articolo originariamente pubblicato il 10 gennaio 2012
Stavolta è un addio. Esattamente due anni dopo il nuovo accordo sulla tariffazione elettrica agevolata per i suoi impianti di Portovesme (nella provincia di Carbonia Iglesias) e Fusina (vicino Venezia), Alcoa ha deciso di salutare la Sardegna per sempre. E dire che, tra il 1995 e il gennaio 2012, secondo i calcoli de Linkiesta confermati da fonti interne alla Cassa conguaglio per il settore elettrico – l’ente che si occupa di riscuotere ed erogare sotto forma di incentivi i fondi che derivano dalle bollette – lo sconto concesso al gigante Usa è costato ai contribuenti italiani 1,5 miliardi di euro.
«A Portovesme, Alcoa inizierà il processo di consultazione per chiudere permanentemente l’impianto», si legge nella nota diramata a inizio gennaio dal gigante americano dell’alluminio, che tradizionalmente apre la stagione delle trimestrali a Wall Street. La diminuzione della capacità produttiva, che coinvolge anche altri due impianti a La Coruña e Aviles, rientra in un piano «volto a ridurre la capacità totale di produzione di alluminio primario del 12%, ovvero di 531mila tonnellate». Colpa, dicono da New York, dell’eccessiva volatilità dei prezzi del metallo, che ha perso il 30% del suo valore dal picco del 2011 per via dell’elevata instabilità delle materie prime sui mercati, che si è tradotto in una perdita, nel quarto trimestre dell’anno, pari di 193 milioni di dollari e ha annullato l’effetto positivo delle consegne, in crescita del 5,1 per cento rispetto ai tre mesi precedenti. Tuttavia, le stime sui ricavi del 2012 annunciate da Alcoa hanno superato le aspettative e stanno spingendo al rialzo Wall Street. La società quindi ha prospettive più che rosee per l’anno appena iniziato.
Numeri deludenti, a cui dovranno essere aggiunti 300 milioni di euro che, stando ad una sentenza della Corte di giustizia europea dello scorso luglio, dovrà restituire allo Stato italiano per aver illecitamente usufruito di un regime di tariffazione elettrica tra il 2006 e il 2009, configurabile come “aiuto di Stato”. Contattata da Linkiesta, la società ha fatto sapere: «La decisione emessa nel novembre 2009 non è stata ancora discussa in termini definitivi». Il ricorso è dunque ancora pendente, spiegano da Alcoa, poiché, per ora, «la Corte suddetta si è pronunciata positivamente solo sulla competenza della Commissione ad esaminare il caso in oggetto, mentre si attende nel corso della prima metà del 2012 una sentenza di accoglimento o respingimento del ricorso dell’azienda».
Il tema non è nuovo. È dal 1995, infatti, che lo Stato italiano concede agevolazioni ai due stabilimenti di Alcoa. Il perché è molto semplice: l’elettrolisi, cioè il procedimento tramite cui dalla bauxite si ottiene l’alluminio, necessita di un apporto costante di elettricità.
Per ogni tonnellata di alluminio servono circa 30 megawatt/ora di energia. Un valore enorme se raffrontato per esempio a quanto serve per produrre una tonnellata di acciaio (0,5 MW), o di carta (7,6 MW). Nel comunicato di ieri, la società stima la capacità di Portovesme, l’impianto più energivoro d’Italia – che impiega un migliaio di dipendenti, incluso l’indotto – in 150mila tonnellate l’anno, pari dunque a 4,5 terawatt.
Stando alle condizioni negoziate due anni fa dal ministro dello Sviluppo Economico Claudio Scajola per trattenere Alcoa in Sardegna, il prezzo per ogni mille kilowattora era stato fissato in 35 euro, con uno sconto del 50% rispetto alle tariffe di mercato, valido per le grandi società basate in Sicilia e Sardegna, prorogato due mesi fa fino a fine 2012. Incentivi già pagati dai cittadini italiani in passato «sotto forma di un prelievo parafiscale applicato alla generalità delle utenze di elettricità del mercato sia vincolato che libero in Italia», come si legge nella notifica della Commissione europea C/214, datata 19 luglio 2006, anno in cui lo sconto in questione finisce nel mirino dell’antitrust comunitario.
Come mai? Nella legge 80 del 2005 compare una proroga al regime agevolato «a tutto l’anno 2010 alle condizioni tariffarie di cui al 31 dicembre 2004». Peccato che, in seguito alle liberalizzazioni del decreto Bersani, il mercato energetico italiano sia completamente cambiato. Una situazione inaccettabile per Neelie Kroes, il commissario Ue alla Concorrenza. In realtà, Bruxelles aveva già acceso un faro su Alcoa nel 1996, ritenendo alla fine che le tariffe preferenziali stipulate dall’allora monopolista Enel non erano configurabili come aiuti di Stato, ma uno sconto commerciale in Regioni caratterizzate da una sovracapacità produttiva.
Le cose cambiano nel 2004, quando l’Authority per l’energia affidala gestione della componente compensativa, cioè la differenza tra il costo di mercato e quello agevolato, alla Cassa conguaglio per il settore elettrico, non potendo più imporre uno “sconto commerciale”. Proprio dalla Cassa, che dipende dall’Authority per l’energia elettrica e il gas e dal ministero dello Sviluppo Economico, confermano che è possibile quantificare in 100 milioni l’anno circa la sperequazione tra la tariffa di mercato e quella speciale per Alcoa.
Il regalo, a quanto pare, non è bastato. «Abbiamochiesto un incontro con il ministro Passera, ma l’azienda ha intenzione di aprire una procedura di mobilità» spiega a Linkiesta Marco Bentivogli, segretario nazionale Fim Cisl. «Abbiamo inoltre chiesto che almeno le celle in cui avviene l’elettrolisi restino accese durante la fase di discussione, perché se venissero spente la loro ricostruzione costerebbe milioni di euro». Dall’Alcoa hanno fatto sapere: «Siamo impegnati nel trovare soluzioni che minimizzino l’impatto sulle comunità locali e sui lavoratori» per bocca di Chris Ayer, executive vice president della multinazionale. Insomma, questa volta non sarà un arrivederci: «Da parte del top management sentito una perentorietà dei toni ben diversa rispetto al 2010», osserva Bentivogli. Questa volta è davvero un addio.
Twitter: @antoniovanuzzo