Non esiste una singola mossa che possa far ripartire la crescita, e dobbiamo smettere di pensare a soluzioni miracolistiche; il famoso silver bullet degli inglesi, la pallottola d’argento che elimina il mostro, semplicemente non esiste. Dal baratro potremo risalire solo con sforzi continui e di lunga durata, almeno decennali; è da tanto tempo che non pensiamo più al futuro.
Il Paese ha un grande freno, la corruzione, e due grandi spazi di crescita: giovani e Mezzogiorno. Lo sviluppo può venire solo dall’utilizzo di risorse che utilizzate non sono: quali risorse sono meno utilizzate, oggi in Italia, dell’intelligenza e dell’energia dei giovani? Un serio programma nazionale, ben finanziato e volto a facilitare l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, con adeguati strumenti di formazione sottratti alle mafiette locali, aiuterebbe. Le risorse per aiutare i giovani a mettersi in proprio sarebbero un investimento, non una spesa a fondo perduto. E la disoccupazione giovanile è particolarmente elevata, lo sappiamo bene, proprio al Sud. Col che veniamo al Mezzogiorno; tutti si rendono conto che il semplice adeguamento dello standard di vita di quest’area a quello del Centro-Nord avrebbe un effetto provvidenziale sullo sviluppo, non solo economico, ma prima ancora civile, del Paese tutto.
Il livello dell’infrastruttura, materiale e immateriale, del Sud è, salvo pochi casi di eccellenza, sconfortante. Non si tratta solo degli stranoti casi della Salerno- Reggio Calabria, né della rete ferroviaria, ambedue cronicamente lontane da uno standard accettabile. Pensiamo infatti ai livelli di molti comparti dell’amministrazione, dall’ordine pubblico, alla Giustizia, alla Scuola, e alle conseguenze sullo sviluppo- economico ma prima ancora civile- dei livelli assolutamente insoddisfacenti che questi servizi (Giustizia e Istruzione) là hanno. Su questi temi si è spesso- quanto purtroppo inutilmente- soffermata la relazione annuale del governatore della Banca d’Italia.
La Repubblica Italiana periodicamente si produce in sforzi ingenti per ammodernare il Sud, per poi accasciarsi e rassegnarsi. Come canta De Andrè nell’immortale “Don Rafaè”: “Lo Stato che fa? Si costerna, s’affanna, s’indigna, poi getta la spugna con gran dignità”. Vista la scarsissima utilità degli sforzi profusi, da ultimo si è affermata la strada leghista: che il Sud vada pure in malora, noi ce ne restiamo qui, che si arrangino loro giù per le terre ballerine a cavarsi fuori, se ne hanno davvero voglia, dai loro guai.
Questo atteggiamento, miopemente rinunciatario e gravemente autolesionista, è la migliore spia del deterioramento della nostra classe dirigente rispetto al dopoguerra, quando valtellinesi Doc come Ezio Vanoni e Pasquale Saraceno si impegnavano allo spasimo per lo sviluppo meridionale. Ora che finalmente abbiamo un governo di persone serie e civili, possiamo sperare che questa follia isolazionista abbia termine, e lo sviluppo del Sud torni davvero prioritario. Entrano qui in gioco i grandi freni allo sviluppo di tutto il Paese, ma in particolar modo del Sud, cioè l’evasione fiscale, la corruzione e la criminalità organizzata: la crescita sarà comunque inferiore a quanto potrebbe essere se queste bestie sorelle non scorrazzassero libere per il Paese, e non fossero in grado addirittura di controllarne vaste aree, proprio nel Mezzogiorno.
Sul Corriere della Sera di oggi, Gian Antonio Stella ricorda che nelle classifiche di Transparency International sulla corruzione continuiamo a sprofondare sempre più giù, alla pari ormai con la Macedonia e il Ghana. E se chi è in Italia si guarda bene dall’investire al Sud, figuriamoci quale fiducia potrà avere chi vive lontano da qui mille miglia: sempre Stella segnala che il rapporto fra addetti in imprese di proprietà estera e in imprese italiane era del 6,2% nel Centro- Nord, e dell’1,2% nel Mezzogiorno. La strada da percorrere per lo sviluppo- ripeto, civile prima ancora che economico- è quindi chiara. Basta avere la forza- e il coraggio- per farlo davvero.
*ex commissario Consob, editorialista del Corriere della Sera è fra gli ottanta soci de Linkiesta.it (visita il blog “Il Cammello, l’ago e il mercato”)