I nuovi italiani, figli di immigrati, che lo Stato non riconosce

I nuovi italiani, figli di immigrati, che lo Stato non riconosce

Nato da madre bolognese e padre ghanese, Fred Kudjo Kuwornu è un giovane regista italiano. Nel 2002 ha firmato il suo primo cortometraggio, Natale in Autogrill. Cinque anni dopo viene scelto da Spike Lee per lavorare come assistente sul set di Miracolo a Sant’Anna. L’incontro con Lee ispira Kuwornu a dirigere e produrre il docu-film Inside Buffalo, sulla storia dei Buffalo Soldiers, i soldati afroamericani che durante la Seconda Guerra Mondiale combatterono in Toscana e Liguria al fianco dei partigiani. Il lavoro è stato premiato come migliore documentario al Black International Cinema Festival di Berlino. Al momento Kuwornu sta promuovendo il suo ultimo lavoro: 18 Ius Soli, sui cosiddetti immigrati di seconda generazione. Un documentario nato dalla «scoperta che i figli di immigrati nati in Italia non vengono immediatamente riconosciuti come cittadini italiani». Kuwornu era invece convinto che «accadesse come negli Stati Uniti, dove chi nasce sul suolo americano acquisisce automaticamente la cittadinanza». Il documentario ha vinto l’edizione 2009 del Premio Cinematografico Gianandrea Mutti, un’iniziativa – prima del suo genere in Italia – organizzata dall’associazione Amici di Giana, che facilita l’accesso ai fondi per le produzioni cinematografiche dei nuovi cittadini; dei cineasti immigrati residenti in Italia, insomma, che si trovano in una situazione di particolare difficoltà poiché viene loro spesso negato l’accesso ai fondi statali del loro Paesi di origine, in quanto non più residenti, e allo stesso tempo sono esclusi dai finanziamenti del Ministero dei Beni Culturali perché non di nazionalità italiana.

Fred, cosa significa 18 Ius soli?
Diciotto sono gli anni della maggiore età che permettono a un ragazzo di origine straniera, ma nato in Italia, di fare richiesta per ottenere la cittadinanza, mentre ius soli è il diritto di cittadinanza basato sulla nascita in un determinato Stato e non sulla discendenza, come invece prevede lo ius sanguinis, attualmente vigente nel nostro Paese. Per girare il documentario sono entrato in contattato con lʹassociazione Amici di Giana, che ogni anno realizza un bando per finanziare film o documentari di autori stranieri residenti in Italia, che non possono accedere ai fondi del ministero dei Beni Culturali. Così ho pensato di unire le due cose e di girare un documentario (guarda il sito) su quei ragazzi che, pur sentendosi italiani e vivendo da sempre qui, non sono riconosciuti come cittadini.

Quale potrebbe essere una buona soluzione per il nostro Paese?
Ci sono varie proposte di legge a riguardo, fra queste la cosiddetta Sarubbi-Granata, che prevede la concessione della cittadinanza ai figli di immigrati che risiedono stabilmente in Italia da almeno cinque anni e che quindi dimostrano di volere rimanere nel Paese. Sarebbe un grande passo avanti se si pensa che oggi, invece, un ragazzo nato qui deve aspettare di compiere 18 anni prima di poter fare richiesta di cittadinanza.

Quali sono i problemi che incontrano questi giovani?
C’è un forte disagio dovuto al non essere riconosciuti come italiani, pur sentendosi tali essendo nati e cresciuti qui. Molti di questi ragazzi non hanno mai visto il Paese di provenienza dei genitori e non parlano altra lingua che la nostra, eppure sono costretti a girare con il permesso di soggiorno e ad attendere la maggiore età per potere avere la cittadinanza. Ci sono anche tanti altri problemi legati alla vita quotidiana, come ad esempio la necessità di ottenere visti e documenti dai Paesi di origine della famiglia, semplicemente per andare in gita all’estero con i propri compagni di scuola, o l’impossibilità di accedere a concorsi pubblici o di essere iscritti a determinati albi professionali fino a che non si è entrati in possesso della cittadinanza, che comunque non viene concessa automaticamente al compimento della maggiore età, ma attraverso una richiesta scritta ed entro il compimento dei 19 anni.

E se la richiesta non perviene entro i 19 anni?
Allora il ragazzo è considerato come un qualsiasi cittadino straniero che fa domanda di naturalizzazione. L’iter burocratico è molto più complesso, senza contare che lo Stato non tiene conto del percorso di vita svolto nel Paese fino a quel momento e la sua domanda è equiparata a quella di un qualsiasi altro cittadino immigrato, magari giunto in Italia da pochi mesi.

Cosa dovrebbe cambiare?
Bisognerebbe iniziare a considerare questi ragazzi per quello che sono, ovvero delle risorse per la crescita del Paese: sono nati qui, hanno studiato qui, non si possono trattare come casi di immigrazione, con tutti i costi che tra l’altro questo comporta dal punto di vista burocratico, ma dobbiamo valorizzare l’immenso potenziale che rappresentano per lo sviluppo. L’Italia ha rapporti commerciali con i loro Paesi di origine, perché non sfruttare la loro presenza per rapportarci al meglio con queste realtà?

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Ultimamente si sente molto parlare di “quote rosa” crede che si potrebbe pensare anche all’introduzione di quote “straniere”?
Penso che si dovrebbe introdurre semplicemente un parametro di meritocrazia, così non avremmo alcun bisogno di fare quote, né rosa, né gialle, né nere. La meritocrazia genera inclusione e quest’ultima, anche nei Paesi da sempre più multiculturali, più che su motivazioni per così dire filantropiche, si basa su ragioni economiche, sull’opportunità offerta da questo variegato potenziale. 


Com’è entrato in contatto con i protagonisti di 18 Ius soli?
Ho pensato che il modo migliore per trovare storie da tutta Italia fosse quello di mettere degli annunci, dei post su siti e pagine di social network legate ad associazioni da sempre vicine al mondo degli immigrati. Questo mi ha permesso di raccogliere più di 150 testimonianze, dopo di che ho scelto le 18 voci per il documentario.

Ed è sempre attraverso le associazioni che stai distribuendo il tuo lavoro.
Sì, 18 ius soli è uno dei primi esempi di documentario grass-root (nato dal basso, ndr) in Italia. Questo significa che non viene diffuso partendo da canali tradizionali come televisione e cinema, ma da realtà che sono più a diretto contatto con il pubblico stesso, come appunto associazioni o biblioteche. Chiunque voglia può organizzare una proiezione. Ora abbiamo raggiunto anche un accordo con le regioni Emilia Romagna e Toscana per presentare il documentario nelle scuole.

Esiste anche un sito ed è in programma il lancio di un premio.
Vorrei creare è un vero e proprio movimento, una campagna sociale che coinvolga e sensibilizzi i cittadini. Sul sito www.sononatoqui.it, che stiamo per lanciare, vorremmo raccogliere altre storie come quelle del documentario, fornire indicazioni utili a chi deve chiedere la cittadinanza e parlare delle varie proposte di legge sul tema, al momento ancora ferme in Parlamento. Con il premio invece vorremmo mettere in luce quelle realtà che forniscono una corretta rappresentazione della società, dove gli immigrati non sono solamente simbolo di malessere e insicurezza, ma parti integtranti del sistema Italia.

Dopo 18 Ius Soli su cosa si sta concentrando?
Sto lavorando a diversi progetti: I am, sulla storia della lotta per i civil rights in America, Paisan Soldiers, sul contributo degli italoamericani durante la Seconda Guerra Mondiale e poi un altro documentario dedicato alle storie di eccellenza di immigrati in Italia: imprenditori, liberi professionisti, medici… Fra i sogni nel cassetto c’è poi anche quello di raccontare la storia di Mario Balotelli. Credo sia emblematica.
 

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