Don Giovanni, l’uomo che piace alle donne e ai grandi della letteratura

Don Giovanni, l’uomo che piace alle donne e ai grandi della letteratura

Ripreso, modificato, stravolto in infinite varianti: da più di quattro secoli il mito di Don Giovanni affascina e seduce e sarà probabilmente così anche in occasione della prima stagionale del teatro Alla Scala di Milano, dove per la regia di Robert Carsen, il celebre seduttore tornerà in scena ne Il dissoluto punito ossia il Don Giovanni di Lorenzo Da Ponte e Wolfgang Amadeus Mozart.

In Italia seicento e quaranta,
In Lamagna duecento e trentuna,
Cento in Francia, in Turchia novantuna,
ma in Ispagna son già mille e tre

(Il dissoluto punito ossia il Don Giovanni, atto I, scena V, aria n.4)

Se in molti almeno una volta hanno fischiettato la cosiddetta “aria del catalogo”, nella quale Leporello elenca le numerose conquiste del suo padrone, di certo non altrettanti sanno che le versioni del mito di Don Giovanni sono ben superiori alle donne sedotte dall΄ammaliatore sivigliano e che il libretto di Da Ponte non è che una fra le oltre 4000 riscritture. Il genio mozartiano quindi non fu che l΄ennesimo sedotto dalla figura di Don Giovanni, la cui paternità si deve a Tirso de Molina (1579 – 1648), frate e drammaturgo madrileno, attivo durante il siglo de oro.

Don Giovanni è un nobile rampollo, un giovane la cui unica occupazione consiste nell΄escogitare sempre nuovi travestimenti e inganni per sedurre e abbandonare malcapitate fanciulle, senza alcun timore di dover un giorno pagare per questo suo comportamento. Il vero peccato di Don Giovanni però non sta nel suo comportamento irrispettoso, bensì nel pensare impunemente che come con la giustizia terrena, dove forte dei suoi privilegi riesce sempre ad avere la meglio, anche con quella divina potrà al momento opportuno trovare un modo per salvarsi.

Tirso volle fare di lui una figura estremamente carismatica, che spingesse il pubblico a sognare di potere essere come l΄impunito e seducente Don Giovanni per poi lanciare con ancora più forza il suo monito: non c΄è nessuno che possa salvarsi davanti al giudizio di Dio. Il successo del Burlador de Sevilla (questo il titolo tirsiano, ndr) fu tale che ben presto iniziarono a fiorire numerose versioni della storia, ma ben poco rimase della riflessione sul rapporto con Dio che costituiva invece una componente fondamentale dell΄opera.Le avventure amorose del conquistatore ebbero la meglio,come provano le parole di Carlo Goldoni, che non poté mai leggere l΄originale spagnolo, ma solo alcune rielaborazioni:

Tutti conoscono quella pessima commedia spagnola che gli italiani chiamano Il Convitato di pietra e i francesi Le Festin de pierre. L΄ho sempre vista, in Italia, con orrore e non riuscivo a capire come una tale farsa avesse potuto sostenersi così a lungo, attirare la gente in folla e fare le delizie di un paese civile

Goldoni scelse di scriverne una sua versione per dare maggiore dignità a un copione cha aveva riscosso un così ingiusto successo. Non furono solo questioni stilistiche, ma anche di cuore a motivare il suo lavoro: il commediografo veneziano volle infatti umiliare con le risate del pubblico un΄attrice che l΄aveva tradito con un altro attore della compagnia, trasponendo le sue stesse vicende personali in quelle vissute dai personaggi della commedia.

Ragioni ancora diverse spinsero all΄opera Molière, che sul finire della stagione teatrale del 1664-1665 si trovò a dover coprire un buco improvviso nella programmazione: il suo Tartuffe, commedia di dura critica verso l΄ipocrisia e l΄impostura, fu fortemente osteggiato dai cattolici francesi che ottennero la censura dell΄opera. Per sostituire velocemente lo spettacolo al commediografo francese serviva quindi un testo di successo, che non intaccasse il suo prestigio -e tantomeno gli incassi- e che gli permettesse di difendersi dalle accuse ricevute. Chi meglio dunque di Don Giovanni, l΄ingannatore dai molti travestimenti, per celare sotto mentite spoglie Tartufo?

In tutta fretta lavorò anche Lorenzo Da Ponte, che per il suo componimento si ispirò proprio all΄opera goldoniana. Incalzato dal committente e contemporaneamente impegnato in altri due libretti, Da Ponte scrisse Il dissoluto punito in sessantatrè giorni, giovandosi per la stesura soltanto «di una bottiglietta di tockai, un calamaio, e una scatola di tabacco di Siviglia» come lui stesso ricorda nelle sue memorie. Forse per il poco tempo, forse per i numerosi impegni, resta il fatto che la versione del librettista italiano si ispirò alla versione più convenzionale del mito e ben poco sarebbe rimasto della potenza di Don Giovanni senza l΄intervento di Mozart, che così scrisse nelle sue lettere:

I poeti mi sembrano quasi dei trombettisti, con quei loro virtuosismi. Se noi compositori volessimo seguire così fedelmente le regole (…), la musica che scriveremmo varrebbe tanto poco quanto i loro libretti

Da qui la scelta del musicista austriaco di non scrivere una musica che accompagnasse il libretto traducendolo in note, bensì una melodia che lo scardinasse introducendo contrasti e dissonanze. La contrapposizione fra testo e musica restituì alla figura di Don Giovanni, ridotto a poco più che uno “sciupafemmine”, quella sua cupa grandezza e quel suo ergersi contro tutti e soprattutto contro Dio, che ne avevano decretato nei secoli l΄elevazione a mito.

La rappresentazione di Don Giovanni della foto è stata realizzata dallo scenografo Stefano Mancini.

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