L’ultimo atto del ministero della Giustizia sulle carceri pugliesi è l’invio degli ispettori nell’istituto penitenziario di Trani per accertare se siano state commesse irregolarità in riferimento alla morte di Gregorio Durante, 34enne di Nardò (Lecce) deceduto il 31 dicembre scorso. Il tutto a seguito dell’apertura dell’inchiesta disposta dalla procura della Repubblica di Trani sulla base di una denuncia per presunti maltrattamenti presentata dai famigliari, anche se sono ancora tutte da chiarire le cause del decesso. Al vaglio del pm Luigi Scimè ci sarebbero le condizioni del regime carcerario, l’isolamento e un’eventuale errata valutazione medica dello stato di salute del detenuto. Sott’indagine sono finite 14 persone, tra cui il direttore dell’istituto.
È solo l’ultima riga di un bollettino da anni colmo di notizie su suicidi, tentati suicidi, atti di autolesionismo e proteste, aggressioni ad agenti di polizia penitenziaria (sottorganico), assistenza sanitaria e servizi igienico-sanitari non adeguati, strutture fatiscenti e celle sovraffollate con letti a castello alti fino a cinque metri. Tra il 2010 e il 2011 sono stati mesi di umanità e civiltà in bianco e nero. A Lecce per l’allerta sanitaria dovuta a casi di tubercolosi, scabbia e varicella. A Brindisi per il tentativo di suicidio di un detenuto che cerca di ingoiare il rasoio e viene poi salvato da agenti e medici. A Foggia e a Bari per due detenuti che s’impiccano usando pantaloni e lenzuola come cappi artigianali. Una situazione che a ottobre il direttore della unità operativa di igiene del Policlinico di Bari, Michele Quarto, ha riassunto così: «Il rischio sanitario nei penitenziari e nei Cie pugliesi è altissimo. Parliamo di vere e proprie bombe epidemiologiche pronte a esplodere».
L’allarme viene lanciato da tempo anche da gran parte delle sigle sindacali di categoria, tutte d’accordo nel definire la realtà carceraria della Puglia come “esplosiva” e “in emergenza”. Protestano e inviano segnalazioni giornaliere poliziotti e agenti penitenziari, associazioni di volantariato, camere penali, medici di famiglia, consiglieri regionali e sindaci. Un coro unanime che a luglio scorso ha portato la Regione Puglia, terza in Italia dopo Lazio e Sicilia, a dotarsi di un garante dei detenuti (il sociologo barese Pietro Rossi votato da Pd e Pdl) anche se con un ritardo di cinque anni rispetto alla legge d’indirizzo voluta da Nichi Vendola nel 2006 con la riforma del welfare regionale. Una figura definita da più parti utile anche per rilanciare mediaticamente le patologie del sistema e che intanto porta a casa il 20% dell’indennità lorda annua di un consigliere regionale (in Puglia 9800 euro al mese) oltre a pesare sul bilancio per 50mila euro, i soldi ritenuti dalla Regione necessari per gestire un ufficio con massimo due collaboratori.
Dal Gargano al Salento le celle scoppiano di detenuti e sono le più affollate d’Italia. Lo certificano gli ultimi dati sulla situazione carceraria nazionale forniti il 31 dicembre scorso dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) del ministero della Giustizia. Gli istituti di pena nella regione sono undici e, secondo i limiti di legge, dovrebbero ospitare un massimo di 2.463 detenuti. Niente di tutto questo: ci sono in tutto 4.488 detenuti (214 donne e 886 stranieri), con la percentuale di sovraffollamento più alta del Paese, ovvero l’82,2% in più rispetto ai limiti definiti dal Ministero, più dei dati monitorati in Lombardia (+72,8% con 3944 presenze in più della capienza regolamentare) e Emilia Romagna (+64,4% con 1.547 detenuti in sovrannumero).
“Densità abitativa” delle celle al collasso come accade nel resto del Paese dove i detenuti in sovrannumero arrivano a 21.197 (45.700 il limite), fatta eccezione per il Trentino che ospita “appena” 376 detenuti in due istituti di pena con un totale di 520 posti letto. Nelle carceri della “terra degli ulivi” si sta come sardine e l’ennesima conferma è arrivata da “Le prigioni malate”, l’ottavo Rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia stilato dall’associazione Antigone che ogni anno dal 1998 visita gli istituti di pena su autorizzazione del Ministero.
Intanto a Foggia, stando all’ultimo aggiornamento del Dap, sono in 754 in una struttura nata per ospitare 371 detenuti, a Bari 504 in un carcere di 292 posti, a Brindisi 215 anziché 147, a Lucera 259 con una soglia fissata invece a 156, a San Severo 92 in una casa circondariale realizzata per 64, ad Altamura (carcere per soli “sex offender”) sono 91, ma il limite è 52. A Trani, tra carcere e casa di reclusione femminile, sono 391 in strutture che invece possono contenerne fino a 274. Turi, il carcere di Pertini e Gramsci visitato a novembre dal presidente Giorgio Napolitano, ne ha 152 con una capienza limite stabilita a 112.
A Taranto, come accaduto da Asti a Vibo Valentia, undici detenuti hanno fatto appello direttamente alla Corte europea dei diritti dell’uomo per le condizioni “inumane” in cui sono costretti a vivere ogni giorno. Sono in tutto 642 in un carcere costruito per contenerne 315: sono addirittura fino a 3-4 persone in celle di 13,5 metri quadri peraltro buie e in alcuni casi senza l’interruttore per l’accensione della luce. In queste quattro mura passano 20 ore al giorno, il resto della giornata si ritrovano in un bagno senza finestra e acqua calda. Non ci sarebbero, infatti, altri spazi per la socialità e dal 2006 non si può accedere al campo sportivo.
La situazione più preoccupante resta Lecce: qui si arriva addirittura a quota 1.362 in un palazzone per 680 posti. A settembre scorso, il giudice del Tribunale di sorveglianza salentino ha emesso non a caso una sentenza destinata a fare giurisprudenza in tema di condizioni inumane di detenzione dopo il noto caso del bosniaco Sulejmanovic del 2009: ha condannato l’amministrazione penitenziaria a risarcire il “danno esistenziale” causato a un detenuto straniero per il sovraffollamento della sua cella progettata per uno ma condivisa in tre. Il riconoscimento è stato minimo (220 euro) ma in ogni caso ha fatto scattare decine di ricorsi.
In questi giorni si è riaperto così il dibattito sulle strutture cosiddette “fantasma”, quelle che negli ultimi 40 anni, per strane scelte della politica o per stalli della macchina amministrativa, sono state realizzate, arredate e poi inutilizzate, in altri casi “tagliate” o lasciate a marcire. In Puglia sarebbero in tutto 12, tra cui i penitenziari di Accadia e Castelnuovo della Daunia nel Foggiano, il primo consegnato nel 1993, comunale e mai utilizzato, il secondo arredato e ultimato dal 1996 ma mai aperto, e quello di Monopoli nel Barese, mai inaugurato, ma da 30 anni occupato abusivamente da sfrattati.
Nel frattempo ci si aggrappa al “Piano carceri” del 2010 in mano al giudice Franco Ionta, capo del Dap. In Puglia il programma prevede entro la fine del 2012 la creazione di 1.050 nuovi posti, tra l’ampliamento dei penitenziari di Lecce, Taranto e Trani (200 unità in più in ogni nuovo “padiglione”) e la costruzione di un nuovo istituto da 450 posti a Bari nell’area dello stadio San Nicola. Non è ancora chiaro se si riuscirà a consegnare le opere in tempo e, anche se il commissario delegato procede in deroga alle ordinarie competenze, velocizzando procedure e semplificando gare d’appalto, si sa già che il piano non sarà in grado di colmare il surplus di presenze né sarà sufficiente a risolvere lo stato di emergenza prorogato dallo stesso Ionta il 20 dicembre scorso: nelle carceri regionali ci sono 2.025 detenuti in più rispetto alla soglia di legge e nel bilancio dell’amministrazione penitenziaria regionale pesa la quota di 1.113 persone ancora in attesa di primo giudizio.