Prima di aiutare le banche lo Stato aiuti se stesso

Prima di aiutare le banche lo Stato aiuti se stesso

Ma davvero un sottoscrittore di obbligazioni di banche italiane potrà sentirsi tranquillizzato dalla presenza di una garanzia dello Stato italiano? L’articolo 8 della manovra del governo Monti prevede che «il ministro dell’Economia e delle finanze, fino al 30 giugno 2012, è autorizzato a concedere la garanzia dello Stato sulle passività delle banche italiane, con scadenza da tre mesi fino a cinque anni o, a partire dal 1 gennaio 2012, a sette anni per le obbligazioni bancarie garantite». Insomma, un governo nei guai per il troppo debito dovrebbe garantire i debiti di banche di cui il mercato diffida perché “imbottite” di titoli di quel governo indebitato. Per questa stessa ragione, peraltro, le predette banche sono state invitate a rafforzare il patrimonio attraverso aumenti di capitale per quasi 15 miliardi.

Nel 2012 si prevede che le principali banche europee dovranno raccogliere oltre 523 miliardi di euro sul mercato per necessità di rifinanziamento. Di questi, secondo calcoli effettuati da Mediobanca Securities, circa 23 sono di Intesa Sanpaolo, 38 miliardi di Unicredit, 14 del Banco Popolare, 11,8 di Ubi Banca, 15 del Montepaschi e uno della Popolare di Milano.  

Anche senza spolverare le ragioni degli indignados (“non paghiamo  per i debiti che non abbiamo fatto”), la previsione della manovra suona paradossale. Fino a quando il Tesoro italiano non è percepito come perfettamente solvibile, la garanzia dello Stato non aiuta e anzi crea diffidenza; nel momento in cui i problemi di affidabilità creditizia dello Stato saranno superati, a quel punto le banche potranno finanziarsi senza problemi. Semmai l’inserimento di questa misura, che peraltro recepisce l’accordo europeo del 26 ottobre scorso, rischia di essere letta in modo negativo: come l’ammissione di pesanti difficoltà sul fronte della liquidità delle banche italiane, ben oltre la percezione attuale. 

La convinzione degli analisti finanziari è che tutto ciò che lo Stato italiano possa fare per aiutare le banche è aiutare se stesso: magari con un intervento shock che riduca il debito. E questo oggi può essere fatto solo attraverso la vendita di pezzi di patrimonio statale. Mediobanca ha calcolato che le partecipazioni in società controllate dal Tesoro, quotate e non quotate, si aggira intorno a 60 miliardi (escludendo le quote di Eni e Terna detenute dalla Cassa Depositi e Prestiti). E poi c’è il capitolo immobili pubblici, più lenti da vendere, ma non per questo da trascurare: 62 miliardi quelli facilmente commercializzabili, di cui 7 già liberi e disponibili per la vendita. Abbattere di 50 o di 100 miliardi il debito pubblico, insomma, non sarebbe impossibile, e sarebbe un propellente di fiducia più efficace di qualsiasi intervento Ue.

Ma allora perché la previsione di questa garanzia? «L’Eba (l’Autorità bancaria europea, ndr) aveva chiesto di fornire alle passività bancarie una garanzia di tipo europeo, in un discorso per certi versi simile a quello sugli Eurobond – spiega Angelo Baglioni, professore di economia politica all’Università Cattolica di Milano – Ma questo si è scontrato contro i veti politici, e quindi si è dovuto ripiegare su una garanzia a base nazionale».

Una scelta che risulta penalizzante per le banche italiane, e in prospettiva può aumentare il divario con quelle tedesche o francesi. «Al momento questa garanzia non vale molto per ovvie ragioni – continua Baglioni – ma naturalmente potrebbe valere qualcosa in più se le cose di metteranno in sesto». Poiché il costo della raccolta delle banche è una funzione di quello dei loro governi, «questo implica che i costi di raccolta delle banche aumenteranno», osservano gli analisti di Mediobanca.

La riduzione dello spread Btp-Bund sotto 400 punti, registrato oggi, è sicuramente un elemento confortante. Ma nessun banchiere, al momento, può scommettere sul proseguimento di questa inversione di tendenza. Le garanzie eventualmente fornite, a fronte delle quali paga una commissione allo Stato, non comporterebbero esborsi di cassa, e non aumenterebbero il debito pubblico. Salvo il caso malaugurato in cui la banca garantita non fosse più in grado di onorare i suoi impegni. E in quel caso toccherà ai contribuenti farsi carico dell’insolvenza bancaria.

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