Più comunismo o più capitalismo? La Cina si scopre divisa

Più comunismo o più capitalismo? La Cina si scopre divisa

Chiedete intorno a voi qual’è la città più grande al mondo e pochi – probabilmente nessuno – vi risponderanno Chongqing. Eppure questa municipalità di quasi 29 milioni d’abitanti – 5,5 dei quali migranti, molti arrivati dal Sichuan per costruire la diga delle Tre Gole – è la più popolata della Cina e, con tutti i problemi che sollevano confronti internazionali di questo tipo date le diversità nella definizione amministrativa di città, del mondo. Chongqing rappresenta il meglio e il peggio della Cina contemporanea: una crescita economica vertiginosa (quasi il 15% annuo dal 2007), con infrastrutture modernissime che le hanno permesso di colmare il divario rispetto alle zone costiere dell’Est, ma anche un inquinamento spaventoso.

Di Chongqing si parla molto in questo momento perché il suo leader Bo Xilai è una delle stelle emergenti in seno al Partito comunista cinese (Pcc), oltre che figura più rappresentativa della fazione dei principini, i dirigenti attuali che discendono dai collaboratori di Mao. Pur non essendo capo di una provincia, in quanto segretario del Pcc a Chongqing Bo risponde direttamente a Pechino e questo, insieme ai risultati conseguiti, gli offre grande visibilità. Il suo modello di gestione combina sostegno attivo all’imprenditorialità e grande cautela sul piano delle riforme politiche, quando non un sincero desiderio di rafforzare il controllo del Pcc e tornare alle origini del maoismo. Emblematica di questo desiderio è la campagna per far cantare alla popolazione i canti rivoluzionari della Grande Marcia.

La posizione geografica di Chongqing 

Un approccio in un certo senso opposto rispetto a quello che caratterizza il Guangdong, la provincia intorno a Guangzhou (Canton) e confinante con Hong Kong che è la più ricca e probabilmente la più libera di tutto il paese. A capo del Pcc provinciale si trova Wang Yang, capofila dei tuanpai, ovvero la fazione del Pcc costituita da ex funzionari della Lega Cinese dei Giovani Comunisti (Lcgc) che hanno iniziato la propria carriera negli anni 80, quando a presidere la Lcgc era l’attuale presidente Hu Jintao. Oltre a Wang, in precedenza segretario del Pcc proprio a Chongqing, anche il governatore del Guangdong (Huang Huahua) e il segretario di Shenzhen (Liu Yupu) sono uomini vicinissimi a Hu. Nel modello della Riviera delle Perle, la crescita del Pil lascia spazio – almeno retorico, dopo tutto non siamo in Bhutan – alla massimizzazione del “benessere” (xingfu guangdong), mentre sul piano socio-politico le autorità hanno moltiplicato le misure d’apertura, dall’aumento del salario minimo (21% nel 2010, 19% quest’anno) al dialogo con la popolazione per definire le priorità dell’intervento pubblico. 

Da qualche mese il dibattito su meriti e demeriti di questi due modelli infiamma i circoli pechinesi più vicini alle alte sfere del potere. Ne da conto con grande dovizia di dettagli l’ultimo numero di China Analysis – Les Nouvelles de Chine, la rivista dell’Asia Centre di Parigi. I sostenitori di Bo sottolineano come Chongqing si stia sviluppando senza creare le ineguaglianze che caratterizzano le regioni costiere, soprattutto grazie allo sforzo nell’edilizia pubblica residenziale (30 milioni di metri quadrati di nuove case nel 2010-13). Mettono anche in evidenza i successi nella lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata (per cui, sfortunatamente, anche in Cina è ormai utilizzato il termine mafia …).

Wang Yang e Bo Xilai

I fan di Wang partono invece proprio dal culto del Pcc che si cerca di consolidare a Chongqing, simbolizzato dal progetto di costruzione di un costosissimo “Parco Rosso”, sorta di Disneyland comunista. Lo contrastano con l’apertura che caratterizza il dibattito politico nel Guangdong – dove ci sarebbero 28 mila organizzazioni della società civile – e con il consolidamento dello Stato di diritto. Una serie di progressi che appaiono sempre più necessari per trasformare il modello economico cinese, rendendolo meno dipendente da bassi salari ed esportazioni e più ricco in innovazione e consumi virtuosi. A suggello di questa evoluzione sta l’accorporazione di numerosi livelli amministrativi, per ridurre i costi della politica e stabilire il governo minimo (youxian zhengfu).

Il precipitoso inabissarsi in una nuova recessione dell’Europa, e forse di tutto l’Occidente, rischia di avere conseguenze ancora più profonde sulla Cina che la crisi del 2008-09. Allora – e ben se lo ricordano i governanti cinesi – i segnali di tensione si propagarono velocemente nella società: proteste su Internet, scioperi (tra cui quello alla Honda) e suicidi di lavoratori (in particolare nei giganteschi stabilimenti della Foxxcon). La primavera araba, la corruzione rampante, il disastro ferroviario di Wenzhou e le proteste in Russia sono nuovi fattori che alimentano le tensioni a Pechino e rendono imperativo gestire con grande cautela il periodo fino al XVIII Congresso del Pcc, previsto per novembre del prossimo anno. Se Xi Jinping e Li Keqiang sono a priori destinati a diventare i nuovi leader della Cina, l’incertezza regna ancora per gli altri sette componenti del nuovo Politburo, sei dei quali dovrebbero essere leader provinciali. Bo è visibilmente in campagna e ha ricevuto la visita di cinque degli attuali membri del Politburo. Wang è più discreto, ma sarebbe una grande sorpresa se non venisse anche lui eletto. Ma anche nella fattoria del Pcc, non tutti gli Apparatchik sono uguali. Quello più uguale degli altri succederà a Wu Bangguo alla testa del Parlamento cinese, il Congresso del Popolo. Il significato non sarebbe lo stesso se fosse Bo o se fosse Wang. 

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