A Cuneo il presidente Napolitano non è più il benvenuto

A Cuneo il presidente Napolitano non è più il benvenuto

Andar controcorrente. In un’Italia ormai sulla china del de-Berlusconismo, ecco una provincia che, d’improvviso, si de-Napolitanizza. Addio Giorgio: ci dispiace, ma così non va. E allora via dall’ufficio l’immagine di Re Napolitano. Accade a Cuneo, alla Provincia presieduta da Gianna Gancia, leghista fervente e fidanzata con l’ex ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli. Un gesto semplice ma clamoroso, che esprime «una chiara presa di posizione», come spiega a Linkiesta. Insomma, «è tutto vero», tranne una cosa: «L’interpretazione che hanno dato i giornali». E cioè? «Non è contro l’abolizione delle province», rivela. Ma è «contro il decadimento degli eletti, che si ventilava potesse avere luogo o ad aprile o a novembre nel 2012».

Chi dovesse pensare che la differenza sia sottile, o pretestuosa, sbaglierebbe. «Se il decreto passa, sarebbe stato contro la Costituzione», primo. E poi «l’interruzione di un mandato elettorale», sostiene Gianna Gancia, «è avvenuto solo una volta, tanto tempo fa. Era il ventennio fascista, e la democrazia non stava molto bene». Ecco il perché della rivolta, anche solo simbolica. «Io sono antifascista. E così si rischia di ricalcare un episodio di un periodo storico molto buio».

Antifascista, leghista, ma prima ancora einaudiana, Gianna Gancia è anche federalista e anti-centralista, ma strenua protettrice della Costituzione. Tante (forse troppe) cose insieme. Ora anche anti-Napolitanista. Eppure le leggi (tagli alle Province compresi) sono del governo di Mario Monti. «Sì, ma diciamoci la verità», spiega. «Questo è il governo del Presidente. Sono almeno sei mesi che traffica per mettere Monti, lo sanno tutti». Cioè? «Ha fatto tutto lui, e questo è chiaro, basta leggere le agenzie». Se la si vede così, è naturale che i primi tagli ricadano su capo di Napolitano. E se non sul capo, almeno sulla foto. Autore di un «governo che ha fatto strame degli elettori senza l’utilizzo dei carri armati». Addirittura. «Sì. Pensi solo che nella legge di stabilità del governo precedente (Berlusconi), il Quirinale ha costretto a ripristinare i fondi per l’editoria». Adesso «sembra invece che i tagli ci siano». Insomma, un presidente ostruzionista. Bene che perda il suo piccolo posto alla Provincia (che peraltro vorrebbe abolire).

Ma non è che tanto livore dipende dalla paura, celata, di perdere il posto? «Lo hanno già insinuato in molti, sbagliando». Bene. «Ho due risposte da dare». Meglio ancora. «La prima è che questo provvedimento sulle Province è solo un modo per confondere le persone. Sembra che gli sprechi siano tutti qui. Eppure, il provvedimento non è ancora chiaro. È fumoso, non si sa cosa succederà. Sembra che le vogliano trasformare in enti intermedi, con funzioni di coordinamento. Ma non si sa ancora niente». E poi, concede, «è vero che le Province vanno riorganizzate, soprattutto «perché non hanno funzioni esclusive», ma comunque «non devono diventare un’istituzione di nominati, bensì di eletti». Insomma, un altro caso di «mancanza di rispetto per la democrazia». Ma non basta: Gianna Gancia non manca di notare che «ci sono altri enti che mangiano denaro». L’elenco è lungo: «le prefetture, le nuove società per l’acqua o per il rifiuti». E, ça va sans dire, «il Quirinale. Pensi che costa tre volte Buckingham Palace». Touché.

E la seconda risposta? «Semplice. Io, per due volte, ho rifiutato la candidatura a parlamentare in un collegio sicuro». E perché? «Nel 2001, ho rifiutato perché avevo un figlio piccolo». E poi? «Nel 2006 ho detto no. Vede, mi sarei candidata con la nuova legge elettorale, che, come sa, era stata firmata da Calderoli». Il Porcellum. Meglio di no, «per una questione di eleganza». Nulla contro l’ex ministro, com’è ovvio, «ma non vorrei essere sempre accostata a lui». Cioè? «Cioè, niente “Lady Calderoli”. Guai a lei se lo scrive. Lo trovo sminuente. Non è giusto che mi venga affibbiato questo nome, anche perché non siamo sposati». E poi «è la solita cosa contro le donne di destra, giudicate dipendenti dall’uomo. Io fino a pochi anni fa Calderoli non lo conoscevo nemmeno, e avevo già fatto carriera». Del resto, conlcude, «nessuno si è mai sognato di chiamare la Serafini “Lady Fassino”. O la Lanzillotta “Lady Bassanini”». E allora, per far dimenticare Calderoli, meglio parlare di Napolitano. 

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