VIGODARZERE (Padova) – «Se avessimo chiuso, sarebbe stato un grosso problema trovare un altro posto di lavoro con l’età che ho. Per me è stata un’ancora di salvezza. Per quello, e non solo io, ci abbiamo creduto. Non c’erano alternative. Adesso tutto sta nel portarla avanti». Livio Barbato ha 46 anni, è sposato e ha due figlie. Insieme ad altri nove soci ha fondato nel 2010 la D&C Modelleria, una cooperativa industriale di Vigodarzere (paese in provincia di Padova) sorta dalle ceneri del fallimento dell’ex Modelleria Quadrifoglio, un’azienda storica nata quasi quarant’anni fa. Il piccolo stabilimento è situato tra via dell’Artigianato e via del Lavoro e impiega 15 dipendenti. Dentro, al pianoterra, alcuni soci-operai lavorano con i macchinari per produrre modelli e stampi per fonderie. Al secondo piano altri lavoratori si occupano della progettazione tecnica, dell’amministrazione e dell’area commerciale. È tutto completamente autogestito. «Questa realtà – asserisce convintamente Barbato – me ga tra virgolette salvà». Mi ha salvato.
Per la Modelleria Quadrifoglio i problemi sono iniziati verso la fine del 2008 e l’inizio del 2009. Come riportano Devis Rizzo (responsabile del settore Produzione Lavoro di Legacoop Veneto) e Dario Verdicchio (segretario Fillea-Cgil di Padova) in un articolo apparso nel 2010 sulla rivista Economia e società regionale di Ires Veneto, la crisi dell’azienda non era da imputarsi alla mancanza di lavoro e commesse «quanto piuttosto, pur nel contesto di difficoltà generale dell’industria, ad una cattiva gestione da parte della proprietà [all’epoca facente capo ad una società egiziana subentrata da poco a precedenti gestioni, nda], assolutamente impreparata e incapace di misurarsi con la gestione dell’azienda, probabilmente anche disinteressata al processo industriale». Il vicentino Alberto Grolla (38 anni, membro del cda di D&C Modelleria e padre di sei figli) ricorda come la vigilia di Natale del 2009 i dipendenti fossero stati chiamati nello stabilimento per ricevere parte della tredicesima e almeno cinque mensilità in arretrato. I proprietari, di contro, non si erano presentati. I lavoratori, d’accordo con il sindacato (Fillea-Cgil), avevano così deciso di accodarsi all’istanza di fallimento presentata da un fornitore. All’epoca, quella di formare una cooperativa era solo una delle ipotesi per evitare la morte dello stabilimento. «All’inizio non sapevamo cosa fare – racconta il quarantenne Simone Broetto, vicepresidente della Modelleria in cui lavora da 25 anni – Eravamo però ben consapevoli che la nostra situazione era stata causata dalla mala gestione. Così abbiamo iniziato a sondare varie possibilità».
Il 20 maggio 2010 il Tribunale di Padova dichiara il fallimento. Nel frattempo, negli incontri costanti tra dipendenti, sindacato e Legacoop Veneto comincia a prendere piede l’idea di riavviare l’attività ex novo in forma cooperativa. Dopo le verifiche (durate circa dieci mesi) sulla fattibilità economica, finanziaria e produttiva dell’operazione, l’8 giugno 2010 viene costituita la cooperativa D&C, che prende il nome dal numero dei soci fondatori (dieci, appunto) e dall’anno di nascita. Il capitale sociale proviene dall’anticipo della mobilità volontaria chiesto dai lavoratori (circa 300mila euro), dall’importo analogo versato da Coopfond e Cooperazione Finanza Impresa (Cfi) e dall’apporto di altre quattro imprese cooperative industriali (in qualità di soci sovventori) di Legacoop Veneto. «In tutta onestà, noi conoscevamo anche poco le cooperative», spiega Grolla a Linkiesta. «Ci sembrava però che la cooperativa fosse il sistema migliore per inquadrare la nostra realtà. Noi nascevamo come dipendenti e stavamo diventando soci di un’azienda, per cui pensavamo che questo fosse il percorso più naturale».
Il 2 agosto i soci formulano la stipula del contratto d’affitto con proposta di acquisto irrevocabile, e il 6 dello stesso mese riprendono le attività. Ovviamente non è per nulla semplice. Oltre a complicanze burocratiche varie, nelle fasi iniziali l’impianto si è trovato senza acqua, metano e corrente poiché i contratti erano stati disdetti dal curatore fallimentare. È stato anche necessario ridursi gli stipendi collettivamente. E non sono mancate problematiche di livello societario. «La cooperativa è abbastanza complessa. Ha costi elevati e regolamenti molto più stringenti di una Srl o una Spa», puntualizza Grolla fissando il notebook appoggiato sul tavolo del suo ufficio. «Inoltre, un grosso problema è la gestione del rapporto tra soci. Il passaggio implica un cambiamento di mentalità che per alcuni è spontaneo e per altri è più difficile – e forse non arriverà mai. Alcuni nascono come dipendenti e rimangono dei dipendenti».
Gabriele Busato, 39enne responsabile dell’ufficio tecnico della Modelleria, dice che gli ultimi tre anni sono stati «molto impegnativi. Siamo passati da una realtà in cui eravamo dipendenti, e avevamo pochi pensieri, a tutt’altra realtà. Oltre a fare il nostro lavoro, ora dobbiamo pensare a come farlo e ad autogestirci, oltre a tutte le altre problematiche legate al trovare il lavoro». Per i soci lavoratori, la scelta della forma cooperativa ha comportato sia una maggiore responsabilizzazione che un continuo confronto tra di loro. Almeno una volta al mese, infatti, i dipendenti della D&C si trovano per discutere su come stanno andando le cose e per proporre idee, miglioramenti o modifiche. «Di volta in volta – afferma Broetto – cerchiamo di sistemare le cose che non vanno e far vedere i risultati che si sono ottenuti». Finora questi risultati sono stati moderatamente incoraggianti. Il 2010, anche a fronte di molte spese, si è chiuso in pareggio di bilancio. Il 2011 ha visto un fatturato di più di un milione di euro e un utile di 13mila euro. E le previsioni per il 2012, nonostante la crisi, sono positive.
Sede della D&C a Vigodarzere (Padova)
Prodotto della lavorazione nella modelleria cooperativa
La «scommessa», dunque, sembrerebbe essere stata vincente. Per Devis Rizzo di Legacoop l’esperienza della D&C Modelleria «rappresenta quasi un esempio di scuola. Secondo noi la cooperazione va fatta così». Ma solo a patto che vengano rispettate certe condizioni: anzitutto, dev’esserci “un minimo di mercato”; in secondo luogo, la compagine sociale deve mostrarsi molto coesa e risoluta sulla strada da imboccare. Simone Broetto, infatti, avverte: «Non è una cosa che si può fare in qualsiasi azienda. Se non c’è la base sociale ben convinta e amalgamata è uno strumento molto, molto rischioso». Ed è doppiamente rischioso se, almeno stando a quanto dice il vicepresidente della cooperativa, le istituzioni non offrono il minimo aiuto: «Tutti sono pronti a salire sul carro dei vincitori a cose fatte. Solo quando si sono accorti di quello che era stato fatto hanno cercato di venire qui. In principio erano tutti contro».
Storicamente, il movimento cooperativo ha attinto da situazioni di crisi aziendali ed è stato influenzato dall’andamento dell’economia – ora espandendosi, ora contraendosi. In Italia (e in particolare in Veneto), i primi episodi di aziende gestite dai lavoratori attraverso le cooperative risalgono almeno all’inizio degli anni ’70. «Quasi tutte le cooperative industriali associate a Legacoop Veneto – dichiara Rizzo a Linkiesta – sono nate così, soprattutto grazie agli sforzi e ai sacrifici dei soci. A distanza di 30 anni si misurano con l’attuale crisi, ma sono imprese vere e proprie». Con il caso della D&C, insomma, «non si scopre nulla di nuovo. Non ho la pretesa di dire che questo modello è la risposta universale alla crisi, ma secondo me questa strada potrebbe essere più battuta: ha sicuramente delle potenzialità che non sono del tutto espresse per vari motivi».
Di parere concorde è Bruno Jossa – professore emerito di economia politica presso l’Università di Napoli Federico II e autore di diversi saggi sulle cooperative – che trova «inspiegabile» come non sorgano più imprese di questo tipo: «Gli imprenditori e i padroni sono naturalmente contrari a quest’idea. Ma anche i sindacati non appoggiano questa soluzione. Il sindacato difende i lavoratori nel capitalismo – e lo fa assai bene – ma nel momento in cui i lavoratori diventano padroni di un’impresa e acquistano la sovranità, il sindacato perde ogni funzione. Questo spiega la loro opposizione». Secondo il professor Jossa, inoltre, l’impresa cooperativa è «una grande occasione per i lavoratori di gestire in proprio l’impresa». Tuttavia, l’ambiente ostile che si è creato intorno a questo istituto ne rende estremamente difficile l’utilizzazione: «I lavoratori hanno paura che i sindacati non li appoggino, il vento è contrario, la legislazione non è favorevole. A me sembrerebbe quasi ovvio che la crisi attuale del capitalismo dovrebbe far rinascere il movimento cooperativo delle origini. Ma non so se succederà: gli ostacoli sono grandi».