Caro Monti, o sarà federalismo o sarà default

Caro Monti, o sarà federalismo o sarà default

Le turbolenze di questi ultimi giorni, nonostante le assicurazioni di prammatica che arrivano da fonti governative, confermano che i rilievi preoccupati che da mesi vado facendo (in affollata compagnia) all’operato del governo Monti non sono esattamente il parto d’una mente influenzata da sostanze non acquistabili in farmacia.

Il problema del debito italiano, della spesa pubblica fuori controllo, dell’altissima e crescente tassazione necessaria ad impedire che detta spesa faccia impennare il deficit destabilizzando totalmente il già instabile debito e, finalmente, il problema della crescita impedita sia dalla vessatoria tassazione sia dall’orrenda inefficienza con cui le risorse pubbliche vengono utilizzate, sono tutti problemi reali, tutti irrisolti, tutti incombenti su di noi. Mi perdonerete, quindi, se insisto per la terza volta con la manfrina secondo cui la chiave di volta del declino italiano sta nella spesa pubblica e nello stato inefficiente e parassitiario che la utilizza per far danno al resto del paese, per spogliarlo del suo valore aggiunto. La questione rimane quella di come realisticamente tagliare la spesa senza privare il paese di quel minimo di servizi pubblici senza i quali arriverebbe al completo collasso.

Abbiamo visto che se vi fosse il coraggio di privatizzare una parte del patrimonio pubblico, liberalizzando al contempo alcuni servizi strategici oggi offerti in condizioni d’inefficiente monopolio statale, si potrebbe forse ridurre la spesa di un punto percentuale di PIL attraverso la riduzione degli esborsi per interessi che la concomitante riduzione dello stock del debito comporterebbe. Abbiamo anche visto che riducendo i sussidi alle imprese, limando intelligentemente gli stipendi pubblici sino a farli convergere a quelli privati e tagliando davvero i costi della casta politico-burocratica, si può arrivare a risparmiare un altro 2,2-2,5% di PIL che, sommato all’1% d’interessi ci porta saldamente sopra al 3%.

Tanto o poco? A mio avviso abbastanza, anche perché sarebbe sufficiente mettere seriamente in cantiere questi tagli per convincere i mercati che, almeno per i prossimi anni, il rischio di default italiano è evitabile. La qual cosa non implicherebbe che i problemi sono risolti e che il rischio di guai seri si è allontanato per sempre. Non lo implicherebbe sia perché i guai veri non cominciano né finiscono con lo spread sul debito ma hanno a che fare con le declinanti condizioni economiche degli italiani, sia perché senza rinnovata e sostenuta crescita economica non solo le condizioni degli italiani continueranno a peggiorare ma, prima o poi, la palla al piede del debito pubblico ricomincierà a tirarci verso il fondo del mare. Ripeto questi concetti perché, nonostante siano più che ovvi, è altrettanto ovviamente apparente che la classe politico-sindacale italiana (inclusa una buona parte di questo governo) ed anche una buona fetta di opinione pubblica sembra ritenere che tutto sia risolto mantenendo lo spread sul Bund sotto quota 300 … e non è vero.

Il problema è che, una volta eseguiti i tagli elencati sino ad ora, se vogliamo ridurre ulteriormente la spesa pubblica – come è necessario perché riducendola del 3% del PIL eliminiamo il deficit ma, se vogliamo ridurre le imposte, occorre recuperare almeno altri 3-4 punti di spesa – ci troviamo davanti ad una scelta difficile. O tagliamo ancora le pensioni (che, viaggiando anche prospetticamente a poco meno del 15% del PIL persino dopo la riforma Fornero, continuano a renderci titolari d’uno dei peggiori record del continente) o ci dedichiamo a tagliare il deficit fiscale regionale. Basandosi sui tagli già elencati, l’Araba Fenice di Pietro Giarda potrà, al più, ridurre la spesa di ulteriori 0,2-0,4 punti percentuali di PIL. Il grasso che cola finisce lì: contrariamente a quanto svariati commentatori vanno sostenendo, la spesa per educazione e sanità in Italia non è particolarmente alta.

Vanno modificati i criteri di allocazione per rendere efficienti i servizi che esse finanziano e che oggi efficienti non sono, ma il livello totale di spesa non mi sembra riducibile e sarebbe forse auspicabile aumentare quella per la scuola. Questo però è un altro discorso, che come al solito rimandiamo. Qui mi interessa notare che le uniche cose tagliabili sono pensioni e deficit della spesa regionale, il resto è fantasia. E siccome sulle pensioni oggi non ho voglia di tornare, dedico le ultime righe al federalismo, questo sconosciuto.

La Lega Nord sarà anche, come vado argomentando da tempo, un autentico cancro politico ma la Questione Settentrionale è ancora tutta lì. Anzi, proprio perché costoro si son trasformati da potenziale cura ad effettivo cancro del Nord, la questione settentrionale è più drammatica ed impellente oggi che vent’anni orsono. E si riassume in pochissime cifre: il surplus fiscale annuale del Nord viaggia, approssimativamente, attorno ai 70-75 miliardi di €, mentre il deficit fiscale del Sud viaggia, sempre approssimativamente, attorno ai 60-65 miliardi di €. Poi c’è il Centro, con un surplus fiscale di circa 18-20 miliardi di € che è però tutto concentrato a Roma e quindi tutto artificiale (spero non sia necessario spiegare perché).

Siccome questo deficit fiscale è lì da mezzo secolo ed è responsabile, praticamente, per tutta la crescita del debito pubblico italiano dalla fine degli anni ’60 ad oggi, credo sia proprio il caso di guardarlo in faccia e chiamare le cose con il loro nome. Il Sud del paese, da Roma in giù, vive al di sopra dei propri mezzi e lo fa grazie ad un travaso fiscale strutturale che, mentre distrugge gli incentivi per la crescita economica in quelle aree sta anche progressivamente massacrando quella del Centro-Nord. Il risultato netto è il declino che abbiamo davanti. Chiunque rifletta sulla grandezza di queste cifre si rende conto che stiamo parlando del 4-5% del PIL, una quantità enorme davanti alla quale tutto il resto diventa irrilevante. E questo non include il costo del debito.

Non c’è alternativa al federalismo fiscale, piaccia o meno alle anime belle che anche oggi insorgeranno contro questa affermazione. Il federalismo cretinoide della Lega Nord va abolito, certo. Ma chiunque pensi che l’Italia possa smettere di declinare senza cambiare la struttura del proprio stato ed adottare un vero federalismo fiscale su base territoriale è un illuso. O un parassita che mente sapendo di mentire.

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