Modello Turchia? A Erdogan i giornalisti piacciono in galera

Modello Turchia? A Erdogan i giornalisti piacciono in galera

ISTANBUL – Se qualcuno avesse ancora qualche dubbio sul fatto che la Turchia di Erdogan – lungi dall’essere quel paese che i paesi della Primavera Araba dovrebbero prendere ad esempio – rappresenti invece un’immensa prigione per giornalisti, dovrebbe dare un’occhiata alle cifre fornite da diverse piattaforme quali Reporters Sans Frontières (Rsf), il sindacato di giornalisti turchi (Tgs) ed il Comitato per la Protezione dei Giornalisti (Cpj). Secondo queste stime a tutt’oggi in Turchia i giornalisti dietro le sbarre in sono 76 mentre il numero di processi in corso contro giornalisti, secondo le stime della Piattaforma per la Libertà dei Giornalisti (Gop), arriva addirittura a 10 mila.

Una cifra impressionante per un paese che sta negoziando l’ingresso nell’Unione Europea. Quanti poi additavano l’Akp di Erdogan come partito che rappresenterebbe una versione edulcorata dell’Islam in un Mediterraneo in piena involuzione controrivoluzionaria e teocratica dovrebbero ricredersi. Cifre alla mano, da quando l’Akp è al potere (2002) la Turchia è scivolata dal 99esimo al 138esimo posto per quanto riguarda il rispetto della libertà di stampa perdendo in una decina d’anni ben 39 posizioni. Segno che c’è qualcosa che non va nell’Akp di Erdogan, il cui governo continua a zittire e imprigionare, giornalisti, avvocati, professori universitari e in generale chiunque muova la minima critica. Un governo, quello dell’Akp, che lentamente sta trasformando la società turca in senso conservatore, che ha dimostrato di voler abbracciare il liberismo all’occidentale ma che uccide le libertà fondamentali. 

Ahmed Sik, Nedim Sener e l’affare Ergenekon. Sullo sfondo, buio, di una Turchia che progredisce economicamente al passo di Cina, India, Brasile ma che regredisce dal punto di vista delle libertà fondamentali al passo di Etiopia o Afghanistan, continua il calvario di Ahmed Sik e Nedim Sener, i due reporter coinvolti, assieme ad altri 11 giornalisti, nell’ambito dell’inchiesta “Ergenekon”, il nome dato ad un’organizzazione ultra-nazionalista clandestina il cui scopo finale è quello di rovesciare lo stato turco. La 16 esima Alta Corte penale d’Istanbul ha infatti rifiutato ieri di rilasciare i due reporter ed ha aggiornato l’udienza al 26 Dicembre prossimo. Il paradosso è che Sener e Sik sono in prigione da 266 giorni sulla base di semplici indizi, non c’è sentenza ed il processo stenta a cominciare anzi continua ad essere segnato da colpi di scena clamorosi come la morte di uno dei testi nella cella della sua prigione per un improvviso attacco cardiaco giusto pochi giorni prima di deporre (i media parlano di assassinio e un’inchiesta è già partita) oppure il conflitto d’interesse di un giudice di cui si chiede a gran voce la rimozione (in quanto implicato contemporaneamente in un altro processo contro un giornalista di Oda Tv che ha pubblicato una sua foto a cena in compagnia di alcuni responsabili delle forze dell’ordine).

Nebulosa Ergenekon: una Gladio Turca. Nel Giugno del 2007 nel quartiere-bidonville d’Ümraniye ad Istanbul, la polizia ritrova granate, esplosivo e materiale per preparare bombe. Inizialmente considerato come un affare concernente gruppi terroristi legati all’estrema sinistra o al terrorismo di matrice curda, il ritrovamento rivela invece l’esistenza di una rete criminale sotterranea sostenuta da militari di alto rango e civili. Secondo diversi specialisti Ergenekon non sarebbe altro che l’ultima versione di una rete sotterranea, duttile, che si trasforma secondo il contesto socio-politico del momento. Negli anni 50, in piena guerra fredda e proprio sulla falsariga dell’operazione Gladio in Italia, si propone di contrastare il pericolo rosso e l’insorgenza di partiti e sindacati d’ispirazione comunista attraverso colpi di stato ed una strategia della tensione il cui scopo è quello di polarizzare l’attenzione sulla necessità di instaurare un regime autoritario retto da militari. Tra le gesta di quest’organizzazione ultra-nazionalista si segnalano attentati dinamitardi – quello al Consiglio di Stato per esempio o al giornale Cumhuriyet – oltre che assassini di uomini d’affari curdi, d’intellettuali e di giornalisti.

Negli anni ’70 la rete Ergenekon semina panico nella società turca approfittando degli scontri tra ambienti della destra nazionalista e della sinistra kemalista e tra musulmani sunniti e gli Aleviti (sciiti eterodossi dell’Anatolia) per tessere le fila che porteranno al colpo di stato del 12 Settembre 1980. In seguito Ergenekon organizza attentati contro intellettuali di sinistra, pogrom contro gli Aleviti (il pogrom di Marsh, nel 1978, provoca oltre 100 morti) e organizza provocazioni di ogni tipo durante manifestazioni politiche per rendere la società turca ingovernabile e giustificare l’instaurazione di un governo retto da militari. Negli anni ’90 invece la rete terrorista si concentra sulla questione sensibile del momento, il terrorismo di matrice curda. Dietro il pretesto di lottare contro il Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan), la struttura occulta provoca lo scontro frontale tra turchi e curdi in modo da rendere il paese ingovernabile e di mantenere salda la sua influenza all’interno delle alte sfere del potere. Nasce il tema nazionalista dello “stato unitario” che sarebbe in pericolo di fronte al separatismo curdo, un paradigma valido ancora oggi se si guarda a ciò che sta accadendo nel Kurdistan con centinaia di arresti di sindaci, avvocati, giornalisti ed altri membri della società civile per il loro presunto legame con il terrorismo curdo.

Dietro lo spauracchio Ergenekon, l’esercito di Fetullah Gülen. Dalla sua scoperta nel 2007 il numero di giornalisti accusati di far parte di Ergenekon è aumentato in maniera esponenziale. La maggior parte vengono arrestati per aver violato chi l’articolo 285 (violazione di documenti investigativi segreti) chi l’articolo 288 (tentativo d’influenzare il giusto corso di un processo) del codice penale turco. In realtà l’inchiesta Ergenekon diventa sempre più una sceneggiata senza fine caratterizzata da anomalie giuridiche, lungaggini processuali, spostamenti, giudici incompetenti, raccolte d’indizi illegali e addirittura conflitto d’interessi tra il partito al potere l’Akp e determinati processi in corso.

Secondo diversi specialisti dietro lo spauracchio dell’inchiesta Ergenekon ci sarebbero i seguaci della comunità i Fethullahçis (seguaci di Fetullah Gülen), imam auto-esiliatosi in America nel 1999 per evitare di incorrere in un processo per aver attentato alla laicità dello stato e per aver fomentato l’instaurazione di una teocrazia islamica. In effetti se Sik e Sener sono stati accusati di far parte di Ergenekon essi erano nondimeno conosciuti al grande pubblico per le loro inchieste sulle infiltrazioni della setta islamica di Gülen nell’ambito delle forze di polizia turche. Autore di un libro intitolato «Fethullah Gülen e la comunità Gülen nei documenti Ergenekon», Nedim Sener aveva già rivelato il ruolo di Ergenekon nell’assassinio del giornalista armeno Hrant Dink,puntando il dito proprio contro alcuni esponenti delle forze dell’ordine – tra cui il capo della polizia di Trebisonda Ramazan Akyürek – colpevoli di essere a conoscenza dei piani per assassinare Dink ma di non aver preso le precauzioni giuste perché ciò non avvenisse. Dopo essere stato denunciato Sener risultò innocente e le sue accuse si avverarono invece fondate.

Il capo della polizia di Trebisonda Ramazan Akyürek figura tra gli “associati” di Ergenekon e forse apparirà incidentale ma subito dopo il loro arresto nell’ambito dell’inchiesta Ergenekon, il 23 Marzo la Corte Penale d’Istanbul confisca e distrugge le bozze del libro di Sik intitolato İmamın Ordusu, «L’esercito dell’Imam», di oramai imminente pubblicazione. Il libro illustra la maniera in cui i Fethullahçis hanno infiltrato progressivamente polizia, servizi segreti, uomini politici e quadri delle forze armate turche.  Secondo Ahmet – i cui stralci del libro sono stati divulgati su internet – i Fethullahçis hanno oltre cinque milioni di seguaci e miliardi di dollari di finanziamenti. Sin dal 1980 hanno indirizzato i propri sforzi sulle forze dell’ordine non riuscendo a penetrare nelle gerarchie militari. L’organigramma dei Fethullahçis è strutturato sulla falsariga di una loggia massonica il cui scopo è quello di formare nuove leve direttamente nelle scuole e nelle accademie di polizia, leve che poi diverranno quadri dirigenti della setta, “associati”.

La tesi di Ahmet è che i Fethullahçis si siano negli anni trasformati in una forza sotterranea pervasa di integralismo religioso e militarismo (il loro motto – “ordine ed obbedienza” – ricorda lugubri dettami del fascismo) e che abbiano oggi legami con l’AKP di Erdogan che, guarda caso, con la sua politica ufficialmente moderata sta lentamente trasformando la società turca in una società conservatrice che reprime le libertà fondamentali. È quello che ha denunciato Merdan Yanardag, autore di un libro che illustra il modo in cui il movimento di Fetullah Gülen abbia infiltrato il governo turco di Erdogan. Anche lui, guarda caso, è finito nelle maglie dell’inchiesta Ergenekon come decine di altri giornalisti, tutti improvvisamente diventati militanti di un’organizzazione terrorista che sembra non avere limiti. «Coloro che la toccano (comunità Gülen) si bruciano» È la frase che Ahmed Sik ha urlato ai suoi colleghi giornalisti prima di entrare nella prigione. È solo l’inizio ma è spaventosamente reale: tutti quelli che toccano i Fethullahçis prima o poi si bruciano nelle maglie incandescenti di Ergenekon. 

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