Libertario e anti statalista, Ron Paul non ha chance contro Obama

Libertario e anti statalista, Ron Paul non ha chance contro Obama

Lo scorso 9 novembre, giorno in cui Rick Perry ha affossato definitivamente la propria corsa alla Casa Bianca ammettendo che “oops”, non ricordava le tre agenzie federali che abolirebbe da Presidente degli Stati Uniti, a fianco del governatore del Texas, durante il dibattito con gli altri concorrenti repubblicani, c’era Ron Paul, il quale, di fronte all’imbarazzo di Perry, gli faceva segno che in realtà erano cinque le agenzie che aveva promesso di eliminare, mandandolo in ulteriore confusione.

Eroe libertario con una vita intensa alle spalle, il 76enne Ron Paul difficilmente andrà a sfidare Barack Obama alle prossime elezioni: i sondaggi al momento gli accreditano un 8%, lontano sia da Newt Gingrich (23%) che da Mitt Romney (21%), ma in compenso il suo trend è rimasto pressoché lo stesso negli ultimi mesi mettendosi alle spalle la pasionaria Michelle Bachmann e il repubblicano di nome e non di fatto John Huntsman.

Un anno fa, mentre negli Usa esplodeva la polemica sui controlli di sicurezza negli aeroporti tramite i body scanner e si rincorrevano le immagini di bambini che venivano perquisiti da capo a piede prima di prendere il volo, costretti anche loro come i genitori a levarsi i vestiti di dosso, Paul prese parola al Congresso e dichiarò: «Mi sono trovato qui molte volte negli ultimi anni a criticare la terribile politica estera che abbiamo avuto, la terribile politica monetaria, l’eccessiva spesa pubblica, il debito e la politica fiscale, ma quello che stiamo facendo e quello che stiamo accettando e sopportando all’aeroporto è così simbolico del fatto che noi non ci facciamo valere e non diciamo “quando è troppo, è troppo”».

Se i diritti sanciti dalla Costituzione sono gli elementi da difendere strenuamente -e tra questi quello di possedere un’arma da fuoco-, lo Stato è l’avversario da combattere. Paul si oppose al Patriot Act voluto dall’amministrazione Bush dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 e vede come fumo negli occhi qualsiasi provvedimento centrale in materia di pena di morte (alla quale si oppone), istruzione e matrimonio. Oltre che la riforma sanitaria progettata da Obama: nessun intervento federale, che siano le dinamiche del libero mercato a determinare la diminuzione dei prezzi.

Nato a Pittsburgh, Pennsylvania, il 20 agosto 1935, si è laureato in medicina alla Duke University e ha prestato servizio come chirurgo nell’esercito, arrivando al grado di capitano tra il 1963 e il 1965 e in seguito, fino al 1968, nella Guardia nazionale. Dismessa la divisa, si è dedicato all’attività di ginecologo e ben presto è cominciata la carriera politica all’interno del Partito repubblicano, fatta salva la parentesi nel Libertarian Party, per il quale ha concorso alle Presidenziali del 1988, raccogliendo 431.000 voti (lo 0.47%). Rientrato nei ranghi del GOP (Grand Old Party, ndr), oggi rappresenta il 14° distretto del Texas alla House of Representatives, mentre suo figlio Rand è al Senato per conto del Kentucky, sulla scia della marea Tea Party montata nel corso delle ultime midterm elections.

È fortemente “pro-life”: l’esperienza come medico lo ha convinto che la vita cominci nel momento del concepimento e che il governo federale deve accuratamente evitare di regolare la materia. Ha criticato il Civil Rights Act del 1964 e la legge contro la discriminazione razziale, che dal suo punto di vista rappresenterebbe l’ennesima interferenza federale nel mercato del lavoro, con il risultato di aver reso meno armoniose le relazioni razziali. «Leave me alone» è il motto che pare farsi largo ogni volta che Paul prende parola sui temi caldi, compresa la politica estera: «Israele è in grado di cavarsela per conto proprio», ha ribadito nel dibattito repubblicano sulla sicurezza nazionale. Ed è ora che i soldati americani tornino a casa.

Tanto i vertici democratici quanto quelli repubblicani non lo tengono in grande considerazione: la stessa strategia adottata con Gingrich, prima che quest’ultimo balzasse in testa tra i favori dell’elettorato, superando il favorito Romney. La campagna elettorale di Paul si riassume in un manifesto nel quale il piano di battaglia è più chiaro che mai: «Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono, poi tu vinci». I primi tre obiettivi sono stati raggiunti, manca l’ultimo e probabilmente rimarrà spuntato. Ma il concetto rimane.
 

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