Dopo i taxisti, anche gli avvocati sono sul piede di guerra. L’abolizione delle tariffe minime e massime inserite nei provvedimenti approvati venerdì scorso dal governo è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Al punto che il consiglio nazionale forense non ha usato mezzi termini nel criticare il Governo, accusato di aver agito «in modo opaco, autoritario e senza cercare il confronto con l’avvocatura».
È un vero e proprio grido d’allarme quello degli avvocati, che già nei giorni precedenti avevano approvato un documento unitario nel quale avevano scritto: «Così si smantella l’Avvocatura, per i cittadini più spese e meno garanzie». E ancora: «L’avvocatura ha proposte utili e efficaci […] per rilanciare l’efficienza del sistema giudiziario, questa sì una questione di democrazia».
Nulla da dire sulla legittimità da parte del consiglio nazionale forense a difendere gli interessi corporativi. Fa però effetto sentire simili accorati appelli alla necessità di tutelare i cittadini dal rischio di sborsare ancora più denaro per sperare di avere giustizia e di garantire maggiore efficienza del sistema giudiziario. Perché gli appelli provengono da parte di chi sta di fatto boicottando lo strumento della mediazione obbligatoria in ambito civile e commerciale, introdotto nel nostro ordinamento dal marzo dell’anno scorso proprio per accelerare notevolmente i tempi della giustizia e tagliarne fortemente i costi.
Il Decreto legislativo n. 28 del 2010 sulla mediazione ha attuato la direttiva europea 2008/52/ce. Si tratta di una riforma rilevante, con cui, sull’onda di una consolidata tradizione anglosassone ed analogamente a quanto sta succedendo nella gran parte dei paesi europei, si è offerta alle parti uno strumento generale alternativo alla via giudiziale. I numeri, a cui ha fatto riferimento il Ministro nella recente relazione al Parlamento sullo stato della giustizia, confermano purtroppo che la mediazione non sta decollando.
Vi è certo da considerare che l’obbligatorietà della mediazione in materiadi condominio e risarcimento del danno derivante da circolazione di veicoli e natanti – ossia su due ambiti dove la litigiosità è altissima e di conseguenza la quantità di liti giudiziarie – è stata differita al prossimo 21 marzo. Nel 2011 il bilancio sulla mediazione, che avrebbe potuto interessare almeno 6-700mila procedimenti, non è esaltante: a novembre dello scorso anno le mediazioni registrate sono state circa 53mila, che a fine 2011 dovrebbero essere salite a 56-57mila. Si tratta di dati deludenti. Soprattutto se si considera che i processi civili pendenti sono quasi 6 milioni, che per avere una sentenza servono più di 7 anni (2mila 645 giorni) e che il nostro Paese, nel rapporto “Doing Business 2010” si classifica al 157° posto su 183 paesi censiti, con una durata stimata per il recupero del credito commerciale pari a 1210 giorni, contro i 394 della Germania.
È evidente come quasi 3 anni e mezzo per definire una lite commerciale rappresentino un ostacolo alla competitività delle imprese, costrette a vincolare risorse per tutto il tempo del giudizio – una stima recente parla di oltre 20 miliardi di euro – che diventano quindi improduttive anche in caso di esito favorevole nella controversia.
Come ha ricordato il Ministro Severino nella sua relazione in Parlamento proprio il fenomeno della lentezza della giustizia «determina un ulteriore intasamento del sistema conseguente al numero progressivamente crescente di cause intraprese dai cittadini per ottenere un indennizzo conseguente alla ritardata giustizia. Al riguardo i numeri non ammettono equivoci. Approvata la legge (n. 89 del 2001 a tutti nota come legge Pinto) che consente di indennizzare l’irragionevole durata del processo si è verificata una vera e propria esplosione di questo contenzioso passato dalle 3mila 580 richieste del 2003 alle 49mila 596 del 2010. Un secondo effetto negativo indotto da tale contenzioso è quello dell’ulteriore dilatazione dei tempi di definizione dei giudizi presso le Corti di Appello (cui è assegnata la competenza a decidere nella specifica materia) che si aggiunge all’entità ormai stratosferica e sempre crescente degli indennizzi liquidati: si è passati dai 5 milioni di euro del 2003, ai 40 del 2008 per giungere ai circa 84 del 2011».
«La mediazione – ci conferma Francesco Pifferi, legale di Bologna e Milano, esperto mediatore presso la Camera di Commercio della città emiliana, consigliere dell’Associazione Nova Civitas di promozione della cultura della mediazione – è innanzitutto un’occasione irripetibile per le parti, un’opportunità “con la O maiuscola” perché se il tentativo del mediatore non va a buon fine difficilmente alle parti si presenteranno altre occasioni per trovare un accordo; e poi la mediazione, come introdotta dalla riforma pur se migliorabile, ha il pregio di avere tempi rapidissimi di risoluzione (spesso bastano poche ore!), costi certi e contenuti, riservatezza».
Rispetto ai costi del procedimento attuato in un organo pubblico come le Camere di Commercio, le parti devono anticipare le spese di avvio del procedimento, pari a 40 euro e pagare quelle di mediazione, che variano in relazione al valore della lite: 65 euro fino a 1000 euro di valore della lite, 130 euro da 1001 a 5mila euro, 240 euro da 5001 a 10mila euro, fino ad arrivare ad un massimo di 9mila 200 euro per un valore superiore a 5 milioni di euro. Sono inoltre previste delle agevolazioni fiscali, poiché alle parti è riconosciuto, in caso di successo della mediazione, un credito di imposta fino a concorrenza di 500 euro e, in caso di insuccesso della mediazione, 250 euro. Un’analisi svolta da Unioncamere sull’attività di mediazione svolta nei primi sei mesi dall’introduzione dell’obbligatorietà della mediazione civile e commerciale, evidenzia l’estrema convenienza della giustizia alternativa rispetto alla via ordinaria, sia in termini di costi sia in termini di tempi per la soluzione delle controversie.
Sotto il primo profilo, il confronto tra il costo medio di una procedura di mediazione presso le Camere di commercio e quello di una causa davanti al giudice ordinario – stimato dalla Banca Mondiale nel suo tradizionale rapporto “Doing Business” – dimostra come la prima incida per circa il 3,5% del valore della controversia, mentre nel secondo caso, far valere il proprio diritto costa il 29,9% del valore della causa. In altri termini, ciò significa che in media ogni conciliazione costa quasi dieci volte di meno di una causa che finisca in tribunale. Considerando che il numero, seppur ancora esiguo, di mediazioni dovrebbe essersi attestato attorno a 57mila nel 2011, si può stimare che il risparmio realizzato lo scorso anno a livello complessivo sia stato attorno a 130 milioni di euro. Mettendo in relazione il valore delle mediazioni e l’esito delle procedure, emerge chiaramente come gli italiani – in questa prima fase di “rodaggio” della riforma – abbiano riconosciuto l’utilità della conciliazione soprattutto per le vertenze di importo più modesto.
Dai dati di Unioncamere si può infatti osservare come nelle vertenze fino a mille euro di valore, la probabilità che la mediazione si concluda con un accordo tra le parti raggiunge quasi il 90% dei casi. Se poi il valore sale a 5mila euro, la probabilità di un accordo si attesta al 75%, mentre se si sposta l’asticella fino a 10mila euro (valore entro il quale si colloca il 53% di tutte le procedure gestite dalle Camere di commercio) la probabilità di raggiungere un accordo soddisfacente si mantiene vicina al 70%. Quasi una controversia su sei (il 16,2%) tra quelle sottoposte ai Servizi di conciliazione camerali e giunta alla definizione, ha avuto a che fare con la proprietà o l’uso di beni immobili.
Tutte le altre – ad eccezione della categoria dei contratti di locazione, che rappresenta il 10,2% dei casi – si collocano al di sotto della soglia del 10%, a testimonianza che la mediazione non si presta a risolvere solo poche tipologie di vertenze ma che, invece, riesce a dare risposte concrete alla domanda di giustizia di cittadini e imprese in numerosi settori. Oltre a quelle già citate, tra le tematiche più ricorrenti si segnalano le mediazioni sui contratti bancari (8,8%), su quelli assicurativi (7,5%), sul risarcimento danni da responsabilità medica (5,7%), sulle divisioni di beni (5,1%) e sulle successioni ereditarie (4,8 per cento). Infine, aggregando tra loro le categorie più affini, si può notare come il settore dei contratti bancari, assicurativi e finanziari concentri il 20% di tutte le mediazioni. C’è però da considerare che mentre in presenza delle parti il tentativo di mediazione si conclude con successo nel 60% dei casi, in quasi 7 casi su 10 una delle parti non compare dinanzi al mediatore.
Questo a conferma del fatto che quanto meno è ancora forte la diffidenza verso l’istituto della mediazione, in particolare da parte della classe forense. Ciò, nonostante nell’80% dei casi le parti partecipino alla mediazione con l’assistenza di un legale di fiducia e dunque venga scongiurata quella minorata tutela tecnica delle parti, addotta tra i motivi “ufficiali” con cui gli organi di rappresentanza dell’avvocatura contestano la mediazione.
Come scrive Francesco Paolo Luiso, professore ordinario di diritto processuale civile all’Università di Pisa, nel “Quarto rapporto sulla diffusione della giustizia alternativa in Italia” , «è il professionista […] a dover avere presente e quindi a proporre al proprio cliente la possibilità di cercare una soluzione negoziale del conflitto attraverso un procedimento di mediazione. La cultura della mediazione deve essere quindi diffusa soprattutto tra gli avvocati […]». I quali però, non paiono particolarmente interessati a promuovere l’utilizzo dello strumento alternativo alla via giudiziale. Se ne trae ulteriore conferma dal fatto che sono solo 39 su 770 gli organismi di mediazione promossi dagli ordini degli avvocati territoriali, ma anche da quanto scrive il consiglio nazionale forense nel suo manifesto unitario varato, come detto, nei giorni scorsi: «In questo quadro di vero e proprio “smantellamento” della giurisdizione» vanno collocate «le norme sulla mediazione finalizzata alla conciliazione» e sistemi di risoluzione alternativa delle controversie «non possono e non devono concretizzarsi in forme di ostacolo al ricorso da parte del cittadino al giudice, così come garantito dalla Costituzione». Affermazioni forti, quelle del consiglio nazionale forense, che però cozzano violentemente con la realtà dei fatti, per cui il ricorso al giudice significa nella grandissima parte dei casi affrontare un vero e proprio calvario, percorso ad ostacoli fatto di tempi irragionevolmente lunghissimi e parcelle conseguentemente salate.
Senza considerare, come puntualizza Pifferi che «in una causa pendente gli avvocati si incontrano ogni morte di papa in udienza (ogni sei mesi quando va bene!), i giudici cambiano, le parti non hanno occasione di contatto personale se non nei limiti ristrettissimi permessi al giudice dalla legge, ma di fatto non hanno spazio per esprimere il proprio punto di vista e perchè possa esserci un vero confronto». Quel confronto che è possibile riavviare nella mediazione e che in un paese normale è la pre-condizione necessaria per rispondere effettivamente alla domanda di giustizia; domanda di giustizia che non può essere affidata, vista l’alta conflittualità e complessità della nostra società, ai soli giudici, ma abbisogna appunto di soluzioni alternative innovative.
Materie per cui è prevista la mediazione obbligatoria (con l’asterisco a partire dal 21 marzo 2012)
Costi per mediazione presso organismi per mediazione pubblici