BRUXELLES – «A dire il vero, non si capisce perché ci sia bisogno di fare un nuovo trattato, quasi tutto questo è già stato deciso in ambito Ue e sta per entrare in vigore». Era giovedì notte, quando, dopo lo strappo di David Cameron, gli altri 26 leader stavano trovando un accordo sul nuovo trattato per rafforzare la disciplina di bilancio. Il commento di un diplomatico, quello che citiamo, era il classico grido «il re è nudo». Perché per una vasta parte delle misure propagandate soprattutto da Angela Merkel come la grande svolta non c‘è alcun bisogno di un nuovo trattato: sono state già decise, dopo un lungo negoziato tra Parlamento Europeo e Consiglio Europeo, a settembre scorso. Ed entrano in vigore proprio oggi, 13 dicembre 2011. Si tratta di quel che in gergo bruxellese viene chiamato «Six Pack», perché consta di sei normative Ue, valide dunque per tutti e 27 gli Stati membri.
Non a caso il commissario agli Affari economici e monetari Olli Rehn ieri definiva il Six Pack «un cambiamento radicale nella sorveglianza sui bilanci di tutti i paesi europei». La Commissione, anzitutto, è nettamente rafforzata. Finora, qualsiasi raccomandazione di Bruxelles a sanzione di uno sforamento, ad esempio, della fatidica soglia del deficit al 3% del pil, doveva essere approvata dal Consiglio a maggioranza qualificata. La nuova governance ribalta tutto: la maggioranza qualificata sarà necessaria per bloccare la raccomandazione. Tradotto: per gli Stati è ora molto difficile stoppare – come fecero Germania e Francia nel 2003 – una procedura a loro carico. Questo sistema della «maggioranza invertita» si ritrova, come grande svolta, pari pari nelle conclusioni del summit della scorsa settimana. Oltretutto il Six pack prevede che il voto dovrà avvenire entro 10 giorni, altrimenti la raccomandazione andrà avanti automaticamente. L’automatismo tanto amato da Berlino dunque non è nato giovedì notte.
Tra le altre misure delle normative da oggi in vigore figurano ammende più forti: per chi abbia già sforato, è previsto l’obbligo di versare un deposito non fruttifero pari allo 0,2% del Pil. In caso di persistente inadempienza il deposito si trasformerà in vera e propria ammenda. Altra novità – del Six Pack, non del futuro nuovo trattato – è che ora sarà possibile aprire una procedura d’infrazione anche per il solo sforamento del parametro del debito pubblico massimo al 60% del Pil. I Paesi che hanno un’esposizione superiore, dovranno provvedere a una riduzione pari a un ventesimo della quota eccedente ogni anno per tre anni. Anche questo si ritrova nelle conclusioni del vertice della scorsa settimana. Il Six Pack prevede comunque un periodo di transizione fino al 2015, visto oltretutto che 24 stati membri su 27 sono già sotto procedura.
Non basta, il nuovo pacchetto di governance comporta proprio quello stretto coordinamento economico strombazzato dalla Merkel al vertice dell’8-9 dicembre. Anzitutto, le nuove normative impongono di correggere eccessivi squilibri macroeconomici nei vari settori, per i quali saranno fissate soglie di riferimento. In caso di mancata azione di correzione, scatta un’ammenda pari allo 0,1% del Pil. In più, esso dà una base giuridica molto più forte al Semestre Europeo – avviato per la prima volta quest’anno – che obbliga gli Stati a presentare a Bruxelles, per approvazione, entro aprile i rispettivi programmi di stabilità e di riforme nazionali, in attesa del “verdetto” a giugno.
Che cosa rimane, allora, di nuovo al summit? Si può citare la regola deficit strutturale non superiore allo 0,5%, nuova è anche la Golden Rule, l’obbligo di inserire il pareggio di bilancio nelle Costituzioni, e nuovo è il potere di controllo della Corte di Giustizia Ue. Fuori dalla disciplina di bilancio, nuovo è l’anticipo al 2012 del meccanismo permanente di Stabilità (Esm) e il passaggio al voto a maggioranza qualificata dell’85% (salvo un no finlandese) per le decisioni del suo board, nonché l’eliminazione dell’obbligo della partecipazione dei privati a futuri salvataggi.
Davvero pochino per giustificare un intero nuovo trattato, che oltretutto, essendo extra-Ue, comporterà non pochi problemi giuridici nell’utilizzo delle strutture comunitarie e segna una svolta in senso nettamente intergovernativo. I legulei comunitari dovranno spremersi le meningi per arrivare a un testo presentabile a marzo, il tutto con gli inevitabili, difficilissimi mercanteggi a 26. Per non parlare del rischio referendum non solo in Irlanda, ma anche in Olanda e forse anche in Repubblica Ceca. C’è da stupirsi se i mercati sono davvero poco entusiasti della cosiddetta «svolta» del summit?