Unicredit chiude il terzo trimestre con svalutazioni senza precedenti, pari a due terzi della capitalizzazione della banca di Piazza Cordusio. Oltre a licenziare i conti relativi ai primi nove mesi dell’anno, il cda della società guidata da Federico Ghizzoni ha inoltre approvato l’aumento di capitale di 7,5 miliardi di euro e il piano industriale che dovrà portare l’unico istituto di credito italiano “troppo grande per fallire” secondo il Financial stability board, a chiudere il 2013 con utile netto pari a 3,8 miliardi, rispetto alla perdita netta di 9,3 miliardi registrata al 30 settembre 2011. Non tenendo conto delle svalutazioni, si legge nella nota diramata pochi istanti fa, l’utile normalizzato avrebbe toccato quota 847 milioni.
Il titolo, partito bene come tutti i listini di Piazza Affari, è virato in territorio negativo fino all’entrata in asta di volatilità (-2,3% teorico) per eccesso di ribasso, fino alla sospensione dalle 14.30 alle 15.20 in attesa della pubblicazione dei dati. Riammesso alle quotazioni, ha lasciato sul terreno alle 15.30 nove punti percentuali.
Andando nel dettaglio, il grosso delle svalutazioni, 8,6 miliardi al netto delle tasse,come recita il comunicato, deriva «da acquisizioni effettuate nel corso degli ultimi anni», in particolare «le acquisizioni delle banche del gruppo in Ucraina e Kazakhstan» sono state totalmente svalutate. «L’effetto finale è la diminuzione dell’avviamentoiscritto in bilancio da 20.244 milioni al 30 giugno 2011 a 11.529 milioni al 30 settembre 2011», si legge ancora nella nota. Le altre svalutazioni «in alcuni investimenti strategici» ammontano a 480 milioni di euro – essenzialmente si tratta della partecipazione dell’8,6% in Mediobanca, pari a 440 milioni – 135 milioni su bond greci, 662 milioni di euro relativi ai marchi Hvb, Bank Austria, Banca di Roma, Banco di Sicilia, buonuscite per il personale di 121 milioni e 100 milioni di attività fiscali nelle controllate Bank Austria e Hvb. Circa 40 milioni sono stati invece originati da svalutazione dell’investimento di 170 milioni in Fon-Sai, anche se la perdita, misurata a valori di mercato è ben più alta. «Rifarei l’operazione», ha rivendicato Ghizzoni, anche se ha dovuto ammettere che «abbiamo dovuto svalutare». «Su un totale di svalutazioni al lordo delle tasse di 10.260 milioni, 9.770 milioni sono voci che non hanno impatto di cassa e quindi non intaccano il calcolo dei ratios patrimoniali», afferma il comunicato di Piazza Cordusio. Crescono anche le rettifiche nette sui crediti (+56,5% rispetto al 30 giugno 2011).
In moderata crescita, sul settembre 2010, il risultato netto di gestione a 2,9 miliardi di euro, grazie a una contrazione delle rettifiche nette sui crediti del 11,8 per cento. Scende anche il margine di intermediazione (-2,5% sul settembre 2010) a 19,1 miliardi di euro, per via della buriana sul mercato del debito sovrano (margini di negoziazione in flessione del 29,4% anno su anno), mentre i costi operativi sono rimasti invariati (-0,5% a/a).
Via libera del cda anche all’aumento di capitale da 7,5 miliardi nell’ambito e della ristrutturazione degli strumenti ibridi Cashes per 2,4 miliardi (sui 3 miliardi) autorizzati da Bankitalia, che aumenteranno da 0,5 a 0,63 euro il valore nominale delle azioni Unicredit. L’operazione, che la banca ha programmato di chiudere entro il primo trimestre 2012, prevede «un raggruppamento di azioni ordinarie e di risparmio basato sul rapporto di una nuova azione ordinaria o di risparmio ogni 10 azioni ordinarie o di risparmio» e sarà garantita da Mediobanca e Merrill Lynch come global coordinator e da un’altra decina di banche, tra cui Ubs, Deutsche Bank, Banca Imi e SogGen come bookrunner (cioè membro del consorzio di collocamento). Non è chiaro in che misura le fondazioni azioniste, che detengono complessivamente il 13% del capitale, sottoscriveranno l’aumento, nè se entro la prossima assemblea straordinaria, il 15 dicembre prossimo, ci sarà un coinvolgimento dei fondi sovrani del Qatar (Qia) e della Cina (Cic).
Per effetto dell’aumento di capitale e del riconoscimento dei Cashes il coefficiente di patrimonializzazione “di qualità” (Tier 1) sarà superiore al 9% (8,74% al 30 settembre 2011) livello richiesto dall’Eba, l’autority bancaria europea che ha indicato in 7,39 miliardi i capitali freschi da reperire per la banca guidata da Ghizzoni, al fine di annullare il rischio-Italia, e superiore al 10% nel 2015. Infine, è stata deliberata la sospensione del pagamento dei dividendi 2011, mentre il cda ha proposto all’assemblea straordinaria «la modifica dello statuto sociale al fine di prevedere la possibilità per il consiglio di amministrazione di proporre agli azionisti di ricevere un dividendo in denaro o in azioni ordinarie della Società oppure misto a scelta del percettore (scrip dividend)». Si prevedono, insomma, tempi duri. «L’attuale situazione sui mercati è paragonabile al fallimento di Lehman», aveva detto il manager piacentino al quotidiano economico tedesco Handelsblatt, lo scorso settembre, e il titolo di Piazza Cordusio è tornato indietro al febbraio 2009, quando il mondo era in piena recessione.
Oltre ai tagli al personale (-8% nel 2012 stimato) e alla liquidazione entro il 2015 dell’80% di 43 miliardi di attività ponderate per il rischio, il piano industriale varato dal cda prevede un ritorno dell’Italia al centro delle strategie del Gruppo, con un aumento dei depositi del 15% in tre anni e un miglioramento del costo del rischio nella concessione dei prestiti. Tradotto: più razionalità nelle erogazioni. Proprio la clientela composta da famiglie e imprese sarà un tassello di fondamentale importanza per far fronte alle esigenze di finanziamento della banca. Come si legge nel piano industriale: «UniCredit ha una notevole capacità non ancora sfruttata per il collocamento di obbligazioni attraverso la propria rete retail». Bond garantiti che verranno emessi per 31 miliardi di euro entro il 2015. Come ha sottolineato l’a.d. Ghizzoni durante la conference call, Piazza Cordusio diventerà «una pura banca commerciale piuttosto che una vecchia banca universale». Sul secondo fronte caldo, quello degli impieghi verso la clientela, il piano industriale prevede che il rapporto, 1,4 volte nel 2010, scenda a 1,2 nel 2015. Le filiali, una delle voci principali di costo nel conto economico delle banche, saranno invece accorpate in “hub” dai quali dipenderanno i classici sportelli. Nessun riferimento esplicito, nel piano, alla chiusura delle attività di trading a Londra, che secondo le indiscrezioni circolate nei giorni scorsi saranno cedute a un diretto concorrente.