BRUXELLES – Una lettera “segreta” con un diktat all’Italia della Bce, una lista di impegni scritti sotto dettatura di Bruxelles, Germania e Francia che costringono il premier greco a rinunciare al referendum, Juncker che “chiede” un governo di unità nazionale ad Atene, come già fatto con Irlanda e Portogallo. Un quadro che sta portando a un dibattito di fondo che attraversa un po’ tutti i Paesi europei: che fine fa la volontà popolare, il diritto di scegliere dei parlamenti nazionali?
Certo, è vero che siamo tutti nella stessa barca, e che le decisioni dei governi di Atene e Romahanno un impatto su tutti gli altri Paesi, ed è anche vero che appartenere all’Ue comunque implica una cessione di sovranità. Quello che però sta allarmando molti in tutta Europa è il modo in cui questo avviene in un contesto del tutto intergovernativo, che spesso porta a bypassare il Trattato di Lisbona che invece colmava a puntare il deficit democratico riducendo i poteri di veto dei singoli stati e aumentando invece quelli del Parlamento europeo. Non a caso da settimane il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso denuncia proprio questo sviluppo.
Ad una conferenza stampa dell’Eurogruppo, il suo presidente Jean-Claude Juncker si è sentito chiedere da un giornalista se premere per un governo di unità nazionale in Grecia non fosse una «pesante intromissione» nella politica interna di uno stato membro. «Lo abbiamo già fatto con gli altri paesi sotto programma (di aiuti, Irlanda e Portogallo, ndr)» si è limitato a rispondere. «Siamo convinti – ha chiosato il commissario agli Affari economici Olli Rehn – che questa sia l’unica via per ricostituire fiducia e adempiere agli impegni».
Vietato dissentire. Come se non bastasse Juncker, su pressione di Sarkozy e Merkel, ha chiesto anche all’opposizione di sottoscrivere una lettera che vincola tutti i partiti ellenici ad attuare gli impegni presi al summit Ue del 26 ottobre, a prescindere dall’esito delle elezioni. «L’Europa ricatta la Grecia», titolava il Financial Times Deutschland. Non parliamo poi del referendum che aveva prospettato l’ex premier greco Papandreou: economicamente, sarebbe stato oggettivamente un disastro, ma le pubbliche e plateali pressioni di Sarkozy e Merkel non sono state certo un bello spettacolo.
All’Italia non è stato chiesto un governo di unità nazionale, ha spiegato Juncker, perché «non è sotto programma» di aiuti. Ma che ormai anche il Belpaese abbia perso gli ultimi resti di sovranità lo ha già dimostrato la famosa lettera della Bce, a firma Jean-Claude Trichet e Mario Draghi, dell’inizio dell’agosto scorso. Trichet e soprattutto Draghi hanno a lungo imposto che i suoi contenuti non fossero rivelati. Solo dopo alcune settimane, grazie allo “scoop” fatto filtrare al Corriere della Sera, gli Italiani hanno finalmente avuto il bene di conoscere i contenuti di richieste che, pur se effettivamente indispensabili, hanno un impatto diretto su di loro. La limatura della famosa lettera d’intenti portata da Berlusconi al summit del 26 ottobre, sotto dettatura diretta della Commissione europea, è un’altra riprova.
«L’Ue – commenta il quotidiano conservatore tedesco Die Welt – da settimane si impegna, in misura inaudita, nell’opera di strappare sovranità. A voler forzare i toni, si potrebbe dire che l’Ue marcia dentro gli Stati». Nel caso della Grecia «siede al tavolo di governo, spesso non in co-decisione, ma come unica a decidere». È in nuce il cosiddetto «governo economico» dell’Ue, che però, avverte il francese Libération, altro non è che «un direttorio franco-tedesco che impone sempre più brutalmente i suoi punti di vista ai partner, in nome del principio del “chi paga decide”».
Colpiva in effetti sentire Nicolas Sarkozy, al vertice del 23 ottobre, affermare che «noi (lui e Merkel ndr) ci ritroviamo oggi a dover prendere decisioni in favore di paesi per cui non siamo stati eletti». Il problema, avverte ancora il giornale della sinistra francese, è che «questa immissione nei bilanci nazionali si fa al di fuori di ogni processo democratico. Le istituzioni comunitarie (Commissioni e, soprattutto, il Parlamento) sono tenute a margine come i parlamenti nazionali. Certo, questi ultimi sono chiamati in causa, ma solo per ratificare decisioni già prese dal Consiglio europeo». Come anche nel caso del maxiemendamento italiano.