«La politica è troppo importante per lasciarla in mano ai politici», hanno spiegato all’Assemblea Costituente del partito a Roma, in mezzo agli applausi. E loro, che politici non sono, per questo motivo hanno deciso di scendere in campo. Pazienza se è quasi un mese che, in Italia, il governo è in mano a tecnici, ma il gruppo di imprenditori lombardi e veneti che ha deciso di cambiare il Paese non lo poteva prevedere. Del resto, era il 28 febbraio 2011, quando è nato il Partito delle Aziende. Grazie a loro, le Pmi d’Italia hanno una nuova formazione politica di riferimento.
Sembra strano, ma ci credono davvero. Non sono solo imprenditori, ma anche piccoli artigiani e «tutte le persone che ogni giorno si scontrano con le difficoltà del fare impresa», spiega nel documento di presentazione il presidente Frabrizio Frosio. Il movimento, si farà ambasciatore delle istanze delle imprese e difensore dei loro diritti e interessi. Anche contro uno Stato sprecone: «le Pmi sono stanche di alimentare una macchina già ferma da tempo», scrive. «Bisogna che qualcuno da questa macchina scenda e cominci a pensare di ritornare a guadagnarsi la pagnotta». Lo scontento della classe produttiva non è una novità. Però, pur iscrivendosi nell’arco del centrodestra come collocazione naturale, contano di raccogliere «i delusi di Pdl e Lega» oltre ai tanti astenuti aumentati nelle ultime votazioni. E anche qualche voto cattolico, perché anche loro si riconoscono in una collocazione religiosa precisa.
I loro obiettivi sono ambiziosi, radicali, forti: per cominciare, la semplificazione del sistema fiscale, che consiste, nella sostanza, in meno tasse. C’è l’eliminazione dell’Irap e la creazione di un’imposta unica per tutti pari al 25% del reddito. Per poi proseguire la detassazione degli utili sugli investimenti realizzati, come ha voluto Tremonti. E poi la difesa del marchio italiano e, di conseguenza, il dazio doganale per le merci di Cina e Asia (e dove mai sarebbe la Cina?), insomma, il rilancio verso standard (fiscali) europei. A loro volta, le Pmi sono chiamate a combattere per il made in Italy, penalizzando chi delocalizza e crea disoccupazione. Tante cose tutte insieme.
Forse troppe. Meglio non esagerare: Per ora, «lanceremo la sfida per tre fondamentali passaggi», ha spiegato il presidente Frosio. Quali? «Il blocco immediato, per un anno, di tutte le esecuzioni di Equitalia», accusata di strozzare le aziende che, in questo periodo difficile, non hanno i soldi per ripagare i debiti. Allo stesso modo «la sospensione delle rate dei mutui e leasing per imprese e famiglie», sempre per ridare un po’ di fiato. E, infine, la più importante: «sedere al piano delle trattative con il governo. Al momento lo fa solo Confindustria che rappresenta solo il 5% delle imprese italiane». Stavolta serve contare di più.
Inutile dire che la nuova manovra di Monti al PdA non piace per niente. Con troppe tasse. Troppo iniqua e dannosa per le imprese. Per dimostrarlo, come scrivono sulla loro pagina Facebook, il 14 gennaio scenderanno in piazza per protestare, insieme ai dipendenti d’azienda. Anche per farsi conoscere: la loro intenzione è di partecipare alle prossime elezioni politiche, quando ci saranno. Per i dettagli, c’è da aspettare giovedì. Intanto, per ogni altra iniziativa, il Partito delle Aziende dispone anche di un sito , di una televisione web e – non poteva mancare – di un inno ufficiale, anzi, aziendale.
Non fosse per la spinta dal basso, sembrerebbe un film già visto: il partito nuovo, le aziende, gli imprenditori, la voglia di occuparsi dei propri diritti (e dei propri interessi). All’epoca, di imprenditore che si buttava nell’arena ce n’era uno solo. E Silvio Berlusconi, a dirla tutta, c’è ancora. Anche qui, tra l’altro, gioca a fare il padre nobile. Il 27 novembre durante l’Assemblea Costituente è intervenuto con una telefonata, ha salutato l’uditorio e benedetto la nuova formazione politica «che saprà – parole sue – anch’essa tutelare gli interessi degli italiani che non si riconoscono nella mentalità di ex-comunisti che hanno sempre avversato la libera intrapresa e l’idea di un’Italia davvero liberale». Un battesimo di fuoco. E il piccolo-medio sogno del PdA continua.
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