Per qualcuno sarebbe una mossa geniale e “una soluzione d’alto profilo istituzionale” per tirare fuori dalla palude Banca Mps e l’intera città di Siena, che per decenni ha prosperato attorno a due poli: la banca e l’università. Per qualcun altro è invece l’ennesima trovata di un sistema di potere che ha già portato allo sbando tanto la banca quanto la fondazione che la controlla. Di certo c’è solo che, mentre si avvicina la data, il 20 gennaio, entro la quale deve spiegare come troverà 3,2 miliardi di euro per rafforzare il patrimonio, la Banca Monte dei Paschi di Siena è diventata il terreno di una guerra per bande. Ma sarebbe meglio dire di una guerra per banche. Uno scontro tutto interno al Partito democratico, e che corre lunga la faglia che contrappone la fazioni locali di ex Ds ed ex Margherita, per occupare i posti chiave della banca di Rocca Salimbeni e della fondazione che la controlla. Ma da Roma anche il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, segue il dramma senese con preoccupazione.
A Siena di una “tregua istituzionale per Mps” si parla con crescente insistenza, anche perché il sindaco Franco Ceccuzzi la sta testando riservatamente per preparare il terreno. Il tutto, ovviamente, con la benedizione dell’ex rettore, ex ministro e ora parlamentare europeo, Luigi Berlinguer, uno dei pilastri del potere politico cittadino. Le versioni riferite da una parte e dall’altra non sempre collimano, ma a grandi linee lo stato dell’arte è il seguente.
La trovata degli ex Ds è che la presidenza della Banca Mps venga affidata a Giuliano Amato. Già ministro del Tesoro, ex presidente del Consiglio, deputato eletto a Siena e soprattutto riserva della Repubblica in servizio permanente effettivo, Amato è in stretti e consolidati rapporti con Franco Bassanini, ex ministro anche lui, attuale presidente della Cassa Depositi e Prestiti, e soprattutto uno dei punti di riferimento nazionali della politica senese e degli ex Ds in particolare.
In un primo momento per la presidenza della banca si era pensato proprio a Bassanini: ma a quanto pare di lasciare la Cdp non ne vuole proprio sapere. Nemmeno di spingere la Cassa Depositi e Prestiti a intervenire in soccorso della banca senese, come molti chiedono nella città del Palio. Dieci anni fa, furono proprio Bassanini e Amato ad accompagnare l’ascesa di Mussari alla Fondazione Mps, da cui poi passò nel 2006 alla presidenza della banca. Fu l’inizio della fine: un anno dopo l’avvocato calabrese, che oggi è anche presidente dell’Abi, firmò il blitz dell’acquizione di Antonveneta, costata la bellezza di 9 miliardi di euro. Una cifra che sembrò spropositata già all’epoca, quando la crisi dei subprime era scoppiata da pochi mesi. Da lì in avanti, per la fondazione è stata un’emorragia di risorse: investite per sostenere una banca che però non si è più ripresa da un’operazione infelice.
Negli incontri riservati che si susseguono da giorni, Ceccuzzi ha più volte ventilato il nome dell’ex presidente del Consiglio: Amato potrebbe dare la sua disponibilità per puro spirito di servizio verso una città cui è molto legato, si racconta, accettando addirittura solo compenso simbolico. Sono solo chiacchiere e velleità, o c’è qualcosa di più concreto? Certo è che per portare a termine il loro piano di gestione di una crisi che sta facendo saltare equilibri di potere politico-finanziari consolidati, gli ex Ds vogliono avere in mano tutte le leve del potere. Fra queste c’è la presidenza della Fondazione Mps, che controlla circa il 50% della banca. Qui Ceccuzzi vorrebbe piazzare Alessandro Piazzi, amministratore delegato di Estra, la multiutility locale.
Da tempo il sindaco insiste nel chiedere discontinuità, anche se è stato proprio lui, da sindaco e prima ancora da dirigente di partito, uno dei più convinti assertori del legame indissolubile tra Fondazione Mps e banca, fino alla débâcle di questi giorni. Mancini non ci ha pensato due volte a ricordare al sindaco e agli enti locali coinvolti nella gestione dell’ente di essere stato un mero esecutore delle direttive ricevute. Cosa che non attenua le sue responsabilità di amministratore della fondazione, ma che di certo è un argomento spendibile nella guerriglia politica in atto. In ogni caso, non pare intenzionato a mollare il mandato prima della naturale scadenza, nel 2013.
Qualche testa è già rotolata. Nel giro dell’ex Margherita, che ha il suo storico leader nell’attuale presidente del Consiglio regionale della Toscana, Alberto Monaci – il fratello Alfredo è presidente della controllata di Mps, Biverbanca –, non è stato preso troppo bene il licenziamento del direttore generale Antonio Vigni, prima vittima della “discontinuità” voluta da Ceccuzzi. Nello stesso tempo il sindaco mantiene un atteggiamento di ambiguità verso Mussari, il principale artefice della storia e delle scelte della banca.
Proprio oggi, il cda della banca procederà alla nomina del nuovo dg, Fabrizio Viola, scelto personalmente da Mussari, che continua a godere del pieno appoggio del sindaco Ceccuzzi e di tutto l’apparato di potere ex ds. In un primo momento, per Viola si pensato alla nomina ad amministratore delegato, ruolo che implica l’ingresso in cda. È stata chiesta la disponibilità a lasciare l’incarico ad Ernesto Rabizzi, attuale vicepresidente della banca, area Margherita. Ma né Rabizzi né nessun altro degli altri consiglieri indicati dalla fondazione ha acconsentito a fare un passo indietro, chi per non fare arretrare la propria fazione, chi per amore della poltrona.
E questo è solo l’assaggio per la grande battaglia di aprile, quando scadrà il mandato del consiglio di amministrazione della banca. Per accelerare i tempi, sono state ventilate le dimissioni della maggioranza dei membri della Deputazione amministratrice (il cda) della fondazione, in modo far decadere tutto l’organo, e quindi anche Mancini. Ma è un passo che persino i più agguerriti della fazione diessina esitano a fare.
La fondazione vive infatti un momento delicato, il peggiore dei suoi cinquecento anni di storia. Ha quasi un miliardo di debiti, garantiti da pegno su azioni Mps. Causa crollo delle quotazioni del titolo (ora poco sopra 0,2 euro per azione), la garanzia è diventata insufficiente: occorrerebbe mettere sotto vincolo altre azioni. Il rischio è di vedersi sfilare il controllo della banca, senza colpo ferire. Con le banche creditrici è stato raggiunto un accordo di congelamento del meccanismo di reintegro del pegno fino al 15 marzo 2015. Una data che è dietro l’angolo, e che sconsiglia colpi di mano azzardati, che potrebbero provocare vuoti di potere e paralisi decisionale. Ma nella cose di finanza a Siena sembrano avere perso da tempo l’arte del buon governo. Perciò, dietro le quinte ma neanche troppo, continua la faida di potere per spartirsi le macerie di quello che è stato il tesoro della città di Siena.
Twitter: @lorenzodilena