L’Onu ci crede: “la povertà può essere sconfitta nel 2015”

L'Onu ci crede: “la povertà può essere sconfitta nel 2015”

Sconfiggere la povertà entro il 2015 «è possibile», questo almeno secondo il rapporto delle Nazioni Unite “Millenium Development Goals report 2011”. Secondo il segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon, «da oggi al 2015 dobbiamo assicurarci che le promesse fatte siano mantenute». Le linee di intervento che vanno dalla espansione dell’educazione scolastica alla lotta contro la mortalità infantile all’accesso all’acqua potabile, secondo le Nazioni Unite, «hanno aiutato molte persone a uscire dalla povertà».

Quasi dodici anni fa, era stata firmata la “Dichiarazione del Millennio e aveva fissato otto grandi obiettivi, dalla riduzione della povertà all’aumento della scolarizzazione e delle condizioni igenico-sanitarie. Nel report di questi giorni però non vengono specificati alcuni elementi di distorsione. Ad esempio molti dei buoni risultati ottenuti dal continente asiatico sono dovuti alla forte crescita cinese (un aumento costante del 10 per cento dal 1990). E l’aumento delle entrate da esportazioni, in molti casi è alterato a causa dell’inflazione. 

Gli aiuti che vengono effettivamente corrisposti sembrano mancare di equità sociale, come nel continente africano, dove molti investimenti stranieri aumentano sì le entrate del paese, ma ad esse è collegato un aumento sostanziale delle disuguaglianze a causa della corruzione presente. A conferma di questo, il Gini index (che misura le disuguaglianze di reddito) registra i valori più alti proprio in Africa.

Secondo Giovanni Carbone, docente presso l’università Bocconi e ricercatore presso l’istituto per gli studi di politica internazionali (Ispi) i segnali sono incoraggianti, sopratutto «il netto miglioramento non solo asiatico ma anche dell’Africa sub sahariana: infatti 3 o 4 anni fa si era molto più scettici riguardo alla sconfitta della povertà». Proprio nella condizione generale del continente africano «qualcosa sta cambiando. Anche se il 2015 rimane un obiettivo ambizioso qualcosa si è messo in moto, come testimoniano gli alti tassi di crescita registrati negli ultimi 7 anni. Sicuramente non si è più in una fase di stallo». Carbone sottolinea anche l’importanza dell’intervento delle Nazioni Unite soprattutto nei processi di peace keeping che hanno ottenuto notevoli risultati negli ultimi anni sopratutto nei processi di democratizzazione.

Ma è possibile sconfiggere la povertà entro il 2015? Lo schema conclusivo, dopo tante parole ottimistiche, fa sorgere dei dubbi. Nel pagellone, l’Onu colora di verde tutto ciò che ritiene raggiunto o raggiungibile entro il 2015 ma gran parte degli obiettivi è stato raggiunto solo in Nord Africa e Asia centrale, cioè la Cina. Critica e molto grave, rimane la situazione dell’Africa sub sahariana, del sud est asiatico e dell’America latina. E ormai al 2015 mancano solo 3 anni.

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Porre termine all’estrema povertà e fame

 


Raggiungere l’istruzione primaria universale

 


Promuovere la parità dei sessi e l’autonomia della donna

 


Ridurre la mortalità infantile

 


Migliorare la salute materna

 


Combattere Hiv/Aids malaria

 


Garantire sostenibilità ambientale

 


Creare una partnership mondiale per lo sviluppo

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Porre termine all’estrema povertà e fame

La crescita economica nei paesi in via di sviluppo, nel periodo fra il 1990 e il 2005, è rimasta sostenuta e ha consentito una riduzione del 27 per cento delle persone che vivono con meno di un dollaro e 25 centesimi al giorno. Nel mondo però ci sono circa 1 miliardo 400 milioni di persone sotto questa soglia, quasi un quarto della popolazione mondiale. La povertà va di pari passo con la fame: eliminarla è un obiettivo ancora lontano dall’essere raggiunto, ben di più rispetto all’aumento di reddito disponibile pro capite. I dati dimostrano che la percentuale delle persone che muoiono di fame è rimasta invariato dal 2005 nonostante una significativo aumento delle persone che vivono ora con più di un dollaro e 25 centesimi al giorno. Nel mondo circa 800 milioni di persone soffrono la fame e, scrive l’Onu, «seguendo questo trend e alla luce della crisi economica che ha implicato un aumento del prezzo delle commodity, sarà difficile raggiungere l’obiettivo prefissato per il 2015».

Percentuale di persone che vivono con meno di 1,25 dollari al giorno

Raggiungere l’istruzione primaria universale 

Il tasso di istruzione sta migliorando in tutti continenti e nell’istruzione primaria, facendo una media, si è passati dal 7 per cento del 1990 al 89 per cento nel 2009. I migliori risultati si sono registrati nel l’Africa sub-sahariana: nel continente vi è stato un aumento dell’educazione primaria del 18 per cento negli ultima anni. Per raggiungere il target fissato per il 2015 servono ancora miglioramenti e i problemi non mancano. Il rapporto parla di carenza di fondi dedicati a questo obiettivo: solo il 2% di tutti gli aiuti umanitari a livello globale è dedicato all’instruzione.

Percentuale di bambini che ricevono un istruzione primaria

Promuovere la parità dei sessi e l’autonomia delle donne

Dati alla mano, la parità fra generi è ancora lontana. Il divario più grande rimane all’interno delle amministrazioni pubbliche, specialmente per quanto riguarda le cariche elettive. Si stima che le donne ricoprano solo il 19.3 per cento dei seggi nei parlamenti a livello mondiale. Dopo l’inizio della primavera araba nel 2010, nel 2011 i dati mostrano una rappresentanza femminile che è passata dal 9 al 11,7%. In Italia, la presenza di donne a livello parlamentare è ferma al 21,3 per cento.

Parità fra generi ed educazione, confronto fra il 1998-99 e il 2008-2009

Ridurre la mortalità infantile

Ridurre la mortalità infantile si dimostra ancora davvero difficile, sopratutto in Africa. A oggi circa un bambino su otto nell’Africa sub-sahariana muore prima dei 5 anni, mentre una percentuale superiore al 18% sopravvive rispetto nelle altre regioni in via di sviluppo. Gradi progressi sono stati raggiunti nel sud-est asiatico dove il tasso di mortalità si è ridotto del 40 per cento. Due sono le principali cause della mortalità infantile: la prima è sono malattie come malaria, diarrea e polmonite mentre la seconda è la malnutrizione.

I punti su cui agire sono diversi. L’educazione dei genitori risulta davvero fondamentale: lo studio dimostra che le famiglie che vivono in zone rurali e con un tasso di scolarità minore hanno un tasso di mortalità infantile tre volte superiore alle famiglie che hanno ricevuto qualche grado di istruzione.

Incidono, su questi scarsi risultati, gli scarsi fondi destinati all’educazione e la disparità di educazione tra uomini e donne. Un basso investimento nell’educazione coincide con un mancato raggiungimento dell’obiettivo, di cui infatti non viene garantito il superamento nei prossimi tre anni.

Mortalità infantile (sotto i cinque anni) confronto fra 1990 e 2009

Migliorare la salute delle madri

Il tasso di mortalità infantile, pur rimanendo alto, è controbilanciato da un miglioramento nel grado di salute delle madri. Il tasso di mortalità materna ha registrato una diminuzione del 34% negli ultimi venti anni, dal ‘90 al 2000, passando da 440 decessi (su un campione di 100 donne) a 290. Il miglior risultato è stato ottenuto ancora una volta nel Sud Est asiatico e Nord Africa, con una diminuzione del 40 per cento del tasso di moralità materna. Rimane indietro l’Africa sub sahariana dove la riduzione delle morti fra le madri è calata del 14% in meno rispetto alle altre aree che hanno fatto registrare miglioramenti più consistenti.

Va considerato che, per la maggior parte dei casi, le morti sono evitabili. I dati dimostrano che la maggior parte dei decessi aumenta in relazione al numero di figli, alla scarsa istruzione e alla disparità di condizione fra i sessi. Nell’analizzare miglioramenti e difficoltà in questo campo, va registrata anche la notevole riduzione degli aiuti destinati alle famiglie. Dal 2008 al 2009 si è registrata infatti una diminuzione del 2 per cento rispetto agli aiuti destinati alle politiche familiari negli anni precedenti.

Mortalità delle madri, confronto fra 1990, 2000 e 2008 (in giallo l’obiettivo dell’Onu)

Combattere l’Hiv/Aids, la malaria ed altre malattie

L’ Hiv rappresenta ancora il flagello che aveva caratterizzato gli anni ’90. Tra il 2004 e il 2009 il numero di morti per Aids è diminuito del 19 per cento. Questi progressi nascondono però una sostanziale differenza tra le regioni: il tasso diminuisce in Africa e Asia però rimane pressoché inalterato nell’Europa del est e Nord America.

La riduzione del tasso di contagio del virus è da ricercarsi nell’aumento della distribuzioni di antivirali: il numero di persone che ricevono antivirali come cura contro HIV o AIDS è aumentato del 13 per cento. Come risultato il numero di morti causate da queste malattie è sceso del 19 per cento. Nel 2009, ancora 33.3 milioni di persone combattevano contro il virus, un aumento del 27 per cento rispetto al 1999. Anche in questo caso l’Africa sub-sahariana rimane la regione più colpita, con il 69 per cento di infezioni.

L’educazione sessuale è l’unico rimedio per assicurare una via di uscita. I dati dimostrano però una forte mancanza di comprensione da parte delle popolazioni dei mezzi per la prevenzione al HIV e AIDS e una carenza nella diffusione del uso del preservativo.

Incidenza dell’Hiv

Garantire la sostenibilità ambientale

Questo obiettivo stenta a essere rispettato a causa della trappola malthusiana: da un certo punto in avanti, all’aumentare della popolazione la quantità di risorse pro-capita diminuisce. Due i principali ostacoli: il costante aumento della popolazione mondiale e la spropositata crescita demografica asiatica che ha determinato un aumento della domanda di beni di consumo e una corsa per all’accaparramento di risorse.

La deforestazione rimane un problema irrisolto. I dati segnalano una riduzione delle foreste vergini pari a 5,2 milioni di ettari per anno nel il periodo 2000-2010. Come immediata conseguenza è stata registrato nel 2008 un aumento pari 30.1 miliardi cubi di CO2, un aumento del 30 per cento rispetto i livelli del 1990.

Un risultato positivo è quello che riguarda l’acceso all’acqua potabile. Il traguardo, fissato nel 2000 per il 2015, è che il servizio idrico raggiunga una copertura totale del 87 per cento. I dati sono confortanti dal momento che nel 2008 al 89% della popolazione prese in considerazioni era assicurato un libero e sicuro accesso all’acqua. Il target che riguarda la sanità rimane ancora altamente problematico.

L’urbanizzazione rappresenta una medaglia a due facce. L’attrattiva esercitata dai grandi agglomerati urbani ha determinato una crescita della popolazione che vive ai margini delle grandi città, che è arrivata alla cifra record di 828 milioni. Le baraccopoli o slum in condizioni igenico sanitarie molto precarie sono ormai diffuse ovunque: nel 2010 è stato registrato il più alto numero di slum nell’Africa sub-sahariana, ciò significa che il 77 per cento della popolazione africana vive in pessime condizioni.

La deforestazione fra il 1990 e il 2010

Creare una partnership mondiale per lo sviluppo

Dal report si percepisce che la concezione di sviluppo “partecipativo” sia attuabile solo attraverso aiuti monetari. L’obiettivo prefissato per ogni paese avanzato è uno stanziamento di fondi pari al 0.7 per cento del Pil. Nel 2010 gli aiuti distribuiti ammontavano a 128,7 miliardi di dollari che equivalgono allo 0,32% delle entrate dei paesi riceventi. Questo è stato il livello di aiuti più alto mai registrato con un amento rispetto al 2009 del 6,5 percento. L’Africa rimane il destinatario maggiore delle donazioni, con circa 25 miliardi che equivale ad un aumento del 6.4 rispetto dal 2010.
La crisi però si è fatta sentire e il gruppo dei paesi del G8 non ha mantenuto le promesse fatte nel 2005: gli impegni presi non sono stati rispettati come dimostra l’ammanco di 19 miliardi di dollari promessi ma mai stanziati. Due le cause: la prima, la crisi economica e la seconda che riguarda, secondo l’Onu, «a un mancato coordinamento dei donatori». Nel 2010 solo questi i paesi che sono riusciti a raggiungere l’obiettivo delle donazioni prefissate: Lussemburgo (1.09 per cento), Svezia (0.97 per cento), Danimarca (0.90 per cento), Olanda (0.81 per cento), Belgio (0.64 per cento), Inghilterra (0.56 per cento), Finlandia (0.55 per cento) e Irlanda (0.53 per cento). L’Italia è ferma allo 0.15 per cento.

Fondi per gli aiuti e la loro composizione

Schema conclusivo

In verde gli  obiettivi che sono stati o dovrebbero essere raggiunti, in giallo quelli che con il trend attuale rischiano di non essere raggiunti, in rosso gli ambiti dove non ci sono stati miglioramenti o si sono verificati peggioramenti (Fonte grafici: Onu)

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