Alberto Simonini, 63 anni, fa l’eremita in un rudere di una cascina nelle colline del piacentino. Claudio Prassino di anni ne ha 49: qualche mese fa è andato in banca a bloccare le rate del mutuo e ha chiesto un prestito alla Cei di Milano. La 57enne Mara Pantarella invece è tornata a vivere con la mamma a Frosinone. «Fortuna che sono vegetariana – dice sorridendo – così spendo meno».
Sono laureati o diplomati, con anni di esperienza alla spalle e specializzazioni. Colletti bianchi e lavoratori poco qualificati. Tutti accomunati da un unico problema: essere usciti dal mercato del lavoro e non riuscire più a rientrarci. Il fenomeno della disoccupazione over 40 è in continua crescita, «troppo giovani per andare in pensione, troppo vecchi per lavorare», spiega Armando Rinaldi, vice presidente di Atdal Over40, associazione nata nel 2002 a tutela dei diritti acquisiti dai lavoratori. «Nessun ente di ricerca ha mai fatto una campionatura esatta. I dati Istat non contemplano questa fascia e quindi i numeri che circolano sono quelli raccolti da enti locali e dalle nostre strutture territoriali. Almeno 1,5 milioni di persone. E ovviamente a cascata, ci sono i nuclei familiari». Il 69% dei disoccupati non ha nessun accesso a forme di sostegno reddituale né di ammortizzatore sociale. Secondo l’ultimo monitoraggio del ministero del Lavoro, gli ammortizzatori sociali italiani coprono solo il 27% dei disoccupati con sussidi di varia natura. Gli altri devono arrangiarsi da soli.
Ne sa qualcosa il signor Alberto Simonini, da dieci anni senza stipendio. «Per non sballare completamente di testa e per non ricevere più porte in faccia, ho preso la zappa in mano e mi sono inventato contadino, così qualche spicciolo in tasca riesco ad averlo dall’affitto del mio appartamento di Milano e dall’impiego stagionale come operaio in una azienda conserviera». 20 anni di contributi Inps, 20 anni in Cassa Geometri. «Dovrei andare in pensione nel 2014, ma di questi tempi è meglio incrociare le dita».
Anche Mara Pantarella era impiegata a Roma, per una multinazionale americana, poi acquisita dalla Microsoft. È rimasta a spasso all’età di 51 anni. «Ho provato a lavorare in uno studio medico, ma non sono durata molto. Orari massacranti, continue minacce di licenziamento, anche se era tutto in nero. Non potevo nemmeno andare in bagno». Mara, uno sfratto alle spalle, oggi vive dalla mamma pensionata ma non si è data per vinta: «Sto cercando di mettere su una casa editrice per dare voce a chi vive di disagio, ma non è facile senza finanziamenti. Così ho aperto una sottoscrizione popolare online e aspetto di raccogliere i soldi necessari».
Il problema della disoccupazione in età matura risale già alla metà degli anni Novanta, anche se la questione è esplosa con l’arrivo del nuovo millennio. «La sua conseguenza più grave è la difficoltà (per non chiamarla impossibilità) di ricollocazione per questa fascia di lavoratori discriminata in tutte le maniere», dice Armando Rinaldi. «Basta guardare i giornali specializzati e scoprire che oltre il 60% degli annunci contiene limiti di età compresi tra i 25 e i 35 anni. Limiti che oltre ad essere assurdi da un punto di vista sociale sono anche fuorilegge. Così ci troviamo di fronte a intere famiglie che entrano nella spirale della povertà e drammi sociali sottaciuti anche per la vergogna».
Malessere avvertito soprattutto dei manager e dei dirigenti quadro che da 80 o 90 mila euro l’anno sono passati a un reddito pari a zero. Perso il lavoro non si iscrivono all’ufficio di collocamento, non lottano. Sono «destinati all’oblio», spiega Graziano Camanzi, presidente di overquaranta.it, lo spazio web nato per aiutare manager, consulenti e in generale professionisti a superare le difficoltà lavorative mettendoli in contatto con le piccole aziende. «Per noi è questo il punto centrale, le aziende hanno bisogno di management per sopravvivere, consolidarsi, crescere». Ma su circa tremila curricula presenti nel database di Graziano Camanzi, in due anni di attività sono state ricollocate solo una trentina di persone. «Le aziende preferiscono il libero professionista. Così molti aprono una partita iva svolgendo dei lavori a tre mesi coi clienti che trovano». Come Claudio Prassino, professionista tessile. «Sono pagato a provvigione ma sotto richieste di lavoro sproporzionate e un budget che non mi consente di stare dietro alle spese. Vorrei essere un cassa integrato per poter aver il tempo di cercare altro» dice scoraggiato, ricordando con nostalgia il suo posto fisso nella ditta tessile milanese, fallita nel 2007. «Ovviamente nessuno spiega alle piccole e medie imprese che rischiano di chiudere, che assumere chi sa gestire la produzione significa investire per rilanciare l’indotto», incalza il presidente di overquaranta.it. «C’è un distacco culturale incolmabile».
E non solo. «I sindacati si perdono dietro l’articolo 18 mentre le aziende delocalizzano» continua Camanzi, sottolineando come cassa integrazione e mobilità escludono i licenziati delle piccole imprese e coloro che perdono il lavoro a livello individuale. Lo scorso 20 gennaio molti «effetti collaterali della riforma Fornero» sono stati a Roma a far sentire le loro voci davanti al ministero del Lavoro, ma «finora», dice laconico Rinaldi, «non abbiamo avuto nessuna risposta». «In Italia ci si scontra subito col discorso del debito pubblico e con l’impossibilità di mettere mani a riforme strutturali. Volendo, i soldi per una riforma veramente rivoluzionaria ci sarebbe dove prenderli, penso all’evasione fiscale troppo spesso condonata, senza contare poi che, insieme a Irlanda, Grecia e Ungheria, siamo l’unico Paese europeo a non godere di un sostegno al reddito di cittadinanza».
Intanto c’è chi come Fausto Lazzaro, ex dipendente Olivetti, ex imprenditore, ex partita iva di Mestre, il prossimo 18 marzo compie 60 anni. «Ho versamenti contributivi ritenuti contigui dall’Inps per 34 anni, altri 12 sono stati versati sempre all’Inps ma non concorrono, un altro anno l’ho versato come agente. Un totale di circa 47 anni di lavoro. Per storie tipicamente italiane non ho i diritti per percepire la disoccupazione ordinaria o straordinaria. Nulla».
Così, se qualcuno si reinventa il lavoro, altri scivolano nella depressione. Una denuncia dell’Atdal Over40 ricorda che nel primo anno della grande crisi, nel 2009, su un totale di 2mila 985 suicidi, quelli di disoccupati sono stati 375, quasi uno al giorno. Almeno 85 di questi erano persone mature, che non avevano più ritrovato né il lavoro né un’azienda che li volesse assumere o rimettere alla prova. E da gennaio 2012 si sono registrati già 12 suicidi. Molti finiscono nella terra di nessuno, senza stipendio e senza pensione. «Ho percorso tutte le stazioni del calvario – racconta M.S., 46 anni di Milano, precario del settore vigilanza – avevo un trilocale che ho dovuto vendere e forse mi toccherà restringermi ancora di più. Il futuro? Meglio non pensarci. Preferisco vivermi il presente».