Immaginate che siano indette le elezioni. Al mattino presto arrivano ai seggi soprattutto quelli abituati ad alzarsi presto (per esempio i muratori). Appena dopo, arrivano soprattutto quelli abituati a prendersela con relativa calma (per esempio gli impiegati). Infine, verso il primo pomeriggio arrivano soprattutto quelli che hanno da fare anche durante i fine settimana (per esempio i dentisti che giocano a golf). Immaginate che i primi votino a sinistra, i secondi al centro e che i terzi siano liberali. Naturalmente, ci sono anche i muratori che votano tardi e liberale, e i dentisti che vanno prima al seggio e poi al campo di golf e che votano a sinistra. Ma assumiamo che in maggioranza i muratori votino presto e a sinistra e dentisti tardi e liberale. Le stesse assunzioni valgano anche per gli impiegati che votano al centro.
Che cosa succede ai voti? Al mattino prestissimo – quando votano soprattutto i muratori – la sinistra ha molti voti in assoluto e in percentuale. Questi voti diventano relativamente meno importanti quando più tardi arrivano gli impiegati, che votano al centro. La sinistra ha perciò più voti in assoluto – altra gente di sinistra è andata a votare – ma scende come percentuale. I voti della sinistra e del centro aumentano ancora come numero assoluto – di nuovo altra gente di sinistra e di centro è andata a votare – ma scendono come percentuale quando arrivano i voti dei dentisti liberali.
Man mano che il tempo passa le percentuali di voto dei tre schieramenti si stabilizzano. Passa il tempo, arrivano nuovi elettori, ma le percentuali restano sostanzialmente invariate. Si ha perciò un andamento come questo: i voti di ogni singolo partito come percentuale dei voti totali nella primo arco temporale salgono verticalmente. Arrivano al picco, ossia intorno alla percentuale finale, e da quel punto in poi non salgono più come percentuale, anche se aumenta l’affluenza e quindi il numero assoluto dei voti. (Per questa ragione quando si guarda alla Tv una tornata elettorale, da un certo punto in poi si sa chi ha vinto. Le sorprese possono esserci solo se i voti presi sono circa dello stesso ammontare assoluto. Che è quel che è avvenuto in Italia nel 2006, quando Berlusconi sembrava che avesse vinto, ma poi perse per una manciata di voti).
Dunque abbiamo un’ascesa verticale verso il picco percentuale, e una discesa verticale dal picco percentuale. Abbiamo una distribuzione simmetrica (una distribuzione a campana o distribuzione di Gauss). Questo avviene e in linea logica e in via empirica. Quando non abbiamo una distribuzione simmetrica – il voti per un partito non salgono più da un certo punto in poi, nonostante l’affluenza cresca – allora dobbiamo pensare ad altre possibilità. Queste: 1) I voti di un partito arrivano tutti insieme all’ultimo momento. Un evento possibile, ma remoto: è come assumere che una mano invisibile abbia trattenuto milioni di persone con la stessa idea politica dall’andare a votare in modo casuale nel corso della giornata. 2) Ci sono dei brogli. Le schede con i voti già segnati emergono furtivamente nei seggi, quando quelli che pensavano di vincere molto si accorgono che hanno preso pochi voti.
Un fisico russo – Serghei Shpilkin – ha spulciato i voti per le elezioni alla Duma di qualche giorno fa (1). Li ha studiati statisticamente – ossia senza alcun giudizio di merito politico. Il risultato è che i voti del partito di Putin – Russia Unita – curiosamente salgono, man mano che l’affluenza sale. Lo si può vedere nel grafico sopra. Un evento remoto, o qualche cosa d’altro? Come che sia, Shpilkin ha fatto un altro conto. Quali sarebbero state le percentuali se tutti i partiti avessero raccolto i voti come da dottrina ed esperienza empirica – ossia secondo una campana di Gauss. Tutti i partiti – a esclusione di Russia Unita – avrebbero avuto gli stessi voti. Russia Unita avrebbe avuto la metà dei voti (16 milioni) rispetto a quanto ha ufficialmente preso (32 milioni). Tutti i partiti ex-Putin avrebbero raccolto insieme circa circa 32 milioni di voti e Russia Unita circa 16.