Mediobanca dà, Mediobanca toglie. Sono passati dieci anni da quando, sotto l’incalzare degli avversari (Fiat, Edf, Intesa, Sanpaolo, Banca di Roma) che scalavano la Montedison, Piazzetta Cuccia consegnò nottetempo la Fondiaria all’ingegner Salvatore Ligresti, che poi la fuse con la Sai.
Dieci anni dopo, Mediobanca ha suonato il fischietto di fine corsa per la famiglia Ligresti: l’istituto guidato dal duo Renato Pagliaro (presidente) e Alberto Nagel (amministratore delegato) è preoccupato per la tenuta di un gruppo stremato dalle perdite e verso cui è esposta con un prestito subordinato di 1 miliardo di euro. Il 2011 della compagnia assicurativa si chiuderà con una perdita netta stimata «nell’intorno di euro 925 milioni, ferma restando la natura stimata e provvisoria del dato», spiega la società (qui il comunicato ufficiale). Il patrimonio netto è sceso sotto le soglie minime di vigilanza, mettendo a rischio la tutela degli assicurati. Ma anche i conti della stessa Mediobanca, visto che la sua posizione è per definizione postergata a quella degli altri creditori.
Piazzetta Cuccia è tornata così a dettare la linea su Fondiaria, che è sempre stata nella sua orbita di influenza: e l’ordine è di ricapitalizzare massicciamente. Anche se per i Ligresti questo comporterà una marginalizzazione nella compagine azionaria della società. Anche se, proprio per questa ragione, i Ligresti hanno tentato fino all’ultimo di resistere, proponendo un piano alternativo di dismissioni per fare cassa. Ma la gravità della situazione non consente più di prendere tempo, anche se le vendite di cespiti restano comunque in agenda.
Le stime preconsuntivo presentate al consiglio sono allarmanti. Sulla perdita miliardiaria pesano svalutazioni complessive per 1,3 miliardi, fra cui i maggiori accantonamenti a riserva tecnica per il pagamento dei sinistri nel ramo danni (660 milioni). Ma ci sono anche svalutazioni del portafoglio azionario e obbligazionario (circa 350 milioni), svalutazioni di avviamenti per 120 milioni e svalutazioni, peraltro non definitive, di 165 milioni sul patrimonio immobiliare, riguardo al quale si attende l’esito delle perizie. Si è anche deteriorato il margine di solvibilità, ossia il patrimonio libero in eccedenza rispetto agli impegni con gli assicurati. L’indice che lo misura, e che misura dunque la capacità di far fronte ai rischi assunti verso gli assicurati, era previsto vicino al 120% per la fine di quest’anno. Invece a fine settembre si è attestato al 111% e via via è scivolato, sotto i livelli di guardia (100%) previsti dalla normativa vigente. Fon-Sai è dunque al momento senza adeguata copertura patrimoniale: una condizione che ha messo in grado allarme l’Isvap, l’autorità di vigilanza del settore, tornata a farsi viva con due ispezioni in casa Ligresti negli ultimi 12 mesi, dopo anni di assenza.
Il consiglio di amministrazione di Fon-Sai ha deliberato quindi un aumento di capitale compreso fra un minimo di 600 milioni e un massimo di 750 milioni contro una capitalizzazione borsistica di 300 milioni. È il secondo aumento quest’anno, dopo l’operazione da 450 milioni di giugno – più altri 350 sulla controllata Milano Assicurazioni. Risorse che però sono state bruciate dalle svalutazioni finanziarie (218 milioni) e dagli accantonamenti (339 milioni) per i risarcimenti agli assicurati emersi nel terzo trimestre. A traghettare la società fuori dall’emergenza e verso nuovi assetti proprietari sarà ancora una volta Mediobanca, incaricata di promuovere un consorzio di garanzia per la sottoscrizione dell’aumento di capitale «presso primarie istituzioni bancarie».
Il nodo prezzo. Sia per l’andamento economico generale e la volatilità dei mercati finanziari sia per la condizione specifica della compagnia, l’operazione comporta un elevato grado di incertezza per le banche che costituiranno il consorzio di garanzia per l’aumento. È probabile perciò che le azioni di nuova emissione vengano offerte con uno sconto elevato sul Terp (prezzo teorico dopo lo stacco dei diritti di opzione). Sono circolate ipotesi di un prezzo di emissione di 0,35 euro (la metà delle quotazioni correnti), che implicherebbe uno sconto sul Terp del 15 per cento. Troppo poco, forse, rispetto ai rischi che comporta una sottoscrizione dell’aumento. Ipotizzando uno sconto più ampio (intorno al 27%), si potrebbe arrivare a un prezzo di emissione di 5 centesimi. Vendendo parte dei diritti, i Ligresti potrebbero sottoscrivere una piccola parte, diluendo la partecipazione detenuta via Premafin al 10% del capitale post-aumento. Altra liquidità arriverà con il perfezionamento a gennaio della vendita per 25,7 milioni di tutti i diritti detenuti nell’iniziativa immobiliare milanese Porta Nuova Varesine, ceduti a prezzo di carico a un fondo della Hines Italia Sgr.
L’operazione dovrà essere eseguita a stretto giro, entro marzo. Le indiscrezioni circolate fin qui segnalano l’indisponibilità dei Ligresti a versare risorse proprio nell’aumento. D’altra parte, le due holding della famiglia – Premafin ha il 35% di Fon-Sai, e Sinergia ha il 10% di Premafin – sono fortemente indebitate, ciascuna per oltre 300 milioni. Dopo Mediobanca, la banca più esposta verso le due società è Unicredit, che ha credito per circa 400 milioni, garantiti dai pegni sulle partecipazioni di Sinergia in Premafin, e di quest’ultima in Fondiaria. L’istituto di Piazza Cordusio ha anche sostenuto l’aumento di capitale di giugno, sborsando 170 milioni per rilevare il 6,6%, quota che oggi vale circa 20 milioni. Di recente, l’amministratore delegato Federico Ghizzoni ha lasciato aperta la possibilità di un nuovo intervento. Per ragioni di antitrust, invece, Mediobanca non potrà impegnare stabilmente delle risorse nel capitale di Fon-Sai: l’istituto è infatti azionista di riferimento delle Assicurazioni Generali, numero uno del settore in Italia.
Chi potrebbe allora entrare nella compagine azionaria? Fonti vicine all’operazione indicano che si lavorerà alla costruzione di un nucleo di azionisti, per lo più finanziari, per accompagnare la fase di ristrutturazione e rilancio della compagnia, mentre la destinazione finale verrà decisa in un secondo momento, con una cessione a un grande operatore internazionale del settore interessato a entrare in Italia, o con la fusione con un assicuratore italiano (Unipol o Cattolica, per esempio). Il fondo di private equity Clessidra non ha negato interesse all’iniziativa, altri esteri potrebbero intervenire. Secondo quanto risulta a Linkiesta, sono stati sondati il gruppo De Agostini e anche la Exor, la holding della famiglia Agnelli. Proprio ieri, la Exor ha venduto la controllata Alpitour ai fondi chiusi che fanno capo a Wise Sgr e J. Hirsch & Co al prezzo di 225 milioni, realizzando una plusvalenza di 140 milioni.
In caso di partecipazione all’aumento Fon-Sai, per gli Agnelli si tratterebbe di un ritorno a una vecchia passione: il gruppo Fiat, infatti, fino al 2003 controllava la Toro (poi ceduta a De Agostini, e da questa alle Generali). Non solo. Alla fine del 2001, quando la vendita di Fondiaria ai Ligresti era stata bloccata dall’Isvap, la Fiat si era fatta avanti e tramite la controllata Toro si era proposta per rilevare un pacchetto del 24,4% della compagnia. Le contromosse dei Ligresti, grazie all’intervento dei “cinque cavalieri bianchi” (Mittel, Commerzbank, Francesco Micheli, Interbanca, Jp Morgan), bloccarono l’operazione. Con quale esito, lo si vede oggi. La domanda è se stavolta Mediobanca riuscirà a trovare mani più sicure cui affidare il futuro di Fondiaria e a tagliare un cordone ombelicale che continua a sussistere mentre è al tempo stesso socia di riferimento del principale concorrente di Fondiaria-Sai.
Twitter: @lorenzodilena