Viviamo in un’era di grandi numeri e i prossimi anni non faranno che confermare questo trend. Ogni giorno le occasioni per sorprendere non mancano. Nel primo weekend di vendita il nuovo Apple iPad ha venduto 3 milioni di pezzi, record di tutti i tempi per un nuovo lancio hardware. L’applicazione Draw Something disponibile su Facebook e su piattaforma iOS e Android ha raccolto 30 milioni di utenti in poco più di cinque settimane, diventando di fatto il gioco di maggior successo di sempre sulla piattaforma di social network per eccellenza.
Stesso fenomeno anche nel settore finanziario. Prendete tre colossi dell’Information Technology come Microsoft, Google e Apple. Nel corso del 2011 hanno generato complessivamente profitti per un ammontare di poco superiore a 66 miliardi di dollari, con Apple che ha contribuito per il 50% dell’importo totale. Il tutto equivale a 181 milioni di dollari di profitti al giorno. Si tratta di cifre impressionanti che testimoniano il successo di queste aziende e la popolarità dei servizi offerti e commercializzati. E considerando che i 37 milioni di iPhone venduti nell’ultimo trimestre del 2011 rappresentano solo il 9% del totale complessivo di smartphone, i margini di crescita sono evidenti e consistenti.
Da dove provengono questi profitti? L’altra caratteristica delle tre aziende della West Coast prese a campione è la capacità di conservare nel tempo gran parte della liquidità prodotta nonostante un’elevata attività nel campo delle acquisizioni. Nel caso di Apple, per esempio, la disponibilità finanziaria al termine dell’ultimo trimestre era quasi equivalente a cento miliardi di dollari. Per Google il valore era di poco superiore ai quaranta miliardi di dollari. Microsoft sedeva invece su riserve pari a 50 miliardi di dollari. La somma delle riserve finanziarie delle tre aziende, quindi, sfiorava al 31 dicembre 2011, 200 miliardi di dollari.
Il mix dei fatturati per questi tre colossi per motivi fiscali è distinto tra tra la componente generata negli Usa e nei mercati internazionali. Nel caso di Google, ogni dollaro di vendita è composto da 50 centesimi provenienti dagli Usa e i restanti 50 da tutti gli altri mercati. Per Microsoft e Apple, aziende attive da più tempo e con una struttura realmente planetaria, la divisione è leggermente sbilanciata verso i mercati internazionali come logico attendersi. La tabella sottostante è un’elaborazione de Linkiesta.it su dati proveniente dai Form 10-Q pubblicato da Apple. Il fatturato complessivo di oltre 46 miliardi di dollari è diviso per aree geografiche con l’eccezione dei negozi, raggruppati orizzontalmente. Nonostante questo elemento di “disturbo”, emerge come il fatturato internazionale sia predominante. Analizzando la voce Operating Income (risultato operativo), salta immediatamente all’occhio la maggiore redditività del mercato giapponese dove per ogni dollaro di vendita, oltre 56 centesimi sono di Operating Income.
Il maggior peso dei fatturati internazionali per Apple è riflesso anche nella disponibilità di cassa. Dei 100 miliardi, 64 miliardi di dollari sono prodotti e residenti fuori dagli Usa, valore cresciuto dell’82% rispetto all’anno precedente. Situazione simile per Google con oltre una ventina di miliardi di dollari depositati in banche estere e non utilizzati per acquisizioni o qualsiasi altra operazione finanziaria. Per le aziende americane, infatti, non esiste l’incentivo a portate questi importi negli Usa vista una corporate taxation del 35% e la mancanza di esigenze per procedere a un rimpatrio dei capitali. È quanto ha affermato pubblicamente il Cfo di Apple in una conference call ieri.
Come ha dimostrato Apple ieri con l’annuncio di procedere al pagamento di un dividendo trimestrale di 2,65 dollari per azione e un programma di stock buyback di dieci miliardi di dollari, tutte queste operazioni verranno finanziate con i depositi residenti negli Usa potendo contare anche su cospicue integrazioni che verranno generate nei prossimi trimestri. Un’altra chiave di lettura per l’attuale inutilizzo delle riserve internazionali: quasi irrealistico prevedere acquisizioni significative all’esterno degli Usa. La cosa non sorprende visto che il software è il centro gravitazionale dell’innovazione e la quasi totalità dello sviluppo software avviene negli Stati Uniti.