Una provocazione per riequilibrare l’attenzione tra chi ruba alla collettività “in entrata”, pagando meno del dovuto, e chi invece dissipa risorse pubbliche. Ne è convinto Enrico Zanetti, commercialista e direttore di Eutekne.info, che spiega a Linkiesta la sua proposta di trasformare la Corte dei conti in Agenzia delle uscite, per colpire non soltanto l’evasione fiscale, ma anche i numerosi sprechi del settore pubblico in Italia. Con tanto di strumenti per misurare le performance dei manager, evitare parentopoli e sanzionare i comportamenti scorretti.
Stiamo al gioco: come fare a trasformare davvero la Corte dei conti nell’Agenzia delle uscite?
Attribuendole le stesse risorse che lo Stato investe, proficuamente, nell’Agenzia delle entrate: 3 miliardi di euro per strutturarsi, ramificarsi nel territorio e fare pure campagne pubblicitarie contro la corruzione e gli sprechi. Soprattutto attribuendole gli stessi poteri, a cominciare dall’efficacia esecutiva degli atti con cui la Corte dei conti, novella Agenzia delle uscite, quantifica un presunto danno erariale commesso dall’amministratore Tizio, dal dirigente Caio, dal consulente Sempronio o dal falso invalido Mevio: decorsi 60 giorni, pronti via con ipoteche e fermi amministrativi; poi, decorsi inutilmente altri 180 giorni, via con la procedura esecutiva.
E se, come accade spesso con Equitalia, il malcapitato fa ricorso, ritenendo ingiusta la contestazione?
Intanto, paga comunque il 30% della somma richiesta. Se poi un Tribunale, mesi o anni dopo, gli darà ragione, i soldi saranno restituiti. Sarebbe opportuna, inoltre, una bella disciplina dei “posti di lavoro di comodo”, su modello di quella di cui l’Agenzia delle entrate dispone per le “società di comodo”.
E cosa comporterebbe?
Che, in presenza ad esempio di un determinato numero di giorni di assenza per malattia, scatterebbe la presunzione che il pubblico dipendente sia in realtà un lavativo e, pertanto, scatterebbe un ammontare massimo di retribuzione sopra la quale non potrebbe andare, anche se i contratti collettivi prevedessero importi superiori. Naturalmente, come per la disciplina delle società di comodo, andrebbero previste delle cause automatiche di disapplicazione della presunzione e andrebbe comunque consentita sempre la possibilità che il dipendente presenti apposita istanza al Direttore dell’Agenzia delle uscite per dimostrare che, nonostante tutto, non è un lavativo e gli è stato oggettivamente impossibile recarsi al lavoro per cause a lui non imputabili.
Molto aggressivo come meccanismo. E l’Agenzia delle uscite potrebbe anche imporre adempimenti per esigenze di controllo?
Certo che sì, altrimenti che Agenzia sarebbe? Recentemente, per la lotta all’evasione è stato ritenuto indispensabile inserire l’ennesimo obbligo di comunicazione telematica all’Agenzia delle entrate: la comunicazione dei beni dell’impresa assegnati in uso ai familiari dell’imprenditore. Se è così utile, come potrebbe rinunciare l’Agenzia delle uscite a un bell’obbligo di comunicazione telematica delle consulenze e dei posti di lavoro assegnati ai familiari? In parallelo alle imprese, vedrei bene l’obbligo per professori universitari, magistrati, primari ospedalieri e altri alti dirigenti che, guarda caso, si ritrovano in pubbliche amministrazioni nelle quali risultano assunti anche coniugi e parenti.
Per contrastare l’evasione l’Agenzia delle entrate dispone oggi di uno strumento di massa ritenuto molto efficace come il redditometro. Come potrebbe rispondere l’Agenzia delle uscite per tenere il passo?
Con lo “sprecometro”, ovviamente. Uno strumento con il quale stimare le risorse pubbliche dissipate da ciascun politico e dirigente pubblico, lasciando poi a loro l’onere di provare che non è vero. Le stime degli “sperperi fino a contraria” potrebbero essere calcolati, ad esempio, sulla base della durata delle pause caffè e dell’incuria nella pulizia dell’ufficio del singolo accertato, ma pure sulla base di coefficienti statistici elaborati individuando gruppi omogenei di dipendenti pubblici e politici. Anzi, potremmo usare proprio i fattori statistici su cui è strutturato il redditometro: territorialità e composizione del nucleo familiare. D’altro canto è vero che, così come per l’evasione, anche per la corruzione o gli sperperi si può allora dire che in alcune aree territoriali il fenomeno è più diffuso che in altre e che, più uno tiene famiglia, più e lecito presumere che ceda alla tentazione.
È indubbio che, così, si correrebbe il rischio che più nessuno avrebbe voglia di fare il politico, il dirigente o il dipendente pubblico.
Per forza, posto che si sentirebbe considerato malversatore fino a prova contraria e avvertirebbe una totale mancanza di adeguate tutele rispetto allo strapotere di un’Agenzia delle uscite che, per quanto istituzione del Paese votata a fare del suo meglio, sarebbe comunque un apparato burocratico che può sbagliare come tutti. Eppure questa è proprio la realtà con cui oggi devono convivere in questo Paese tutti quei “pazzi” che mandano avanti piccole o grandi imprese e studi professionali, nonostante tutto questo e molto altro sia per loro già realtà. Il punto, sia chiaro, non è diminuire la lotta all’evasione fiscale, ma aumentare quella agli sprechi e alla corruzione. Certamente non istituendo addirittura una Agenzia delle uscite con simili poteri, ma anche smettendo di dire che contro la lotta all’evasione non si è ancora fatto abbastanza, posto che l’Agenzia delle entrate tutti quei poteri ce li ha e deve ora dimostrare di saperli usare per il meglio, come sicuramente ci darà prova di saperlo fare.