Più o meno ogni quarto di secolo, su Roma si stende una coltre di insospettabile democrazia collettiva: è l’arrivo di un fenomeno atmosferico chiamato neve, che come un Babbo Natale in lieve ritardo sulla tabella di marcia getta nel panico un’intera città, i suoi dintorni, i suoi mezzi di comunicazione, la sua politica. Una straordinaria livella pre-mortem. Ci sarebbe solo da riderne, prendendoci tutti a palle di neve, senonché qualcuno fa anche finta di indignarsi e a quel punto tocca occuparsene. Capite, però, che non si può star dietro a ghiribizzi come quelli del sindaco Alemanno, che attribuisce a un complotto delle previsioni del tempo («ce le hanno fornite sbagliate», no, erano giuste, replica la Protezione Civile) la caporetto di queste giornate, auspicando addirittura una commissione d’inchiesta che non si nega mai a nessuno.
Roma città ha una sua straordinarietà inevitabile, per storia antica, vestigia, monumenti e molto altro che ancora viene incredibilmente apprezzato fuori dai confini nazionali. Ma tutto si ferma qui. E’ come se il il tempo si fosse cristallizzato, e la modernità rimasta fuori dalla porta. E per modernità, non intendiamo quelle mode che passano sopra e attraverso la nostra società e poi magari si disperdono, presto dimenticate dagli umani. No. Qui intendiamo il semplice progresso delle tecnologie, delle arti, delle scienze, di quell’insieme di saperi costantemente in progressione che compongono l’organizzazione delle società avanzate. Basterebbe parlare un attimo della raccolta differenziata a Roma e si avrebbe una dimostrazione plastica di quello che andiamo scrivendo.
C’è anche una spiegazione «tecnica» a tutto questo e porta inevitabilmente nei pressi dei Palazzi del potere. Roma è una città dove tutto magistralmente si tiene, dal malaffare alle istituzioni più nobili, in cui è possibile ritrovare come amici fraterni due persone così diverse come il principe-editore Caracciolo e quel fascista di Ciarrapico, dove il cinismo popolare che Fellini ha raccontato mirabilmente si è trasformato, nel corso degli anni, nell’arida elaborazione di cricche più o meno senza scrupoli, in cui di popolare non v’è più nulla ma solo quella semplificazione criminale che non comporta mediazioni sentimentali né, tanto meno, il più pallido riscontro con la decenza umana.
In questo è cambiata radicalmente Roma, nell’idea che l’espressione più piena di una città non abbia parentela alcuna con la sua crescita politica e culturale, e che la mediazione tra soggetti diversi, un tempo sintesi virtuosa di una società civile, sia valutata oggi come pura e semplice perdita di tempo, dove le lobby, invece che fare lunghissima anticamera pur di avere udienza, dettano i tempi del potere come veri padroni del vapore, con la politica ridotta a modestissimo vagone di scorta. E’ una città che non ha tempo, né soprattutto più voglia, di emergere per le sue eccellenze (ammesso ch’esistano ancora) e che oppone al mondo intero la sua faccia sporca senza più vergogna.
In questa situazione, c’è un governo non dissimile a un corpo completamente estraneo al contesto che lo circonda ed è il governo Monti. Sarà utile ricordare che anche il primo Silvio Berlusconi (quello del ’94) odiava questa parte peggiore di Roma, da cui si distaccava appena poteva, ritornando nel suo eremo di Arcore. Era persino terrorizzato – però sotto il profilo igienico – dall’idea di dover stringere troppe mani compromesse (e sudaticce) all’interno delle aule parlamentari e non immaginava ancora quei baci stressanti e strapaesani che i deputati meridionali sono abituati a elargire senza parsimonia quando incontrano banalmente un amico o anche uno che conta. Sappiamo come nel tempo il Cavaliere sia stato risucchiato dalla Roma più brutta, adeguandosi con sin troppa (e sospetta) leggerezza e rapidità: colpa tutta sua?
La partita, il professor Monti se la giocherà anche su questo crinale, per quanto sarà capace di tenere distinti i due piani della politica, quella migliore delle cose da fare e che lo porterà a essere considerato un alieno tra i «maledetti politici» di professione, e quella parte di compromesso al ribasso che, se praticata con eccessiva disinvoltura, lo farà a scendere rapidamente nella considerazione degli italiani.
A lui la scelta. Ma intanto, professore, due paroline su Roma paralizzata da un po’ di neve, no?