«Auditel è stato comunque costretto a consegnarci il trofeo di una trasmissione che parte da zero ascoltatori e arriva al dodici per cento». Così Michele Santoro chiude una querelle che mai avrebbe voluto cominciare. Il re degli ascolti (di una volta) deve difendersi dagli attacchi di chi, dati alla mano, gli fa notare che in Servizio Pubblico va bene il servizio ma, purtroppo, manca il pubblico. Un fuoco di fila bipartisan. Non bastano le bordate di Libero e Giornale: ora anche Repubblica – con un articolo di Curzio Maltese – ha spiegato che, senza Silvio, nemmeno Santoro va. Un’analisi non molto originale ma senz’altro vera.
E lui, allora, come si difende? Nella sua lettera al Fatto Quotidiano, Michele Santoro spiega chi sono i veri colpevoli. I Guzzanti, per esempio. E poi Celentano. E anche Daniele Luttazzi, e Beppe Grillo. Non fidandosi del progetto, si sono tutti tirati indietro. Li rispetta, certo. Anche se, una volta, quando in Rai toccava perfino il 20%, erano lì a scalciare nel suo studio. Ora, chissà dove sono. Santoro però rispetta meno il silenzio dei partiti, come il Pd, che non ha fatto nulla per lui. È rimasto solo, senza pubblico, tradito dagli amici. Si può capire perché scarichi il barile. Neanche gli anarchici gli buttano più giù i ripetitori.
Chiariti i colpevoli, si va al problema: l’Auditel non è una misurazione attendibile. Punto. Questo afferma Santoro. Del resto, ne ha solo interesse. Secondo gli ultimi dati, Servizio Pubblico ha perso sangue per settimane, e solo giovedì avrebbe recuperato terreno: lo share è del 6,89%. Santoro si è cavato lo sfizio di superare Formigli, impantanato nel 6,35%, ma rimane basso. Intanto, in Rai, il picco lo ha fatto la fiction “Che Dio ci aiuti”. E, per Santoro, non sembra inappropriato. In ogni caso, Silvio o non Silvio, Dio o non Dio, la linea difensiva va contro l’Auditel. Penalizza un programma nuovo distribuito su reti regionali, su un complesso di network che unisce la rete alle frequenze e al digitale. In poche parole, è poco serio valutare gli ascolti con i soliti parametri, che sono poco trasparenti.
Ma leggiamo queste altre parole di Santoro. «È in atto una rivolta contro il degrado della tv generalista occupata dai partiti, sia nel pubblico che nel privato. Lavoreremo per estendere questa rivolta, per trasformarla in rivoluzione. E la rivoluzione, a guardare il grande successo di ieri sera, è già cominciata». Eh, già. Era il 4 novembre, però: a mattina dopo la prima puntata. Il risultato era stato così esaltante che Santoro parlava perfino di rivoluzione. Aveva avuto il 12,03% di share. I telespettatori erano milioni di milioni. «Il nuovo programma di Michele Santoro è stato il terzo più visto della serata tv», si chiudeva il comunicato, dopo una sfilza di dati che sembravano fuochi d’artificio, botti, baci e abbracci. Ci vediamo giovedì, diceva. E invece non si sono più visti.
Forse, all’epoca – quando c’era ancora Silvio, certo – Santoro voleva ancora bene ai Guzzanti, avrebbe invitato a cena Luttazzi e senz’altro era in ottimi rapporti con Beppe Grillo. Curzio Maltese, ne siamo certi, lo rispettava ancora. In Rai, poi, non ci si augurava “Che Dio ci aiuti”, ma imperava ancora la solida figura di Don Matteo. E, chissà perché, l’Auditel era ancora molto, ma molto attendibile.