“Tempus venit” e la ’ndrangheta si ripresenta in Valle D’Aosta. L’operazione eseguita dal Comando dei Carabinieri di Aosta e dalla Procura, coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Torino, con la collaborazione della procura di Bologna e delle forze dell’ordine calabresi, ha portato al fermo di quattro persone che sarebbero riconducibili alla criminalità organizzata calabrese. Così il 20 dicembre quella che sembrava (più avanti diremo perchè “sembrava”) un’isola felice fuori dalle mire delle mafie si risveglia con una inchiesta che dimostra l’esportazione del pizzo da parte della ’ndrangheta anche in terra valdostana.
L’accusa è di tentata estorsione in quanto magistratura e polizia hanno deciso di intervenire preventivamente per evitare conseguenze più gravi per l’imprenditore coinvolto. «Ti diamo tempo fino al 20 dicembre. Da quella data in poi tu e tutti i tuoi prossimi, congiunti, figli e nipoti dovete fare molta attenzione perché può capitarvi qualche gravissimo incidente». Questo il contenuto della lettera, indirizzato al costruttore edile Giuseppe Tropiano, che ha convinto i Carabinieri a intervenire. Guido di Vita che ha coordinato l’azione dei Carabinieri, nel corso della conferenza stampa di mercoledì presso il Tribunale di Aosta, ha affermato senza dubbio che «se non fossimo intervenuti, Tropiano sarebbe andato incontro a morte certa». Gli arrestati, Giuseppe Facchineri, Giuseppe Chemi, Michele Raso e Roberto Raffa, riconducibili alla cosca Facchinei, sono accusati quindi di tentata estorsione ricoprendo vari ruoli nella vicenda che vede coinvolto l’imprenditore Tropiano: Facchineri e Chemi avrebbero chiesto più volte denaro al costruttore per la ristrutturazione dell’ex residence Mont Blanc, a partire dal maggio 2011. Nel settembre 2011, dopo le fiamme a un escavatore, l’imprenditore denuncia le richieste dei due, che avrebbero voluto per sé il 3% sull’appalto del Mont Blanc da 30milioni di euro. Roberto Raffa è considerato dagli inquirenti il basista, mentre Raso, autotrasportatore, fungeva da tramite tra l’accoppiata Facchineri-Chemi e Tropiano.
L’indagine non si ferma a questi quattro arresti, fanno sapere il procuratore capo di Aosta Marilinda Mineccia e il capo della Direzione Distrettuale Antimafia di Torino Sandro Ausiello, l’obiettivo è quello di portare alla luce altre estorsioni non denunciate. Un particolare che non sfugge dall’inchiesta è la scelta del Tropiano di non rivolgersi direttamente ai Carabinieri per fare denuncia, ma di ricorrere prima al tentativo di mediazione con Facchineri e Chemi tramite i fratelli Raso, che gli inquirenti fotografano come «personaggi di notevole spessore e caratura criminale» e «legati alla criminalità mafiosa di origine calabrese». La mediazione non va a buon fine e il chiaro segnale sono gli spari contro la casa del fratello dell’imprenditore a San Giorgio Morgeto (Reggio Calabria). Tra escavatori bruciati, alte richieste di denaro a fini estorsivi, lettere minatorie e intimidazioni, la Valle d’Aosta scopre l’export del pizzo delle ’ndrine nell’attività edilizia.
Eppure di mafia in quella piccola regione popolata da 130mila persone – e guardacaso dei Facchineri – si parlava già negli atti della Commissione parlamentare antimafia con materiale raccolto dalla magistratura tra l’ottobre del 2002 e il novembre del 2003. Nella relazione della Commissione parlamentare del 2004 si leggeva «la presenza mafiosa più significante è rappresentata sempre da famiglie calabresi, in particolare quelle dei Nirta e dei Facchineri, che mantengono stretti contatti con le maggiori cosche della ’ndrangheta operanti in Piemonte ed in Calabria». L’allora presidente della giunta regionale, ex senatore Carlo Perrin, come nei peggiori film, si affrettò a dichiarare che in Valle D’Aosta «non abbiamo manifestazioni tangibili dell’operatività di organizzazioni criminali di tipo mafioso».
Tuttavia magistratura e forze di polizia negli anni hanno messo di nuovo nero su bianco la presenza di cosche legate ad alcune delle famiglie più importanti di ’ndrangheta in regione. In alcuni rapporti investigativi, risalenti sempre al biennio 2002-2004, si notava come le cosche di San Giorgio Morgeto, luogo di provenienza comune per Facchineri e l’imprenditore Tropiano, avrebbero un “locale di servizio”, cioè un gruppo di persone disponibili all’appoggio logistico e all’ospitalità dei latitanti. Uno degli investigatori appuntò anche che questo “locale di servizio” raccoglieva denaro presso gli imprenditori della Valle per il sostentamento di detenuti e latitanti. Pista chiusa con l’arresto del boss Luigi Facchineri, anche perchè disse l’allora questore di Aosta, Luigi Proietti «chi aveva offerto il proprio contributo è rimasto del tutto sconosciuto». Proietti rivelò addirittura che questa raccolta di aiuto presso alcuni imprenditori della Valle era «più a titolo di solidarietà tra persone vicine a esponenti delle cosche» e non una vera e propria forma estorsiva.
In Valle D’Aosta non si può dimenticare poi la presenza del Casinò, meta sempre ambita dalla criminalità organizzata come centrale di riciclaggio. Verso la fine degli anni ’90 a Saint Vincent furono uccisi due presta-soldi, i cui casi rimasero irrisolti. Omicidi che secondo un pentito non sarebbero delitti di mafia, in quanto le organizzazione criminali calabresi manterrebbero il Casinò «zona franca non sottoposta al tradizionale predominio e controllo territoriale, per consentire a tutti di utilizzare il Casinò come meglio avessero voluto».
Fatto sta che tra il 2007 e il 2009 sono almeno tre gli arresti che avvengono alle porte della casa da gioco di Saint Vincent. Un uomo poi arrestato per usura che prestava soldi per giocare al 3.000% e due esponenti della ’ndrangheta in Lombardia, pregiudicati, mentre si accingevano a giocare al Casinò. Casa da gioco di frontiera che ha visto transitare anche i denari dei corleonesi vicini al boss Nicola Mandalà, accusato di aver gestito gli ultimi anni di latitanza di Bernardo Provenzano e già condannato per reati di mafia. Secondo gli inquirenti il gruppo di Mandalà avrebbe riciclato tra il 2001 e il 2005 una decina di milioni di euro. Il casinò di Saint Vincent è risultato estraneo al riciclaggio anche in seguito alle segnalazioni dei dirigenti dello stesso casinò, che avevano notato cambi di fiches non autorizzati e presentato relazioni proprio sui movimenti di personaggi vicini al gruppo di Mandalà. Rimasero implicati anche tre dipendenti del Casinò poi assolti. Successivamente il casino de la Vallèe istituì una commissione interna proprio in seguito all’indagine della dda di Palermo per accertare eventuali responsabilità dei dipendenti. Fu il presidente del Casinò Moreno Martini a comunicarlo, ma di quella indagine interna non si conosce il risultato.