Ma quale mercato, i piccoli aeroporti vivono di soldi pubblici

Ma quale mercato, i piccoli aeroporti vivono di soldi pubblici

Nel dibattito pro e contro i piccoli aeroporti il nocciolo della questione è l’opportunità del continuare a sussidiare aeroporti e voli, in un periodo in cui il settore pubblico deve ridurre e riqualificare la propria spesa. Il mercato è chiaro e spietato, i grandi aeroporti sono macchine da soldi, mentre al diminuire della dimensione si va via via fin oltre la soglia della perdita strutturale.

Sgombriamo il campo da un possibile equivoco, non parliamo di piccole strutture che sono indispensabili al collegamento di un territorio, come Lampedusa o Pantelleria, ma di aeroporti relativamente vicini ad altri maggiori, di cui sono il doppione in perdita e sussidiato.

La proposta di “chiudere” i piccoli aeroporti, constatato che i loro bilanci sono irrimediabilmente in rosso, è originariamente comparsa nel Libro Bianco commissionato da ENAC nel 2010, è stata ora fatta propria dal Ministro Passera e in realtà non prevede la loro chiusura forzata, ma la fine della spesa che è a carico dello Stato nel mantenerli aperti e il blocco alla costruzione di nuovi, comunque eludendo un tema fondamentale come la periodica ricapitalizzazione a carico degli Enti locali proprietari.

Ai non addetti ai lavori è necessario spiegare che l’offerta di voli da parte delle compagnie aeree e la domanda da parte dei passeggeri si concentrano negli aeroporti più grandi, che sono come la piazza del mercato: tutti i contadini vogliono vendere lì ortaggi e frutta perché tutti i clienti andranno lì, sapendo che c’ è sempre quello che desiderano e ai prezzi migliori. Il grande aeroporto offre voli di tante compagnie in concorrenza per tante destinazioni e più volte al giorno, per questo motivo attira passeggeri anche dalla “catchment area” dei piccoli.

Che cosa resta ai piccoli aeroporti? Se va bene qualche volo per le destinazioni di maggior traffico come Roma o magari Londra, spesso su aerei piccoli che sono meno efficienti e dunque impongono biglietti più costosi. Questo non basta per raggiungere il break-even e allora ci si ingegna per “comprare” traffico, deviandolo dal vicino aeroporto maggiore a suon di sussidi alle compagnie aeree o inventandolo di sana pianta. Ryanair ad esempio è specializzata nell’ effettuare anche i voli più strampalati, purché l’aeroporto paghi, invece di farsi pagare e ricordiamo che alla fine per questi voli pagano la Regione, la Provincia, il Comune, che ripianano il deficit, mentre lo Stato si fa carico dei Vigili del Fuoco, dei poliziotti eccetera, che a causa della bassa attività hanno una produttività risibile e sono un doppione inutile dei colleghi presenti nell’ aeroporto principale.

Boldrin scrive che l’Italia avrebbe terribili collegamenti terrestri e dunque è necessario un numero elevato di aeroporti, ma viaggiando in autostrada fra Malpensa e Treviso si incontrano dapprima Linate e poi Bergamo, Brescia, Verona e Venezia, in pratica un aeroporto ogni 50 chilometri. Sono tutti indispensabili? Il mercato dice no, i bresciani hanno Bergamo e Verona a 30-40 minuti di auto e disertano il proprio aeroporto, per la disperazione delle Autorità che non si rassegnano a non contar nulla in aviazione. Sorprendentemente gli altri sono in attivo.

Alberga, Cuneo, Brescia, Parma, Forlì, Foggia, Salerno, Crotone, Comiso, Oristano, Tortolì non sono indispensabili, avendo ciascuno una buona ed economicamente sana alternativa a poca distanza. Certo nei loro territori si genera un po’ di occupazione, arriva qualche turista in più, il viaggio d’affari per Roma o Milano si abbrevia, ma il gioco non vale la candela e soprattutto l’ assegnazione dei sussidi difficilmente può sfuggire al malaffare che impera nel Paese, come la cronaca insegna. Inoltre se la Regione Puglia paga per i voli a Bari deve pagarli anche a Brindisi, Foggia non vuole essere da meno, Taranto pretende voli commerciali nel suo aeroporto, che ora non ne ha e Lecce si chiede perché sola deve astenersi, anziché ottenere sussidi per far diventare civile l’ aeroporto militare di Galatina. Il risultato sono aerei semivuoti o pieni di passeggeri che approfittano delle offerte speciali, con un costo esorbitante per il settore pubblico. Il gioco dà potere politico e si scatena la corsa al nuovo aeroporto, tutti i politici dissennatamente lo vogliono, se ce l’hanno lo vogliono pompare al massimo e sappiamo che molto spesso le ragioni sono inconfessabili. Promettono meraviglie, ma ci saranno solo perdite ed è bene fermarli.

Altri aeroporti più grandi, come Trapani con Palermo, fanno la tanto auspicata “concorrenza”, ma a che prezzo? Quel che ogni passeggero e compagnia aerea pagano all’ aeroporto è fissato da Enac e ratificato dal Governo, come di norma nelle utility basandosi sulla remunerazione del Regulatory Asset Base. Quindi la “concorrenza” di un aeroporto vicino non porta ad una diminuzione dei prezzi, anzi il doppione e il sovra-investimento che implica portano ad un peggior sfruttamento degli investimenti, le strutture restano sottoutilizzate e non ci guadagna nessuno. E’ poi quasi impossibile volare con profitto con aerei da meno di 100 passeggeri e voli doppione, alla stessa ora da aeroporti vicini, mandano tutti in perdita.

Trapani, nell’esempio, fa concorrenza sussidiando Ryanair, la quale a sua volta sottrae traffico al vettore che atterra a Palermo. I prezzi dei biglietti effettivamente sono più bassi, perché sono sussidiati ed è vero che Alitalia ne risente, deve far pagar meno i suoi voli da Palermo, tuttavia dobbiamo chiederci se ha senso sussidiare i voli Ryanair da Trapani e se è coerente da un lato addossare ai contribuenti gli enormi costi del salvataggio di Alitalia e dall’altro tagliarle le gambe sussidiando i suoi concorrenti, che peraltro non pagheranno in Italia le tasse sui profitti che fanno in Italia.

Il nostro Paese ha bisogno di meno aeroporti e contemporaneamente di migliori aeroporti. La globalizzazione avvantaggia chi è ben collegato con i nuovi mercati e l’ Italia è molto indietro rispetto ai partner-concorrenti europei. Sia i passeggeri che le merci devono fare tappa in Europa o nel Golfo per raggiungere la propria destinazione, nel contempo uomini d’ affari e turisti dei nuovi Paesi non vorranno aggiungere una tappa al loro viaggio e magari si fermeranno nel punto d’ Europa dove sbarcano, a Londra, Parigi, Amsterdam, Francoforte, Madrid. Noi rimaniamo tagliati fuori, il nostro peso nello strategico settore dei voli intercontinentali è risibile e regaliamo passeggeri a vettori ed aeroporti altrui.

La priorità strategica dell’aviazione italiana è il miglioramento dei collegamenti con il mondo, non il risparmio di qualche decina di minuti per andare a Roma al Ministero, partendo dall’ aeroporto sotto casa.

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Il Ministro allo Sviluppo Economico Corrado Passera ha dichiarato nei giorni scorsi che bisogna “razionalizzare” il sistema aeroportuale italiano. La sua idea – pare – è quella di chiudere o fortemente limitare i piccoli aeroporti (utilizzatissimi in molti casi da popolazione locale e turisti) a vantaggio dei grandi scali. Quale sarà mai la compagnia aerea che ne beneficia, forse quell’Alitalia “salvata” da una grande banca? E sulle frequenze tv non sarebbe il caso di aprire una gara di mercato e di cercare di massimizzare le entrate per lo stato? Sono davvero queste le vie maestre per assicurare “sviluppo economico”? Se lo chiede Michele Boldrin, del dipartimento di Economia presso la Washington University in Saint Louis.

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