Le prime voci di dissenso si erano fatte sentire un mese fa, al momento di votare la fiducia al governo Monti. Il presidente dell’Italia dei Valori Antonio Di Pietro aveva dettato la linea del rigore contro l’esecutivo dei banchieri e diversi esponenti del partito avevano preso le distanze. Allora era stato l’ex pm a fare un passo indietro, autorizzando un’apertura al governo. Seppure con riserva. Adesso la scelta di schierarsi all’opposizione – unico partito insieme alla Lega – ha fatto salire il livello dello scontro. E ha già portato alla prima fuoriuscita dall’Idv. Quando domani i dipietristi voteranno contro la manovra Monti, il deputato tesoriere Renato Cambursano si sfilerà. «Voterò a favore del provvedimento – racconta al telefono – perché è una medicina amarissima, ma è l’unica che può salvare l’Italia. Poi, per coerenza, mi dimetterò dal gruppo, dal partito e da parlamentare».
Cambursano lascia l’Italia dei Valori in polemica con Di Pietro. Diversi colleghi avrebbero appoggiato la sua scelta, ma per ora preferiscono non esporsi. La strategia del presidente è chiara: cerca di prendere le distanze dal Partito democratico e dal governo per poter allargare il proprio elettorato. Con particolare attenzione ai tanti simpatizzanti democrat che non hanno digerito il decreto Salva Italia. Una linea nemmeno troppo originale. È analoga a quella che nel centrodestra la Lega Nord sta tenendo nei confronti del Pdl. «Per carità – ammette Cambursano – gli interessi di parte sono legittimi. Ma bisogna guardare al bene del Paese».
Chissà se è d’accordo Massimo Donadi, il presidente dei deputati dipietristi. Ieri mattina per primo aveva aperto all’ipotesi di votare la manovra, apprezzando gli sforzi di Mario Monti. «Le modifiche introdotte sono significative – aveva ammesso – riguardano aspetti non marginali e introducono aspetti di equità». Posizione simile per il senatore Francesco Pancho Pardi. «Di Pietro sbaglia – aveva spiegato in tv – Se l’Idv si attesta su posizioni di forte opposizione è fatale che il Pd si allei con il Terzo polo. Se non ci sarà la possibilità di discutere all’interno del partito, al momento del voto sulla manovra dovrò fare una dichiarazione di dissenso».
Poi, in serata, il dietrofront. Dopo una lunga riunione di partito, deputati e senatori hanno deciso di sostenere la linea del presidente Di Pietro. L’Italia dei Valori voterà contro la fiducia al governo Monti. Ufficialmente nessuno è autorizzato a parlare di scontro. «La riunione di ieri – spiegano dal partito – È stata un momento di confronto assolutamente normale, non c’è stata alcuna tensione». Anzi, la decisione di schierarsi all’opposizione sarebbe stata presa addirittura «all’unanimità». Ma qualcuno racconta un’altra verità. «C’è stata un discussione forte e animata» dice uno dei presenti. Tante le divergenze: durante il confronto alcuni parlamentari hanno proposto di votare la manovra. Altri hanno chiesto – per trovare una convergenza – di potersi almeno astenere.
Alla fine ha vinto la strategia di Di Pietro. Non solo. Durante la riunione l’ex pm non avrebbe gradito i distinguo all’interno del partito. E lo avrebbe fatto capire ai suoi in maniera inequivocabile. «Per quanto ne so io – conferma una persona vicina al gruppo Idv di Palazzo Madama – sulla manovra è stata trovata una linea ufficiale, ma non tutti sono d’accordo». Non è un caso che già lunedì prossimo sia stata convocata una nuova riunione.
Come se non bastasse, nelle ultime ore si è aperto un nuovo fronte interno. I dipietristi rischiano di dividersi anche sul caso Barbato, il parlamentare Idv che nei giorni scorsi ha ripreso con una telecamera nascosta i lavori di Aula e commissioni a Montecitorio. Oggi il presidente della Camera Gianfranco Fini ha chiesto ai questori di avviare un’istruttoria sulla vicenda. Tra i meno entusiasti dell’iniziativa di Barbato ci sarebbero proprio alcuni colleghi di partito. Compreso lo stesso Di Pietro. E questa mattina un cronista ha riportato lo sfogo di Gabriele Cimadoro, parlamentare Idv (e cognato dell’ex pm). «Di Pietro non farebbe mai cose del genere – questo il virgolettato rubato a Montecitorio – è colpa di Barbato: un pezzo di m… e un infame». Stavolta parlare di «normale confronto» è più difficile.