La nuova protesta del web parte da Twitter e dal cinguettio della deputata campana del PD Pina Picierno «Facciamo capire a ’ste bestie che quel territorio non e’ il loro? Chi c’è?! Forzaaaa. Occupiamo Scampia!» seguito dall’hashtag #occupyscampia e, così, inizia subito il ping pong della tematica tra giornalisti, social reporter e cittadini a seguito dell’allarme pubblicato da Il Mattino in cui si racconta il diktat dei clan agli abitanti di Scampia: coprifuoco a partire dalle 19:30.
«Purtroppo è tutto vero. La parte sana del commercio, che insiste soprattutto sul quartiere di Secondigliano, è costretta a ”inchinarsi” di fronte alla prepotenza dei clan. Questo vuol dire sottomettersi al diktat del coprifuoco ma anche limitare la propria attività. Resistere, in quelle zone di periferia, significa venire a patti con i meccanismi del business illegale. Chi non lo fa è costretto a cedere terreno. Nel giro di un anno il 30% dei negozi ha chiuso i battenti. Ed è solo in parte colpa della crisi: tra Scampia, Secondigliano, Miano e Melito questo succede essenzialmente per la pressione della camorra, per l’impossibilità di vivere una vita normale». Un fenomeno allarmante che il presidente dell’Ascom, Pietro Russo, racconta sulle pagine de Il Mattino.
Così la protesta dei cittadini e lettori indignati sbarca su Facebook con una vera e propria fanpage dedicata dove i riflettori sono accesi e la discussione prende più ampio respiro oltre i 140caratteri di ogni singolo tweet.
L’hashtag, che si rifà a Occupy Wall Street, il movimento che negli Usa ha fatto tremare banchieri e finanzieri,però non è solo lo slogan della protesta che a livello locale anima la conversazione sui social network, ma è anche l’invito di qualche partecipante alla discussione di occupare Scampia non solo moralmente ma anche fisicamente. L’Imperativo è “Riprendiamoci Scampia” e l’invito, a chi vorrà sostenere l’iniziativa, recita così: «#OccupyScampia non per lavare le coscienze ma per risvegliarle.Associazioni, enti, partiti, semplici cittadini: chi vuole aderire a mandi una mail a [email protected]».
Voce fuori dal coro è quella dell’account Ribalta Periferia Napoli Nord che scrive sotto un link postato sulla bacheca : «Forse non è chiaro che dovreste fermarvi un attimo, nel rispetto delle associazioni che agiscono sul territorio e delle persone in carne ed ossa che rischiano ogni giorno la loro pelle per far avanzare, in questi territori abbandonati dalle istituzioni, i valori della legalità e della civiltà».
La controinformazione da territorio. E anche Resistenza Anticamorra sbotta e crea la nota in cui avverte che non vi è nessun coprifuoco imposto dai clan
« A SCAMPIA NON C’è NESSUN COPRIFUOCO IMPOSTO DAI CLAN A NEGOZIANTI E CITTADINI!
Dopo nemmeno 4 anni torna imponente il fenomeno dello sciacallaggio mediatico che continua a stuprare il quartiere Scampia. Dopo la bufala, uscita su un quotidiano, del coprifuoco imposto dai clan a negozianti e cittadini notizia dilaga su altri quotidiani e sulla rete. Confermiamo che non c’è nessun coprifuoco a Scampia dettato dai clan, che ieri abbiam terminato le prove teatrali di Scampia Trip e ci siam trattenuti fino alle 22 per strada.Una cosa è la notizia di un clima di paura che si respira nel quartiere, clima dettato dalla nuova faida (anche se non si ama usare questa parola), paura tanto grande da far preoccupare le persone che tendono a non scendere di casa dopo una certa ora, altra cosa è l’onnipotenza e l’onnipresenza dei clan. Invitiamo chiunque a venirci a far visita e a trascorrere con noi una serata per le vie di Scampia…. Auspicando che non ci siano ancora in giro i soliti creduloni di certa stampa, vi autorizziamo ad usare le nostre dichiarazioni per smentire la bufala.
Associazione (R)ESISTENZA
[email protected]»
Ma il problema di Scampia, quartiere devastato dal cemento ed amianto, un tempo terra di campagna dove si andava a scampagnare, (da cui poi il nome) non ha come problema principale solo ed esclusivamente il controllo che i clan camorristici hanno sul territorio e sul commercio, ma gli abitanti, quotidianamente convivono con problematiche di infrastrutture mai create o, se create, non sviluppate ed oggi in pieno abbandono.
Un reportage realizzato da Vincenzo Luca Forte, Elio Truono, Valentino De Petro, fa fare il giro “turistico” delle Vele e spiega esattamente la storia di quell’abuso edilizio di cui restano ancora in piedi quattro fabbricati, strutture che in campagna elettorale, erano state annunciate in agenda per la demolizione qualora Il Candidato Luigi de Magistris, fosse diventato Sindaco di Napoli.
I ragazzi di Gunpania il progetto di shockdvertising e socialvideoreporting documentano lo status di estrema sopravvivenza soprattutto per i disabili e mostrano il lato umano di Scampia e della brava gente, lontana dalla violenza, dai business camorristici e dallo spaccio di droga. Emerge la volontà del riscatto di chi ci vive e che ha voglia che quel quartiere rinasca come, per l’appunto, gli intervistati del Comitato Vele di Scampia che attendono il radicale intervento del Comune di Napoli nello spazzare via quanto resta di un agglomerato di cemento e amianto che ha contribuito a rendere il quartiere così come lo conosciamo oggi: senza sviluppo di servizi e infrastrutture.
Il logo di Gunpania
Su come sia nato il logo di Gunpania e sul perché il loro progetto si chiami Gunpania rispondono: «Il logo nasce per caso, eravamo in sala da pranzo, solitamente, ogni domenica, tutto il nostro gruppo creativo, consolidato da un amicizia fraterna, oltre che dal lavoro in team, si riunisce a pranzo come una vera e propria famiglia allargata. Era una Domenica di Marzo, ricordo che dopo pranzo, mentre aspettavamo il caffè che uscisse, pensavamo a quanto noi in Campania siamo legati alle tradizioni, ad esempio O’ CAFE’! Nell’attesa del caffè ci fissammo tutti a guardare la cartina dell’Italia di cui abbiamo una riproduzione in scala ed uno di noi esclamò “Vi immaginate l’Italia senza la Campania?” Reclamai io: “Perché tra tante regioni vuoi togliere proprio la Campania?” Mio Nonno, che stava ascoltando tutto il ragionamento, come ciliegina sulla torta di un brainstorming in maniera del tutto spontanea rispose con tono tra il rassegnato e il nervoso : “La Campania starebbe meglio pe’ fatt suoj e il resto dell’Italia pure, accussì quelli del Nord (ra part ‘e copp) non ci potrebbero discriminare indistintamente ed etichettarci come Camorristi ed anche se lo facessero staremo troppo lontani per curarci dei loro giudizi come fanno da 150 anni (Unità d’Italia) e noi finalmente ci pigliass’m ‘e responsabilità e finiremmo di piangerci addosso”. Cosi dopo le sagge parole di mio nonno, staccammo la Campania dall’Italia ritagliandola con delle forbici, mentre ridevamo sul gesto simbolico del nostro Art Director, mio nipote di appena 8 anni prese la forma della Campania la impugnò ed esclamo :”Zio!! BANG BANG!” Mio nipote ci illuminò! Un bambino di soli otto anni aveva inventato un logo di una valenza sociale incredibile. Da quel gesto, la Campania si trasformò in Gunpania» dove “gun” e cioè “pistola” rappresenta l’icona di tutti i malesseri sociali, economici ed istituzionali da sconfiggere».