Disaccordo su tutto, l’Europa non si smentisce

Disaccordo su tutto, l'Europa non si smentisce

Nessun accordo per il bailout dell’Europa. La conference call di oggi fra i ministri europei delle Finanze si conclude con un nulla di fatto. L’obiettivo era capire come riuscire a raccogliere le risorse volte ad aumentare la potenza di fuoco del Fondo monetario internazionale. Durante il Consiglio europeo del 9 dicembre scorso si è deciso di fornire il Fmi di ulteriori 200 miliardi di euro, cifra che dovrebbe essere destinata a creare una barriera protettiva per l’eurozona nei prossimi mesi. Tuttavia, il Regno Unito ha rifiutato di contribuire (almeno per ora), mentre la Svezia ha posto il veto nel caso non arrivino i contributi da parte di tutti gli Stati europei. Nel frattempo, il Canada risponde per le rime alla Germania: «Volete aiuti? Trovateveli da soli». La morale è che a malapena si sono trovati 150 miliardi di euro. Solo l’Italia dovrà versare 23,48 miliardi di euro. Troppo, considerando il precario stato di salute dell’economia italiana. 

La teleconferenza di oggi segue l’ultimo Consiglio europeo, che ha visto la spaccatura fra Regno Unito e resto d’Europa sul nuovo patto fiscale Ue. Nonostante dieci giorni di tensione fra Londra, Francia e Germania, oggi è intervenuto anche il Cancelliere dello Scacchiere George Osborne, che ha ribadito la linea del Regno Unito. Il disaccordo è stato elevato. Da un lato gli Stati come Grecia, Portogallo e Irlanda sono chiamati a contribuire per il potenziamento del Fmi. Operazione difficile, se non impossibile, dato il contesto economico che stanno vivendo questi tre Paesi, attualmente sotto il cappello finanziario dell’istituzione di Washington. Dall’altro la Germania, insieme a Olanda e Finlandia, stanno tentennando rispetto a un’immediato esborso della propria quota.

Il risultato è che dei 200 miliardi di euro previsti, ne saranno raccolti al massimo 150. Il progetto di Berlino e Parigi di trovare un accordo sul finanziamento del Fmi è quindi già deragliato. E dire che il monito di Christine Lagarde sul finale della scorsa settimana era stato chiaro: «Il mondo rischia un nuovo 1930». Chiaro il riferimento alla Grande depressione. Con un’Europa sull’orlo di una nuova recessione e a corto di liquidità, Bruxelles si appresta ad affrontare la più difficile congiuntura della sua storia. Un sostegno potrebbe arrivare dal Fmi, ma il ministro canadese delle Finanze, Jim Flaherty, ha un’opinione diversa. «La Germania è un Paese relativamente ricco, come la Francia e diverse nazioni europee. Dovrebbero guardare verso se stessi per risolvere la loro crisi fiscale», ha detto Flaherty, che è anche a capo del Financial stability board. 

Oltre al fondo di salvataggio, c’è poi la questione del nuovo meccanismo europeo di stabilità finanziaria, su cui la Germania sta frenando. Cresce quindi l’incertezza sul fondo salva-Stati permanente, lo European stability mechanism (Esm), che nel prossimo luglio sostituirà lo European financial stability facility (Efsf). Berlino ha già specificato che è «improbabile» che i contributi degli Stati membri avvengano nel 2012. Di fatto, quindi, lo stesso fondo Esm potrebbe essere inattivo fino a quando non ci sarà il completamento di questo passaggio. Un ritardo che potrebbe pesare non poco sulla stabilità della zona euro, specie considerando che il prossimo anno paesi come Italia e Spagna dovranno rifinanziarsi in modo considerevole sui mercati obbligazionari. Roma, secondo quanto spiegato alcune settimane fa dal direttore del Dipartimento del Debito pubblico, Maria Cannata, dovrà scendere sui mercati per 440 miliardi di euro. Tanto, rispetto allo stock complessivo, circa 1.900 miliardi di euro.

Sul fronte valutario, il cross euro-dollaro è rimasto sotto pressione. La moneta unica è scesa nuovamente sotto quota 1,30, salvo poi risalire lievemente. In ogni caso, continuano le prove di resistenza da parte di Cls, la maggiore clearing house del mercato forex. Avviate già da diverse settimane, i risultati dovrebbero arrivare nell’arco di un mese, secondo fonti bancarie vicine al dossier. Intanto, il presidente della Bce, Mario Draghi, parlando di fronte al Parlamento europeo, ha ribadito che «un euro break-up è del tutto impensabile», spiegando anche che l’Europa ha bisogno di misure concrete per mettersi al riparo dalla temporanea instabilità sui mercati obbligazionari. 

Per ora c’è una certezza. L’eurozona nel 2012 vedrà sulla sua strada una serie di ostacoli uno più difficile dell’altro, dalla ricapitalizzazione delle banche alla gestione della crisi ellenica. La prima preoccupazione sarà quella di evitare un collasso, quello dell’euro, che ogni giorno prende sempre più piede. Come ha spiegato oggi la banca statunitense J.P. Morgan «il 2012 vedrà l’eurozona sotto una pressione ancora maggiore rispetto a quella del 2011». Non è difficile crederci.  

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