Migliaia di persone pacificamente in piazza, a Mosca e San Pietroburgo e in altre città della Russia. Presidi simbolici anche nel resto d’Europa, da Milano a Berlino, per dimostrare contro i brogli elettorali di domenica scorsa che hanno consegnato la maggioranza assoluta al partito di Vladimir Putin. Niente scontri tra manifestanti e polizia in quella che è stata la più grande azione di protesta in Russia nell’ultimo decennio. Già durante la settimana vi erano stati cortei non autorizzati con centinaia di fermi. Alcuni personaggi simbolo dell’opposizione come il blogger Alexei Navalny erano finiti in guardina e subito condannati a due settimane di reclusione.
Per questo si temeva oggi nella capitale russa una nuova escalation. I timori della vigilia avevano viaggiato sullo scontro al vetriolo tra Putin e Hillary Clinton, che dopo aver puntato l’indice contro le manipolazioni del Cremlino e aver speso parole di solidarietà con l’opposizione si era sentita arrivare di ritorno le cannonate di Putin che l’accusava di voler fomentare una rivoluzione colorata sul modello di quelle a regia americana avvenute in Georgia e Ucraina. Ma la situazione oggi a Mosca é ben diversa da quella di Tbilisi nel 2002 e Kiev nel 2004, a partire dal fatto che non c’è nessun alternativa confezionata al regime attuale.
Le migliaia di persone che sono scese per le strade non rispondono a nessun ordine che arriva da Oltreoceano e sono semplicemente i rappresentanti di un movimento con diverse anime (alcune delle quali non proprio limpide, a partire dal nazionalbolscevico Eduard Limonov e al fascista Ilya Lazaremko, per arrivare ai signori che hanno governato ai tempi di Boris Eltsin, poi silurati da Putin e ora alla ricerca di una improbabile rivincita, da Boris Nemtsov a Mikhail Kasyanov) la cui pazienza è stata strapazzata. Ogni elezione in Russia è stata viziata da trucchi organizzati dal partito del potere, ma questa volta – complice la farsa inscenata dal tandem con lo scambio di poltrone annunciato a settembre – sembra proprio che la coscienza civile e politica di un bel po’ di russi sia stata improvvisamente svegliata. Non solo i soliti poveri pensionati, giovani e classe media si sono buttati prima su internet e poi fuori dalle case per esprimere la propria rabbia e la volontà a non essere presi in giro.
Manifestazione autorizzata, migliaia di poliziotti a controllare e nessun incidente. Nessuna provocazione. Cinque le richieste formulate oggi dall’opposizione su un palco su cui sono saliti anche noti giornalisti come Leonid Parfenov e Oleg Kashin e scrittori come Boris Akunin: dalla liberazione di chi è stato imprigionato in questi giorni all’annullamento delle elezioni, dalle dimissioni di Vladimir Churov (il presidente della Commissione elettorale) alla realizzazione di un nuovo sistema elettorale e partitico, per finire con nuove elezioni libere. Cinque istanze con cui Putin e Medvedev devono fare i conti, anche in vista della prossima manifestazione già indetta per il 24 dicembre e soprattutto con l’occhio alle elezioni presidenziali del 4 marzo 2012.
Dei cinque punti in realtà solo due non possono essere certo accolti dalla coppia al potere (l’annullamento delle elezioni e la ripetizione di esse), ma sugli altri tre si può trattare. Chudov e qualche altra testa rotolerà, Navalny e compagni usciranno di prigione, il cambiamento del sistema elettorale è una cosa scontata, dato che già per le prossime elezioni della Duma è già previsto un abbassamento della soglia di sbarramento dal 7 al 5%. Altre correzioni potranno essere fatte nella nuova Duma, dove l’opposizione di comunisti e nazionalisti è abituata ad accodarsi alle decisioni del Cremlino. In fondo Putin ha la possibilità nei prossimi mesi di riportare in alto i rating con alcuni gesti e provvedimenti che non gli costeranno la rielezione. Questo è lo scenario che i più ottimisti tra i cremlinologi prospettano. La giornata di oggi è il segno che una mediazione è possibile. Forse.
*Stefano Grazioli, giornalista, è l’autore del libro «Gazprom: il nuovo impero»