E ora l’authority europea invita le banche a rischiare troppo

E ora l'authority europea invita le banche a rischiare troppo

115 miliardi di euro. È questa la cifra di cui hanno bisogno le banche europee. Gli ultimi stress test condotti dall’European banking authority (Eba), l’organismo di vigilanza bancaria europeo, hanno riportato alla luce le esigenze di liquidità degli istituti di credito Ue. Ma dato che il mercato interbancario sta soffrendo sempre più, i capitali possono essere difficili da reperire per diverse banche. Ecco quindi che può arrivare un aiuto dai Cocos, cioè i Contingent convertible capital bond, obbligazioni convertibili in azioni una volta scattato un preciso evento. Nel dicembre di due anni fa la Banca dei regolamenti internazionali li bocciò, considerandoli «troppo imprevedibili». Eppure, oggi è la stessa Eba che ricorda alle banche che per ricapitalizzarsi possono usarli.

I Cocos non sono una novità, né per l’Europa né per l’Italia. Già nel luglio 2009 sono stati utilizzati da UniCredit, anche se non avevano ancora quel nome. Con l’emissione di un bond ibrido da circa 500 milioni di euro capace di impattare sul capitale Tier 1, con tasso fisso del 9,375%, la banca di Piazza Cordusio si è posta come una delle più innovative su questo piano, seconda solo alla banca inglese Lloyds Tsb, prima a usare tali strumenti. La stessa operazione è stata poi compiuta da Intesa Sanpaolo, che in settembre ha emesso l’equivalente dei Cocos per circa un miliardo di euro. Poi sono arrivate i grandi collocamenti, come quello di Credit Suisse, che nel febbraio di quest’anno ha immesso sul mercato Cocos per 2 miliardi di dollari il 14 febbraio e per 6 miliardi di franchi svizzeri, finiti nel portafoglio del Qatar Holding e del Olayan Group.

Per garantire una finestra di liquidità, l’Eba ha permesso alle banche europee di utilizzare Cocos. Nello specifico si tratta di Buffer convertible capital securities (Bccs). Nome diverso, stesso prodotto. Per essere accettati dall’authority i Bccs devono essere dei bond ibridi perpetui Tier 1 e devono essere emessi entro il 30 giugno 2012. La conversione da obbligazione ad azione avviene una volta che il Tier 1 cala fino a quota 7 per cento, fissata secondo i parametri di Basilea III. In questo caso, la banca e il regolatore nazionale possono decidere di fermare il pagamento delle cedole delle obbligazioni e avviare il processo di conversione. È questo il meccanismo del bail-in, attraverso il quale il rafforzamento patrimoniale avviene con mezzi interni e non con fondi statali.

Secondo uno studio di Standard & Poor’s nel prossimo decennio saranno emessi Cocos per 1.000 miliardi di euro. Una cifra immensa, confermata anche da uno studio di Barclays e uno di Ubs. La banca elvetica, tuttavia, ha diverse volte messo in guardia l’industria finanziaria europea dall’utilizzo di questi strumenti. Il suo ex numero uno, Oswald Grübel, nello scorso marzo affermò che «i Cocos sono davvero troppo rischiosi». In particolare, Grübel era intimorito dalle implicazioni sistemiche che un crollo di questo mercato avrebbe potuto causare. «Potrebbero creare un effetto domino capace di mettere a dura prova la resistenza delle banche che li hanno utilizzati», disse il banchiere di Ubs. Non è difficile pensare il contrario. Dato che il meccanismo di conversione dei Cocos è legato a un evento (trigger) sul capitale Tier 1, può crearsi una spirale letale per la banca. Se un istituto di credito vede scendere il proprio Tier 1 sotto il trigger, può far scattare la conversione dei Cocos, che da obbligazioni diventano azioni ordinarie. In questo caso l’obbligazionista perde quello status e diventa azionista, con la possibilità di vendere immediatamente i titoli di cui è entrato in possesso, per evitare ulteriori rischi. In questo caso, la banca finirebbe con l’affondare sempre più.

I rischi collegati all’utilizzo dei Cocos sono ben noti. In una lunga ricerca di Andrew Haldane, direttore esecutivo della stabilità finanziaria per la Bank of England, aveva ricordato che l’uso di questi strumenti finanziari poteva creare diversi problemi di stabilità sistemica. Inoltre, per la loro specificità strutturale, sono potenzialmente capaci di creare squilibri nella governance delle banche che li emettono. Eppure, complice l’attuale scenario interbancario, non sembrano esserci altre soluzioni rispetto ai Cocos.

Chi sta guardando con particolare attenzione ai nuovi Cocos, ovvero i Bccs, sono le banche italiane. Secondo fonti de Linkiesta, sia UniCredit sia Banca Monte dei Paschi di Siena stanno pensando di utilizzare questi strumenti al fine di esonerare le fondazioni azioniste dal compito di provvedere al piano di ricapitalizzazione dell’Eba. Da un lato in questo modo si potrebbero soddisfare le richieste dell’authority, ma dall’altro il pericolo è che possa innescarsi la miccia di una miscela esplosiva per il nostro sistema bancario, già ampiamente sotto pressione. Del resto, i timori non sono nuovi. Nel dicembre 2009 la Banca dei regolamenti internazionali aveva affermato che i Cocos sono strumenti «troppo imprevedibili per essere incoraggiati dalle authority di vigilanza». Un monito rimasto inascoltato.  

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