Da Alitalia alle frequenze tv: il conflitto di interessi decolla

Da Alitalia alle frequenze tv: il conflitto di interessi decolla

Il ministro Corrado Passera ha dichiarato la settimana scorsa che il sistema aeroportuale italiano va razionalizzato diminuendo il numero degli scali. Secondo Passera, «non si può più andare avanti con la filosofia di un aeroporto in ogni provincia senza avere collegata in maniera adeguata tutta la logistica con porti e aeroporti e ferrovie collegate insieme e non in parallelo come accade ora con i risultati negativi che oggi vediamo. Dobbiamo fare in modo di avere aeroporti, anche pochi, ma grandi centri che possano tenere collegata l’Italia al resto del mondo».

La dichiarazione è meritevole di attenzione da vari punti di vista ma mi concentrerò qui su quello che credo di capire un po’ meglio, ossia quello dello sviluppo economico che, se non erro, dovrebbe essere anche la maggiore preoccupazione del signor Ministro. Non so bene quale sia il modello a cui egli si ispira, né a quali paesi egli guardi; so di certo che – in un paese ad urbanizzazione diffusa come il nostro, con la geografia ed i non-trasporti ferroviari che l’Italia possiede – una rete di aeroporti (magari piccoli, ma economicamente viabili) è diventata, in questi ultimi vent’anni, la maniera migliore per collegare la grande massa dei cittadini italiani al resto d’Europa e del mondo. Non tutti vivono a Roma, Milano, Venezia, Napoli, Palermo e Torino – se non erro, ed in quell’ordine, i maggiori centri di traffico aereo italiano. La maggioranza degli italiani vive in posti simili a Bergamo o a Trieste, a Bologna o a Pisa, ad Ancona o a Bari e forzarli ad usare solo i maggiori aeroporti collegandosi ad essi attraverso un sistema ferroviario e di trasporti pubblici locali fra i peggiori del mondo, vuol dire ridurne in modo drastico la capacità di viaggiare. Se, con la scusa che è vicino a Milano e quest’ultima ha due aeroporti, Bergamo dovesse, per esempio, perdere il suo, i cittadini che vivono in quell’aerea e che ora utilizzano quell’aeroporto sarebbero costretti a raddoppiare e financo triplicare i tempi loro necessari per raggiungere qualsiasi destinazione europea. Ed il tempo, si sa, è denaro.

Non solo: l’Italia, come forse anche il ministro Passera sa, è un paese a cui la geografia e la storia hanno, fortunatamente, lasciato in eredità una grande quantità di piccoli centri naturalistici ed artistici con potenzialità turistiche ancora sottosviluppate. Nella misura in cui permette un afflusso sempre maggiore di turisti provenienti dal resto del mondo la rete di aeroporti provinciali, se propriamente utilizzata, potrebbe essere (ed in parte già è) uno strumento chiave per lo sviluppo economico di tali centri. Ed infine: in Italia da decenni si fanno mille progetti di rafforzamento ed ammodernamento della rete ferroviaria. Ma la realtà dei fatti è che abbiamo il sistema ferroviario più imbarazzante d’Europa, che l’unica tratta che funziona a livelli minimamente decenti è la Milano-Roma e che la penuria di risorse pubbliche a disposizione implica che di fondi per estendere, tanto per dire, l’alta velocità tra Trieste e Torino o fra Venezia e Bari non se ne parla proprio.

Alla luce di questi ed altri ovvi e ben noti fatti, l’unica cosa saggia da fare sarebbe quella di procedere ad una privatizzazione degli aeroporti italiani, trattandoli come le aziende potenzialmente profittevoli che sono e lasciando che competano fra di loro generando, appunto, sviluppo economico diffuso. Dando alla gestione degli aeroporti italiani un quadro regolatorio appropriato e, ripeto, privatizzandone la gestione, si otterrebbe l’unica vera razionalizzazione di cui il sistema ha bisogno: quella che implementa il mercato concorrenziale attraverso la soddisfazione dei cittadini-viaggiatori. Quindi, a che pro e con quale logica il ministro dello sviluppo economico di un governo tecnico che dovrebbe preoccuparsi, da un lato, dell’emergenza e, dall’altro, di avviare quelle riforme strutturali che potrebbero rimettere in moto la macchina della crescita, si preoccupa così tanto di “razionalizzare” (virgolette obbligatorie) il sistema aeroportuale italiano? Si dà il caso che – se si va a guardare la mappa delle destinazioni di Ryanair, Windjet, Easyjet o Blue Express – si scopre che i piccoli aeroporti provinciali italiani sono lo strumento chiave attraverso cui queste compagnie fanno arrivare in Italia milioni di turisti europei e fanno viaggiare milioni di italiani. Chi è il principale concorrente di queste compagnie aeree? Quale banca italiana è fra i principali azionisti di tale concorrente ed ha svolto un ruolo chiave nel suo supposto “salvataggio”? Insomma, cui prodest?

Nella medesima conferenza stampa il ministro Passera ha anche risposto alle domande sempre più pressanti sui criteri e le modalità con cui lo stato italiano assegnerà ai privati i diritti all’utilizzo commerciale delle frequenze per il digitale terrestre. «Stiamo approfondendo il tema», ha detto il ministro allo sviluppo economico. Mi domando cosa ci sia da approfondire, dettagli tecnici delle modalità d’asta a parte i quali sì andrebbero studiati attentamente per massimizzare il rendimento complessivo dell’operazione. Quando hai le difficoltà di bilancio che lo stato italiano ha e devi scegliere fra regalare una tua proprietà di alto valore commerciale – perché in questo consiste il cosiddetto beauty contest che il precedente governo aveva scelto come criterio di assegnazione – oppure venderla con un’asta a chi offre di più, la scelta dovrebbe essere scontata. Ma sembra non esserlo e ci chiediamo perché così sia. Anche in questo caso la domanda del cui prodest sorge spontanea ed ha un’ovvia risposta.

Il conflitto d’interessi è un problema serio che l’Italia patisce brutalmente da due decenni almeno e non ha mai tentato di risolverlo. I suoi costi sociali non consistono tanto e solo nella degenerazione morale della politica e della vita pubblica che esso provoca. Vi sono costi molto più diretti e materiali: il conflitto d’interessi danneggia lo sviluppo economico del paese e fa scempio delle finanze pubbliche. E’ tempo che l’opinione pubblica apra gli occhi sulla questione e che il Presidente del Consiglio decida di affrontarla e risolverla. 

*Department of Economics – Washington University in Saint Louis

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