Ci potevamo svegliare con una nuova Europa. Non è stato così. Le modifiche ai Trattati deliberate ieri a notte fonda dagli euroministri saranno applicate solo a 23 dei 27 Paesi membri. Escluse Inghilterra, Ungheria, Svezia e Repubblica Ceca. Un fallimento che sancisce la nascita di un’Europa a due velocità. Colpa della perfida albione, ha detto Nicolas Sarkozy, che non ha accettato la regolamentazione sui servizi finanziari, considerata contraria agli «interessi nazionali» britannici come piazza finanziaria di riferimento in Ue. «Si facciano il loro trattato» è stata la risposta del premier inglese David Cameron. Non è stata l’unica impasse nella piovosa nottata di Bruxelles, in cui i negoziati a oltranza hanno evidenziato, nel caso ce ne fosse ancora bisogno, i limiti di un’unione monetaria senza alcuna sovranità sovrastatale. Palpabile la delusione nei volti del presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, e del presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompouy, nel corso della conferenza stampa, alle 5.30 di stamani. Brutta la reazione dei mercati asiatici, che hanno aperto in rosso e continuano in territorio negativo. Alle 7.50 Hong Kong cede il 2,41% e Tokyo 1,48%, mentre sul fronte valutario l’euro cede a 1,3334 sul dollaro, ai minimi da inizio settimana.
Nasce l’unione fiscale. I capi di Stato e di Governo dei 23Paesi firmatari si sono accordati su una bozza che prevede l’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione, un rapporto deficit/Pil allo 0,5% e un non meglio definito «meccanismo di correzione automatica» che sarà attivato in caso di deviazione che sarà disegnato da ogni Stato membro «sulla base dei principi proposti dalla Commissione europea». D’ora in poi tutto sarà concordato con Bruxelles: i Paesi che rientrano nella Procedura per deficit eccessivo dovranno stabilire un programma coordinato con le autorità sovranazionali per effettuare le riforme strutturali necessarie ad «assicurare una correzione duratura del deficit in eccesso». Qualsiasi mossa sarà monitorata dalla Commissione e dal Consiglio europeo. Altra novità non da poco, è prevista l’introduzione di un meccanismo che prevede un’azione coordinata ex ante nella comunicazione delle emissioni obbligazionarie per rifinanziare il debito dei singoli Stati. Infine, si prevede un rafforzamento dell’articolo 126 dei Trattati, relativo alla procedura di rientro per deficit eccessivo, tramite un meccanismo sanzionatorio automatico e delle penali anche in caso di voto cotnrario della maggioranza degli Stati membri, qualora non si rispettino i parametri del Trattato di Maastricht. Il quale, come ha ricordato Mario Monti alla sua prima uscita europea da premier, non è stato rispettato per la prima volta da Germania e Francia, Paesi che sono peraltro esclusi dal nuovo quadro normativo.
Potenziamento del fondo salva-Stati. La contrapposizione tra Cameron e Sarkozy non è stata l’unica. Angela Merkel ha rifiutato ancora una volta, nel corso della nottata, gli eurobond, proposti invece da Mario Monti con il supporto di Jean-Claude Juncker, presidente dell’Eurogruppo, e di Christine Lagarde, numero uno del Fmi. Berlino non gradiva nemmeno il potenziamento a leva del fondo Efsf, né affidare la licenza bancaria al nuovo meccanismo per aiutare i Paesi in difficoltà Esm (European stability mechanism). La soluzione emersa alle prime luci dell’alba invece prevede che l’Efsf potrà operare a leva e sarà gestito direttamente dalla Bce nelle sue operazioni di mercato. L’entrata in vigore dell’Esm è stata anticipata al luglio 2012, mentre l’Efsf rimarrà attivo fino alla metà del 2013, al fine di concludere i programmi di salvataggio di Grecia, Irlanda e Portogallo. Entro marzo 2012, inoltre, la dotazione del nuovo strumento Efsf/Esm – che comunque non avrà licenza bancaria – sarà ampliata a 500 miliardi di euro, ai quali si andranno ad aggiungere altri 200 miliardi che la Bce presterà al Fmi, e a sua volta l’istituzione di Washington girerà agli Stati membri sotto forma di prestiti bilaterali. In seno al Fmi si cercheranno altri fondi provenienti dalle economie emergenti: ieri il ministro delle Finanze brasiliano ha espresso la volontà di aiutare l’Europa.
Il ruolo della Bce. Come si suol dire, il diavolo sta nei dettagli. I Trattati europei vietano alla Bce di erogare aiuti diretti ai Paesi in difficoltà, per questo è fondamentale il coinvolgimento del Fmi. Ieri il presidente della Bce Mario Draghi ha introdotto nuove misure di allentamento della politica monetaria di Eurotower, tra cui l’abbassamento ulteriore dei tassi d’interesse all’1%, tagliandoli quindi di 25 punti base, l’erogazione di due operazioni di rifinanziamento illimitate della durata di 36 mesi alle banche in difficoltà e l’allargamento degli strumenti finanziari accettabili come collaterale. Tuttavia, Draghi ha ribadito che l’acquisto dei bond dei Paesi periferici non sarà permanente. Come scrive il Financial Times, la posizione di Draghi rimane allineata con quella tedesca, ma l’affidamento alla Bce della gestione del fondo Efsf assomiglia al Tarp, il piano di salvataggio messo in atto nel 2008 dall’amministrazione Bush e dalla Federal Reserve per fronteggiare la crisi legata ai mutui Usa. «Si è arrivati a conclusioni che saranno dettagliate e attuate nei prossimi giorni, siamo vicini all’accordo per il patto fiscale, una buona base per una disciplina nella politica economica dei paesi membri» ha detto Draghi stamani, seguendo la linea tedesca.
Coinvolgimento dei privati. Ribadendo quanto deliberato al Consiglio europeo dello scorso 21 luglio, quando è stato messo nero su bianco il secondo piano di salvataggio della Grecia, il coinvolgimento dei privati nei bailout seguirà la linea del Fmi. Lo ha detto presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, spiegando: «Il nostro primo approccio al coinvolgimento del settore privato è definitivamente tramontato». Spinta da Angela Merkel ma criticata da Eurotower, l’ipotesi prevedeva una ristrutturazione volontaria dei titoli periferici iscritti a bilancio dagli istituti di credito comunitari. Tuttavia, per i bond greci l’accordo sull’haircut, cioè il taglio al valore nominale, non è mai stato trovato anche se le ultime ipotesi si assestavano al 60 per cento. Nessun riferimento nemmeno alla questione che da una settimana è sulla bocca degli investitori di tutto il mondo: la garanzia comunitaria in caso di fallimento dei singoli Stati.