Se il Milan dovesse perdere lo scudetto per una «cazzata», come il simpatico Ibra ha avuto il buon cuore di definire il suo ceffone, avremo finalmente la percezione esatta di un’insensatezza, e cioè la sua tragica conseguenza. Correre semplicemente dietro alle conseguenze senza esaminare ciò che le ha ispirate, non farebbe di un allenatore un buon educatore, per cui si può già concludere che se Allegri è un buon allenatore (ma è ancora tutto da dimostrare), ciò non significa affatto che sia anche un buon educatore. Da qui la domanda successiva: si può essere buoni allenatori, senza essere buoni educatori? Probabilmente sì, anche perché il momento storico con contempla affatto che la professionalità sia accompagnata anche da un certo senso etico.
Eviteremo il solito bla-bla su Ibrahimovic che rimanda alla sua personalità e alla sua influenza all’interno della squadra, per esaminare invece l’aspetto meno battuto di tutta la questione: in questi ultimi tempi, la società Milan non è in grado di dettare la linea educativa ai suoi giocatori (Pato ne è un’altra, plastica, dimostrazione). Ciò che non è consentito, e che al Milan non è mai stato consentito, è farsi gioco dei principi che ispirano la coesione di un gruppo di atleti. E per un motivo evidente e che Arrigo Sacchi potrebbe spiegare meglio d’ogni altro, avendo teorizzato, sino al parossismo, l’egualitarismo al potere. Sacchi era quello che si incazzava perche Van Basten (mica Ibra, eh) non tornava a centrocampo per aiutare la squadra. Ma questa è un’altra storia e sul punto l’Arrigo aveva ragione e anche torto.
Domenica scorsa, a partita conclusa, Massimiliano Allegri ha commesso un peccato di subalternità gravissimo. Si è presentato in conferenza stampa e ha biascicato – imbarazzatissimo – quattro parole sul fattaccio di Ibra costantemente sul crinale giustificazionista, alimentando così il sospetto ch’egli fosse completamente nelle mani del suo talento, succube sino alla reticenza clamorosa. Un comportamento di questo genere, se sull’immediato ti porta a non litigare con il primo della classe, a tempi più lunghi incrina pesantemente il senso di giustizia all’interno della squadra. Per un allenatore, un risultato catastrofico.
Non ci voleva molto per dire che Ibrahimovic aveva sbagliato, bastava la chiarezza di parole semplici e dirette, rivolte magari anche con dolcezza al tuo giocatore. Il quale avrebbe percepito la disapprovazione del suo «educatore», evitando di considerarlo una preda di cui disporre a piacimento. Non fa notizia, poi, il silenzio di Galliani, il quale non è mai stato un cuor di leone.
La storia italiana del calcio moderno ci ha proposto nel passato molti altri Ibra, e anche un Ibra all’ennesima potenza che era Diego Armando Maradona, il cui allenatore si chiamava Ottavio Bianchi, un signore bergamasco molto perbene e di una serietà senza pari. Capirete che mettere vicino un allenatore superserio come Bianchi a quel vulcano del Pibe era un ghiribizzo del destino destinato a lasciare il segno. E naturalmente la coppia non ha deluso, sotto questo profilo.
Oggi, a distanza di tempo, possiamo anche tracciare un bilancio del loro rapporto, esattamente sotto il profilo di cui si diceva prima. Intanto, la prima impressione: mai Bianchi è stato nella disponibilità di Maradona e neanche vogliamo parlare dell’ipotesi contraria. Non lo è mai stato perché quel satanasso di un argentino aveva grande attenzione per la serietà del suo allenatore, pur non amandolo e dicendogli magari di tutto alle spalle con amici e compagni.
Bianchi aveva un compito al limite della resistenza umana. Gestire le intemperanze (private) del fuoriclasse, dovendo tenere insieme la propria onorabilità e la coesione del Napoli. Un’impresa titanica, a cui Bianchi ha dedicato sforzi inimmaginabili. Epperò, non c’è stato un solo momento nel quale l’allenatore ha lisciato il pelo alle «prodezze» del suo irrequieto talento, opponendo la sua faccia a-sentimentale ogni qualvolta veniva interrogato su un casino epocale prodotto dal Pibe. Questo era (anche) un modo etico per marcare una differenza e insieme non mandare in vacca la squadra.
Allegri dovrebbe imparare da Bianchi (e Ibra da Maradona, visto che non ha vinto una mazza fuori dall’Italia). Ma entrambi sono sulla cattiva strada.