Bank of America rischia, gli USA rivivono l’incubo Lehman

Bank of America rischia, gli USA rivivono l’incubo Lehman

A seguirne l’andamento da inizio anno, sembra una banca italiana. Invece Bank of America, che da gennaio ha lasciato sul terreno il 60% del suo valore, è la quarta banca statunitense per capitalizzazione. Anche se, a dirla tutta, l’istituto di credito è stato fondato proprio da un italiano, Amedeo Giannini, che negli anni dopo il terremoto di San Francisco del 1906 fu l’unico in grado di erogare dei prestiti ai cittadini, essendo riuscito miracolosamente a salvare le sue banconote dalle fiamme che distrussero gran parte delle filiali degli istituti di credito nella città americana.

Il titolo, che ieri ha chiuso ai minimi dal marzo 2009, quando non si era ancora affievolito lo sciame sismico causato dal collasso di Lehman Brothers, potrebbe presto aver bisogno di un nuovo bailout. A conferma della situazione piuttosto critica, le voci che arrivano dagli Usa evidenziano le ire di Warren Buffett. Il leggendario oracolo di Omaha, a fine agosto, ha gettato un salvagente a BofA investendo 5 miliardi di dollari attraverso Berkshire Hathaway, per 50mila azioni privilegiate con diritto a un dividendo del 6 per cento, oltre a warrant sull’acquisto di 700 milioni di azioni nel prossimo decennio. Un accordo non a costo zero per la banca guidata da Brian Moynihan, ma nemmeno per Buffett, poiché il prezzo d’acquisto delle nuove azioni è fissato a 7,14 dollari, quando (alle 19.30 di oggi) le azioni quotano 5,15 dollari.

A leggere i giornali americani, i colpevoli hanno nome e cognome: Merrill Lynch e Countrywide Financial. La prima, dopo l’acquisizione pilotata dal Tesoro Usa allora guidato da Hank Paulson, sta soffrendo l’aggravarsi della crisi del debito sovrano in Eurozona, essendo esposta a strumenti strutturati come i Cds – derivati che fungono da polizze assicurative contro il rischio fallimento di un’emittente – sui titoli di debito comunitari. Non è dato sapere a quanto ammontino le minusvalenze: nelle nuove regole introdotte dal Dodd-Frank Act non è infatti previsto l’obbligo di comunicare le posizioni in strumenti derivati, grazie all’efficace azione di lobbying di Wall Street. Come sottolinea Robert Reich, ex ministro del Lavoro nell’amministrazione Clinton e ora professore a Berkeley: «Wall Street ha assicurato o sottoscritto ogni sorta di contratto derivato emesso dall’Europa, se fallisce una banca francese o tedesca, trascinerà anche Wall Street». 

Come funziona il trading dei derivati (Fonte: www.dailybail.com)

Uno scenario che BofA vuole evitare a tutti i costi. Per questo, in seguito al declassamento del merito debitorio da A2 a Baa1 da parte dell’agenzia di rating Moody’s, lo scorso settembre, il top management ha deciso di trasferire, su richiesta delle controparti, gli attivi in derivati in una controllata assicurata dalla Fdic (Federal deposit and insurance corporation), agenzia federale che si occupa di garantire i depositi in caso di fallimento dell’istituto di credito, svuotando così Merrill Lynch dagli attivi più rischiosi. Tradotto: a garantire saranno ancora una volta i contribuenti americani. C’è di più: muovendo i derivati in una controllata, BofA teoricamente può continuare ad utilizzare la finestra di sconto della Fed, che consente di ricevere prestiti a un tasso agevolato (dello 0,75% per il primary e il secondary credit) sia per operazioni di rifinanziamento overnight che della durata di un massimo di 90 giorni.

Il secondo problema si chiama Countrywide Financial, la società attiva nei mutui subprime acquistata nel luglio 2008 per 4,1 miliardi di dollari e protagonista di vari scandali, l’ultimo dei quali conclusosi quest’estate con una multa da 108 milioni di dollari per aver richiesto tassi eccessivi sui mutui a clienti non in grado di pagarli. Le perdite di BofA su mutui dal valore superiore alle abitazioni ipotecate hanno pesato per 20,6 miliardi di dollari sui conti del secondo trimestre 2011, oltre ai 5 miliardi chiesti da Aig per i dati falsi contenuti nelle cartolarizzazioni (mortgage backed securities) vendute per 28 miliardi di dollari. Dealbook, newsletter finanziaria del New York Times, argomenta che la soluzione migliore sia portare i libri in tribunale, essendo Countrywide parte di Bank of America holding, se non fosse che proprio BofA, nell’acquisizione, ha svuotato Countrywide dei suoi attivi integrandola sempre di più con le sue operazioni, molte delle quali effettuate proprio attraverso la banca. Come per i derivati di Merrill Lynch, non si sa l’esatto ammontare delle perdite in seno a Countrywide. 

Secondo quanto rivela a Linkiesta un top manager di un fondo hedge newyorkese, a destare non poca preoccupazione sarebbero i 400 miliardi di dollari di prestiti non cartolarizzati in pancia a BofA, in gran parte ereditati dopo lo scoppio della bolla subprime, e dei quali non si conosce il valore di mercato, la banca avrebbe accantonato soltanto 20 miliardi per coprire eventuali perdite. Le quali, nell’ultima trimestrale, chiusa con utili per 6,2 miliardi, sono ampiamente sottovalutate. Più della metà del piano deliberato nel 2008 dall’amministrazione Bush (Tarp) per mettere in sicurezza il sistema finanziario statunitense, che aveva una potenza di fuoco pari a 700 miliardi di dollari. 

Qualora le cose si mettessero davvero male, quindi, sarebbe necessario un nuovo Tarp. E sarebbe il terzo salvataggio che coinvolge l’istituto di Charlotte, dopo i 25 miliardi di dollari concessi nel 2008 nell’ambito del Tarp, i 20 miliardi del 2009 più 182 miliardi di garanzie federali su mutui residenziali, prestiti e derivati. Ora è tutto nelle mani del segretario al Tesoro Usa, Tim Geithner, che dovrà sbrogliare la matassa in fretta, anche perché BofA è famosa negli Stati Uniti per essere una delle principali banche commerciali del Paese. 

Un nuovo intervento di Washington potrebbe cambiare i contorni delle norme che regolano Wall Street, dopo il sostanziale fallimento del Dodd-Frank Act nell’eliminare l’azzardo morale. Fin dall’inizio della crisi statunitense molti membri del Congresso hanno spinto per una reintroduzione del Glass-Steagal Act, provvedimento del 1933 che separava l’attività d’investimento da quella commerciale, paletto eliminato da Bill Clinton nel novembre 1999. Il presidente Obama, che ha assoldato nella sua squadra economica proprio uno degli artefici della deregulation clintoniana, Larry Summers, ha tentato con la Volker Rule di riprendere alcuni capisaldi di quella legge, introducendo alcune limitazioni al trading utilizzando la liquidità derivante dai risparmi dei correntisti. 

È andata meglio a Londra. Oggi, facendo propri alcuni dei rilievi della commissione presieduta da Sir Vickers, il cancelliere dello Scacchiere George Osborne oggi ha sottolineato la necessità di separare le attività d’investimento da quelle retail. La decisione costerà all’industria finanziaria britannica tra i 3,5 e gli 8 miliardi di sterline l’anno, costi che, ha spiegato Osborne, saranno ampiamente ripagati dai benefici dell’evitare future crisi sistemiche. Londra ha preso un impegno formale nella protezione dei risparmi di chi non c’entra nulla con la finanza. Quando toccherà agli Usa?
 

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