Al Brennero a gridare “No Tav” è il governo austriaco

Al Brennero a gridare “No Tav” è il governo austriaco

Pat Cox, coordinatore europeo della rete Ten-T (Trans-European Networks – Transport) Berlino-Palermo, l’ha definita “il più importante progetto infrastrutturale europeo”. E i numeri sembrano dargli ragione. Perché, una volta completata, la futura Galleria di Base del Brennero (Brenner Basistunnel, Bbt) diventerà il tunnel più lungo del mondo. In tutto 64 chilometri che bucheranno le Alpi al confine tra Italia e Austria, ad una quota di 794m sul livello del mare, unendo Fortezza a Innsbruck.

Il costo previsto, che non tiene conto delle tratte di accesso, è già passato in poco tempo da 7 miliardi a 9 miliardi, equamente ripartiti tra Austria e Italia. Ma secondo i suoi sostenitori si tratta di soldi ben spesi, visto che consentiranno il passaggio di 400 treni al giorno (di cui 320 solo per le merci), ad una velocità tra i 220 e i 250 chilometri orari, permettendo così di decongestionare la autostrada A 22 e, più in generale, il traffico su una delle principali rotte tra nord e sud Europa.

Eppure la Bbt oggi non sembra suscitare lo stesso entusiasmo incondizionato che riscuoteva solo fino a qualche anno fa. Si spiegano così i malumori e i tentennamenti mostrati nelle scorse settimane dall’Austria. Prima, a fine anno, è stata la Corte dei Conti di Vienna a porre attenzione sull’indebitamento a lungo termine che un’infrastruttura del genere richiederebbe, di ben superiore ai 20 miliardi. Poi è stata la volta della ministra delle Finanze austriaca, Maria Fekter, che ha tenuto a ricordare che il tunnel non può essere realizzato “senza se e senza ma”. E infine è arrivato il macigno posto dal ministro delle Infrastrutture, Doris Bures, che ha deciso di rimandare la firma per l’accordo con la Germania per le tratte d’accesso nord al tunnel, determinando, di conseguenza, un probabile rinvio della data di conclusione dei lavori, attualmente fissata al 2025.

Per trovare un senso a questi interventi bisogna tenere presente il clima di inquietudine suscitato in Austria dal declassamento imposto da Standard & Poor’s, che ha privato per la prima volta il paese alpino della tripla A. Pur di evitare ulteriori disastrose ripercussioni sulla finanza nazionale, il governo di Vienna ha deciso rivedere al ribasso le proprie politiche di spesa. E tra i principali destinatari dei tagli ci sono le Ferrovie di Stato austriache (Obb), ossia uno dei soggetti che in modo decisivo contribuiscono al finanziamento del Bbt attraverso i fondi per le infrastrutture. Come ha spiegato l’amministratore delegato Christian Kern, già oggi i continui tagli imposti dal governo stanno danneggiando la compagnia che ha sempre più difficoltà a garantire servizi adeguati alla propria clientela. Ma da qui al 2016 le cose andranno anche peggio, visto che per contribuire al pacchetto di risparmi voluto dall’esecutivo le Obb dovranno ridurre il proprio budget di circa 1,5 miliardi, di cui almeno 400 milioni saranno recuperati attraverso tagli alla spesa preventivata per le infrastrutture (Bbt compresa).

Vienna, dunque, non starebbe puntando a fermare il mega-tunnel, ma ad assicurarsi un rinvio dei lavori e, soprattutto, a ottenere una revisione del progetto, che consenta di abbattere in maniera sensibile i costi e non gravare troppo sul bilancio statale.

Del resto, da più parti stanno crescendo i dubbi sulla stessa sostenibilità economica dell’opera, così come immaginata solo qualche anno fa. Chi è favorevole cita i dati del traffico lungo il corridoio Verona-Monaco di Baviera: nel 2011, come riporta la stampa austriaca, per la prima volta è stata superata la soglia di 12 milioni veicoli in transito, con una media oraria di 1.381 mezzi. Secondo diverse fonti, compreso il recente studio di Paolo Beria e Raffaele Grimaldi del Politecnico di Milano “An early evaluation of italian high-speed projects”, tra le varie rotte interessate da progetti di Alta velocità quella del Brennero è la sola per la quale appare possibile una “saturazione” delle attuali infrastrutture, a partire dalla autostrada.

Eppure c’è anche chi contesta questi dati. Fonti autorevoli, come l’Institut für Transportwirtschaft und Logistik della Università economica di Vienna, mettono in dubbio le proiezioni di traffico con le quali, in passato, il governo austriaco ha giustificato la realizzazione del tunnel del Brennero, e in particolare l’aumento del traffico leggero sul lungo termine da 1 a 6 milioni di persone. Intervenendo nel pieno delle polemiche delle ultime settimane, il presidente dell’istituto viennese Sebastian Kummer ha dichiarato che certi dati «corrispondono alla capacità di portata dell’Eurotunnel, che collega Londra e Parigi e non Bolzano e Innsbruck. Secondo queste proiezioni – ha detto Kummer – saremmo già dovuti arrivare a due milioni di persone in transito sul Brennero, mentre i numeri sono rimasti pressoché invariati. E simile è la situazione per il traffico pesante».

Se ciò fosse vero, sarebbe possibile risparmiare dal punto di vista economico e dell’impatto ambientale semplicemente realizzando un solo foro per il passaggio dei treni invece dei tre (due di transito e uno esplorativo) previsti oggi. Massimo Zucchetti, professore ordinario del Politecnico di Torino e a lungo consulente tecnico della Comunità Montana Val Susa per le questioni di impatto ambientale, sottolinea come sia importante valutare la reali necessità e, di conseguenza, discutere che tipo di intervento compiere. «Se è vero che la mole di traffico considerata riguarda essenzialmente le merci e non i passeggeri – spiega – allora sarebbe bene pensare a un’alta capacità, che non richiederebbe treni ad alta velocità né la necessità di scavare più di un tunnel. In questo modo si ridurrebbe il traffico su gomma, ma con un impatto ambientale decisamente inferiore».

A contestare l’opera sono anche i movimenti e le associazioni locali che, pur non avendo mai raggiunto la visibilità mediatica di quelli della Val di Susa, stanno conducendo una capillare campagna di informazione per contestare le motivazioni dei pro-Tav. Le ragioni del “no” sono esposte in maniera esauriente sul sito curato dai “No Tav Brennero”, dove, tra l’altro, viene messa in dubbio l’effettiva “saturazione” della attuale ferrovia del Brennero, così come le proiezioni sul traffico futuro.

Non mancano le proteste degli ambientalisti. “Da un’analisi approfondita del progetto del traforo di base del Brennero compiuta insieme al professor Hermann Knoflacher dell’Università Tecnica di Vienna risulta che l’opera non è giustificabile in termini di una politica dei trasporti sostenibile ed orientata verso il futuro”, afferma Markus Lobis, esponente dei Verdi in Alto Adige, secondo cui “già oggi vi sono sette le linee ferroviarie che attraversano le Alpi, tutte sottoutilizzate. Ammodernamenti delle linee esistenti, materiale rotabile all’altezza dei tempi e una riduzione dell’impatto con circonvallazioni locali e incapsulamenti di tratti sensibili sarebbero molto meno costosi e importanti per l’economia locale”.

Intanto i lavori proseguono. La realizzazione del primo lotto costruttivo della Bbt a Wolf presso Steinach – si legge sul sito ufficiale della società costruttrice Bbt-Se – stanno volgendo al termine. Il 24 febbraio scorso è stato abbattuto il diaframma ed è stato completato il collegamento sotterraneo di 1.003 metri, che unisce l’area di cantiere di Wolf con l’autostrada del Brennero a Plon.

E a fronte di tante polemiche c’è pure chi minimizza, spiegando che i malumori (viennesi) delle ultime settimane non sarebbero altro che un “gioco delle parti”, il cui unico obiettivo è quello di risparmiare qualcosa sul salato conto finale.

Fatto sta che l’alternarsi di allarmi e smentite sta alimentando non poco l’inquietudine sui due versanti delle Alpi. Il governatore del Tirolo austriaco Gunther Platter ha ricordato alla Tiroler Tageszeitung che un rinvio avrebbe “effetti devastanti”, visto che i costi del progetto lieviterebbero ulteriormente, almeno di un miliardo di euro.

Il rischio più grave, tuttavia, sarebbe quello di perdere il contributo della Ue. Attualmente Bruxelles ha stanziato 500 milioni di euro, che vanno spesi entro 2015. Ma quello che sta accadendo oggi è rilevante anche per la sorte dei ben più consistenti finanziamenti futuri. Dall’attuale cofinanziamento del 27 per cento, infatti, la Ue sarebbe intenzionata ad arrivare fino al 40 per cento, a partire dal prossimo anno. La buona volontà non manca, come ha confermato di recente il coordinatore Ue Cox. Ma, alla fine, tutto dipenderà dall’utilizzo, o meno, dei fondi già stanziati.
 

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