Per il Pd e il Pdl la fiducia sulla manovra è un alibi perfetto

Per il Pd e il Pdl la fiducia sulla manovra è un alibi perfetto

I tempi sono stretti. Entro questa settimana la manovra del governo sarà licenziata dalle commissioni di Montecitorio. Da lunedì approderà in Aula. Il via libera della Camera dei deputati dovrebbe arrivare entro venerdì 16 dicembre. Bisogna fare in fretta: ne è convinto il presidente del Consiglio Mario Monti, ma anche molti leader politici. Ecco perché l’ipotesi di un voto di fiducia si fa sempre più concreto.

Una blindatura del testo che limiti le interferenze dei partiti. Monti è stato fin troppo chiaro: nella fase preparatoria della manovra, il governo ha “tenuto conto delle esigenze rappresentate da parti sociali e forze politiche”. Ora basta. Il prossimo confronto, se ci sarà, riguarderà gli interventi sul mercato del lavoro e del Welfare. Che non a caso sono stati tenuti fuori dal decreto Salva-Italia. Intanto il gioco delle parti è già iniziato. Il governo ringrazia i partiti per i contributi “molto incisivi” dati nella preparazione. La politica assicura di voler ancora collaborare per apportare ulteriori modifiche al testo durante il passaggio parlamentare. In realtà una manovra blindata conviene a tutti.

Il Pdl – almeno stando a quanto raccontano i berlusconiani – avrebbe già ottenuto alcuni importanti riconoscimenti. La decisione del governo di non toccare le aliquote Irpef sarebbe merito del loro pressing su Monti. Un duro confronto parlamentare rischia di fare implodere il partito: da una parte gli irriducibili del voto anticipato, pronti a dare battaglia sul provvedimento. Dall’altra i possibilisti, che ritengono necessario approvarlo il prima possibile. Magari anche solo per prendere tempo e riorganizzare le fila in vista delle elezioni. L’ipotesi di un confronto in Parlamento non convince nemmeno l’ex premier Silvio Berlusconi. “Monti deve porre la fiducia – ha spiegato oggi a Montecitorio – altrimenti non credo ci sia la possibilità di varare la manovra”. Anche se il Cavaliere è ancora convinto che nel passaggio in commissione ci siano i margini per apportare qualche modifica al testo.

Discorso simile per il Partito democratico. Questa sera il segretario Pierluigi Bersani ha assicurato che il partito è pronto ad apportare alcune modifiche al testo. Specie sul capitolo della previdenza. Tra i democrat c’è chi ipotizza un incremento dell’esenzione Ici sulla prima casa e chi immagina una maggiore incisività nella tassazione sui beni scudati. Eppure una blindatura del testo toglierebbe dall’imbarazzo i dirigenti del Pd. Il partito sarebbe costretto comunque a votare la manovra, in virtù di quel senso di responsabilità su cui Bersani insiste da tempo. Ma al riparo dalle critiche di una parte del proprio elettorato e dei sindacati più vicini.

Lega Nord e Italia dei Valori hanno già annunciato che in assenza di correzioni sostanziali diranno no al decreto Salva-Italia. In Parlamento qualcuno sostiene che la strategia dei due partiti sia quella di capitalizzare lo scontento del Paese nei confronti del governo tecnico. Per incassare al momento delle prossime elezioni il sostegno di chi pagherà in prima persona – e non sono pochi – il conto della manovra. Appare chiaro che se il governo chiederà la fiducia in Parlamento, per Lega e Idv sarà ancora più facile cavalcare il malumore degli italiani.

Ancora una volta la politica rischia di passare in secondo piano. Come era già successo durante la nascita del governo Monti, quando i veti incrociati dei principali partiti avevano obbligato il presidente Giorgio Napolitano a scegliere un esecutivo tecnico. Adesso arriva la manovra, e la politica fa un altro passo indietro. Una scelta dettata ancora una volta da calcoli elettorali (a nessuno sfugge l’impopolarità di certe misure). La conseguenza? Nel momento di massimo pericolo per il nostro Paese, la politica si fa da parte. E il paradosso è che ai partiti sembra andare bene così.

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