«Inceneritori», «riciclaggio dei rifiuti», «cementificazione», «subsidenza», «parchi naturali», «energie rinnovabili», «no al nucleare», «chilometro zero»… Sono queste le parole che ritornano più spesso nelle discussioni e sui blog del Movimento 5 Stelle. E persino «biomonitoraggio», ovvero l’analisi degli inquinanti che si accumulano nell’individuo (in particolare la diossina), con tanto di analisi commissionate ad alcuni prestigiosi laboratori scientifici. «Anche se non riusciamo a farlo spesso», spiega il consigliere comunale di Ravenna Pietro Vandini, «perché la tariffa minima è di 700 euro. Le scoperte sono ogni volta sconvolgenti. Nel latte materno si riscontra non di rado una presenza di diossina 3/4 volte superiore al limite che si fa rispettare per il latte di vacca. Insomma, siamo tutti avvelenati. E il grosso errore che fanno le Arpa e le Asl», prosegue, «è di misurare gli agenti inquinanti solo all’emissione. È vero, nei singoli giorni i valori rientrano nei limiti di legge. Ma non si tiene conto dell’effetto accumulo nell’organismo».
A ben guardare, gran parte delle parole chiave e dei temi su cui si basa l’azione politica del Movimento 5 Stelle è prettamente ambientalista. E chissà se i seguaci di Beppe Grillo avrebbero avuto le stesse chance di crescita se gli spazi dell’elettorato ecologista fossero stati presidiati, come in Germania, in Francia e in altri Paesi europei, da un solido partito verde, una razza politica, da noi, in via d’estinzione.
E pensare che, proprio in Emilia Romagna, i Verdi una loro base la avevano avuta eccome. Un tesoretto di voti poi completamente dissipato. Nel 1990 – c’erano ancora il Pci, la Dc, il Psi e tutto il panorama della prima repubblica – alle regionali la Lista Verde ottenne 97.676 voti, il 3,34%, eleggendo un consigliere. E allora subiva pure la concorrenza dei Verdi Arcobaleno, che elessero un consigliere, grazie all’1,60% (46.670 voti) e di una Lista Ecologica. In totale la dote ambientalista era di 150.051 voti (5,13%). Nel 1995 era scesa a 82.178 (3,19%), nel 2000 a 64.005 (2,66%). Nel 2005 con un colpo di reni raggiungeva quota 69.475 (3,05%). Nel 2010, mentre il movimento di Beppe Grillo raccoglieva il 7% ed eleggeva Giovanni Favia e Andrea Defranceschi, i Verdi dovevano restringere il loro simbolo per farlo entrare, nel cerchio della scheda elettorale, assieme a quello di Sel. Ma l’alleanza con la piccola corazzata di sinistra (anche lei ecologista) di Nichi Vendola portava appena l’1,79% (37.698 voti). Calo non dissimile a Bologna (elezioni comunali). Quest’anno i Verdi non hanno neppure messo il loro simbolo sulla scheda (appoggiavano la lista Sel di Amelia Frascaroli, alleata – dopo aver perso le primarie – del candidato Pd). Due anni fa, alle elezioni vinte da Delbono, avevano raggranellato 1.831 voti (0,86%; fuori dal consiglio). Cinque anni prima portavano invece alla causa di Sergio Cofferati i loro 11.418 voti (5,18%, con due consiglieri eletti).
Vandini sul crollo dei Verdi non ha dubbi: «Di loro ormai si diceva sempre: “I soliti rompicoglioni”. La differenza tra noi e loro è innanzitutto a livello comunicativo, nel modo di porsi. Si sono fatti passare per quelli che dicono sempre no a priori (e poi nella pratica magari dicevano troppo sì agli alleati di centrosinistra e ai loro intrecci di affari). Noi non diciamo no. Noi facciamo proposte alternative e concrete. Loro erano tutta ideologia e niente più».
Ne parla al passato, anche se i Verdi stanno cercando di riorganizzarsi per il futuro, in parte proprio imitando il Movimento 5 Stelle. Il 26 e 27 novembre, al Teatro Vittoria di Roma, si è tenuta l’assemblea costituente di Ecologisti Reti Civiche: struttura gerarchica più leggera rispetto a un partito, dibattiti sul web, primarie per tutto (anche per il simbolo), organizzazione low cost… Almeno nelle intenzioni.
Anche Valentino Tavolazzi, classe 1950, eletto consigliere a 5 Stelle nel 2009 (la lista, certificata in seguito, si chiamava Progetto per Ferrara e raccolse 2.900 voti, il 3,38%) viene da un solido passato ecologista, come racconta:
«Sono arrivato al Movimento dopo una decina d’anni di attività nell’ambientalismo. Abbiamo contrastato la realizzazione di una centrale a turbogas da 850 megawatt e la triplicazione dell’inceneritore di Hera, la holding di energia e rifiuti. Sono battaglie finite anche sul legale. Siamo andati al Tar e ora c’è perdente un ricorso al consiglio di Stato. Abbiamo fatto chiudere il Conchetta, il vecchio inceneritore di Ferrara, nel 2005. Sono ingegnere e membro del consiglio nazionale di Medicina democratica. Purtroppo, qui a Ferrara, a causa di un importante sito petrolchimico, l’incidenza di tumori è più alto della media italiana».
La battaglia contro gli inceneritori è uno dei cavalli di battaglia del Movimento 5 Stelle. Sul sito di Beppe Grillo c’è anche una completissima mappa degli inceneritori italiani, dal titolo lugubre: Previsioni del cancro. E il 2 dicembre, in Emilia, si è aperta una nuova polemica su questo fronte. Dopo diversi anni di gestazione sono stati presentati i risultati del progetto Moniter, Gli effetti degli inceneritori sull’ambiente e la salute in Emilia Romagna (leggi tutto). Paolo Crosignani, direttore del Servizio epidemiologico dell’Istituto dei Tumori di Milano ha duramente contestato il comunicato stampa della Regione (vedi) che, omettendo qua e là qualche parola, aveva cancellato tutte le possibili preoccupazioni emerse. Tanto che lo stesso Benedetto Terracini, direttore del comitato scientifico del Moniter, ne ha chiesto l’immediato ritiro. Il Movimento 5 Stelle ha espresso parole di fuoco sulla vicenda: «È successa una cosa gravissima. Il presidente Terracini ha smentito il comunicato ufficiale della giunta in cui i risultati dello studio venivano nascosti e falsati. L’Assessore che ha autorizzato un simile comunicato deve dimettersi! Non basteranno delle semplici scuse, perché questo non è un errore veniale ma un peccato mortale: si gioca con la vita delle persone, è inaccettabile. La Giunta ha commesso un falso a livello comunicativo, falsificando gli esiti dello studio Moniter (che costa 3,5 milioni di euro pubblici, non dimentichiamolo, ed è durato 6 anni) sugli effetti sanitari degli inceneritori. Il tutto con la solita retorica politicante e rassicurante. Ma le false retoriche sono state smentite clamorosamente dal professor Benedetto Terracini, padre dell’epidemiologia italiana e presidente dello stesso comitato scientifico del progetto Moniter che è intervenuto alla fine del convegno dichiarando testualmente: “Parlo a nome del comitato scientifico di Moniter, se il comunicato stampa della Giunta dice quello che ha affermato Crosignani chiedo che venga immediatamente ritirato”».
Ecco il video con gli interventi di Crosignani e Terracini che hanno acceso la polemica:
Tornando al tema dei Verdi, Valentino Tavolazzi la vede così: «Si sono mangiati tutta la credibilità. Sono stati nelle giunte di centrosinistra e hanno votato di tutto: triplicazione di inceneritori e piani regolatori che devastavano i territori di cemento. Sono stati ammanicati e clientelari. Ora provano a risalire la china con una strategia di liste civiche. Boh. Non ribattono, e copiano. Lo fa anche il Pd, promettendo la green economy…
La verità, e lo vediamo anche qui con la riconversione del petrolchimico (1700 persone impiegate e 500/600 dell’indotto), è che la sinistra, anche davanti alla crisi, le dà tutte vinte alle aziende, alle logiche del capitale. Non hanno coraggio di innovare. Di proporre un modello economico realmente nuovo. E se noi facciamo proposte diverse, alternative, i sindacati e il Pd ci dicono che siamo “nemici del petrolchimico e dei lavoratori”».
Anche a Ferrara il pacchetto di voti dei Verdi si è dissolto. Nel 1999 candidarono sindaco Sandra Morelli Mordenti. Raccolsero il 3,80%. Nel 2004 erano al 2,91% (2.410 voti e un consigliere). Nel 2009 all’1,03% (834 voti), e hanno dovuto liberare l’ufficio nel corridoio dei gruppi consiliari. Ora da quelle parti siede Tavolazzi, con tutti i suoi poster a 5 Stelle contro la cementificazione e contro la chiusura dell’ospedale cittadino di Ferrara, il Sant’Anna.
Valentino Tavolazzi, consigliere comunale del Movimento 5 Stelle a Ferrara dal 2009
«Anche i Verdi, come il Pd, Rifondazione, Sel e l’Idv», dice, «ci accusano di “rubare” voti e di far perdere il centrosinistra. Ce lo hanno detto in Piemonte e recentemente in Molise. Ma noi non rubiamo; raccogliamo per strada quello che loro lasciano cadere. In cinque anni, qui da noi hanno perso diecimila voti e per la prima volta sono stati costretti al ballottaggio con la destra».
«Chi sono i nostri elettori non è chiaribile. Tra quelli che già votavano per qualcuno prima, e che non sono tra i tanti che abbiamo pescato dall’area del non voto, direi che circa il 60% provenga dal centrosinistra e il 40 dal centrodestra [infografica: Cosa votavano fino al 2009 i sostenitori di Beppe Grillo?]. Secondo me noi facciamo quella politica che l’elettore medio di centrosinistra si aspetta e che il centrosinistra non fa più. Abbiamo i nostri punti fermi: tariffe dei servizi pubblici sotto controllo, difesa della sanità pubblica, difesa dell’occupazione, posti sufficienti negli asili nido, nelle scuole materne e nelle mense scolastiche, incentivazione del trasporto pubblico… Siamo contro Hera e contro la svendita ad Hera delle municipalizzate. Contro una sinistra che amministra con la leva finanziaria, con lo swap e i derivati, che esternalizza, privatizza (tutto: farmacie, strisce blu dei parcheggi, sfalcio erba…), e che moltiplica le cariche nei cda».
«Devono rendersi conto che la delega ogni cinque anni non basta più perché il mondo ha subito una grande accelerazione. Se ce la facciamo a far partecipare la gente, abbiamo vinto. Con la gente non si sbaglia. I “rappresentanti” degradano la qualità decisionale. Io sono per la democrazia di condominio. La gente deve abituarsi a interessarsi di più. Non vorrei che suonasse presuntuoso, ma secondo me svolgiamo una grande azione educativa. Stiamo avvicinando la gente al bene comune. Siamo uno stimolo.
Il buco vero, in Italia, non è economico, ma generazionale. Una intera generazione è saltata, è esclusa, non può decidere nulla, e non si interessa di niente. E non solo nella politica, anche nel privato, nelle aziende. Il problema è che non c’è un buono sviluppo. Noi non stiamo lì a guardare il Pil. Siamo per la decrescita. Perché decrescita non vuol dire tornare al medioevo, come scrivono alcuni, ma crescita intelligente. Faccio crescere quello che porta un vantaggio per tutti. Non creo una falsa crescita basata sulla merce che gira sui camion [infografica: Ecco quanto viaggia il nostro cibo]. Secondo noi ogni comunità dovrebbe rendersi autosufficiente, autonoma per quanto riguarda quanto meno il cibo e l’energia. Questo ci permetterebbe anche di non concedere più scuse a infrastrutture inutili, come il Ponte sullo Stretto o la Tav [infografica: Vent’anni di proteste in Val Susa]. In Emilia il vero dramma è quello della cementificazione edilizia. A Ferrara ci sono almeno cinquemila case nuove invendute, eppure i nuovi piani prevedono la costruzione di altre migliaia di alloggi. Secondo noi, le aziende edili avrebbero una enorme linea di sviluppo nell’innovazione del già costruito: coibentazione, pannelli, nuove tecnologie per il risparmio energetico. Non si dovrebbe più edificare il nuovo, ma finanziare il rinnovamento del vecchio, per eliminare gli sprechi e rendere le case più moderne ed ecologiche. Ce la faremo? Per provarci bisogna dare tante picconate. Io sono sempre qua a spicconare. Poi, quando ci faranno votare, manderemo a Roma 30/40 deputati che saranno il fiato sul collo della politica e la telecamera sempre accesa. Quando batteranno i tamburi e i piatti in Parlamento, vedrete che qualche cosa cambierà».
Valentino Tavolazzi, ingegnere e management consultant di varie società, è nato a Ferrara il 9 settembre 1950. Consigliere comunale a Ferrara, è sposato e ha due figli (di cui uno, Valerio, ingegnere anche lui, è stato eletto Consigliere di Quartiere del Movimento 5 Stelle). Ha lavorato in Montedison come responsabile manutenzione degli impianti a Marghera, ha ricoperto ruoli dirigenziali nell’impresa di costruzioni Cei, nel gruppo di costruzioni Cmc, nel gruppo di prefabbricazione industriale MC-Manini (clicca qui per il cv completo). Di sé e di Grillo dice: «Ho avuto la tessera del Pci fino al 1990, fino alla Bolognina insomma, ma non ho mai fatto politica attiva. Unica interferenza con il Palazzo nel 2000: sono stato direttore generale del Comune di Ferrara. Ho sempre fatto il direttore in aziende private o in cooperative. Poi mi chiamò il sindaco Gaetano Sateriale per “una azione innovatrice”. Mi hanno cacciato dopo neanche due anni “per divergenze insanabili”. Stavo innovando troppo, evidentemente. Avevo ridotto i dirigenti, bloccato le assegnazioni, messo le mani negli appalti, contrastato la svendita della nostra azienda municipale ad Hera. Non ascoltavo i politici e mi hanno cacciato, pagandomi tutti gli anni, perché non c’era giusta causa. Hanno preferito così. La Corte dei Conti dovrebbe andare a chiedere conto del perché hanno fatto pagare alla cittadinanza la mia buonuscita. Avevano sbagliato persona. Volevano uno che dicesse solo sì. Nel settembre del 2008, io e altri due attivisti dell’ambientalismo ferrarese abbiamo deciso di fondare una lista civica, Movimento per Ferrara, che poi, dopo la Carta di Firenze, che ha dato vita al Movimento 5 Stelle, abbiamo certificato come lista civica con lo staff di grillo: Casaleggio e company, insomma. Oggi abbiamo il doppio simbolo, dalle prossime elezioni avremo solo quello del Movimento 5 Stelle. Seguivamo Beppe Grillo come uomo di spettacolo e abbiamo vissuto con grande entusiasmo il suo passaggio dalla battaglia di palcoscenico alla battaglia civica. Lo stimo. Ha introdotto nella politica italiana un modello davvero innovativo. Grazie a lui siamo molto diversi da Popolo Viola e indignati vari, perché noi non vogliamo stare in piazza, ma abbiamo scelto di fare battaglia dentro le istituzioni».
Vai alle altre puntate del viaggio nel popolo di Beppe Grillo: