertito, Toghe verdi, storie di avvocati e battaglie civili, Edizioni Verdenero