Qui si fa la storia: ora la riforma sanitaria di Obama è costituzionale

Qui si fa la storia: ora la riforma sanitaria di Obama è costituzionale

La decisione è attesa per fine giugno e potrebbe decidere le sorti delle elezioni presidenziali di novembre. La Corte Suprema Usa ha appena completato un’audizione di tre giorni per sciogliere un interrogativo che divide il paese: la riforma sanitaria voluta dal presidente Obama viola la Costituzione? In altri termini: può lo Stato federale obbligare i cittadini ad acquistare un prodotto (in questo caso un’assicurazione sanitaria) da una azienda privata?

Davanti all’austero edificio della Corte Suprema, nei giorni scorsi, schiere di militanti issavano cartelli gialli con l’immagine di un serpente a sonagli arrotolato su sé stesso e la scritta “Don’t Tread Me”, non calpestatemi. È la storica bandiera dei coloni che nel Settecento si ribellarono contro il governo britannico che voleva imporre loro di acquistare il té della Compagnia delle Indie. Da allora quell’immagine, oggi simbolo dal Tea Party, viene usata per protestare contro l’invadenza dello stato nell’economia. E la riforma sanitaria di Obama è un boccone troppo grosso per essere digerito dalla destra americana. Anche se la Corte Suprema non la abrogherà, quella legge sarà contestata per anni, e il prossimo presidente repubblicano farà di tutto per cancellarla.

Ma andiamo nel merito. Obama aveva due strade per riformare il sistema sanitario americano e garantire l’assistenza ai 50 milioni di cittadini (su 310) che ne sono sprovvisti. La prima è la strada europea: costruire un sistema sanitario pubblico a cui tutti possano accedere. Ma si tratta di una svolta troppo radicale per una società che vede l’ingerenza dello stato come il fumo negli occhi. La riforma disegnata da Obama punta invece ad allargare il ricorso alla sanità privata, obbligando i cittadini (quelli in grado di farlo) a stipulare un’assicurazione. Il sistema dovrebbe andare a regime nel 2014: a partire da quella data tutti i cittadini sopra un certo reddito che non avranno pagato un’assicurazione per sé e i propri figli dovranno pagare una multa che sarà modulata sulla base del reddito dichiarato.

L’architettura della riforma di Obama si fonda su alcuni fondamenti piuttosto solidi da un punto di vista economico. I 50 milioni di americani non assicurati non sono tutti poveri. Molti sono semplicemente giovani che scelgono di rinviare il momento di stipulare una polizza sapendo di avere poca probabilità di ammalarsi. Rimandano la scelta al futuro sapendo che, in caso di grave emergenza sanitaria, gli ospedali saranno comunque obbligati a curarli. Per questo meccanismo perverso – dicono le statistiche sbandierate dai democratici – gli americani non assicurati costano 43 miliardi di dollari alle casse dello stato, cioè mille dollari per ogni famiglia. La riforma di Obama obbliga quindi tutti i cittadini – giovani compresi –ad assumersi l’onere di un problema collettivo. Se tutti compreranno una polizza, le assicurazioni abbasseranno le tariffe, le famiglie povere potranno godere di forti sconti (e di aiuti pubblici) ed entro pochi anni il 98% degli americani potrà contare sull’assistenza.

Ma non è così semplice perché non sono solo i militanti del Tea Party e i conservatori più accaniti a essere contrari alla riforma di Obama (battezzata Obamacare, in segno di disprezzo). Un sondaggio realizzato la settimana scorsa dalla Cbs e dal New York Times mostra che 47 americani su cento sono contro la riforma e solo 36 su cento la sostengono. Lo slogan “Don’t Tread on Me” ha un impatto di massa: gli americani non vogliono che il governo si impicci degli affari loro.
E così ventisei stati americani (assieme alla National Federation of Independent Business e a privati cittadini), hanno chiesto alla Corte Suprema di valutare l’incostituzionalità della riforma di Obama, riaccendendo il dibattito sul ruolo invasivo dello Stato federale e sulla libertà dei singoli cittadini: una riedizione dello scontro culturale che da decenni spacca in due la società americana.

È già accaduto altre volte che la Corte abolisse leggi di grande importanza simbolica. Nel 1995 cancellò una norma che regolamentava l’uso delle armi nei pressi delle scuole, e nel 2000 una legge relativa alla violenza alle donne: in entrambi i casi stabilì che la competenza non spettava al governo centrale ma ai singoli stati. Nel caso della riforma sanitaria si tratta di una decisione ancora più importante perché in ballo non c’è solo un problema cruciale come il diritto alla salute, ma anche la regolamentazione di un settore che vale un sesto dell’economia americana (esattamente il 17,6%). E proprio per questo la battaglia è diventata così cruenta.

I conservatori dicono che la Costituzione dà al governo federale il potere di regolare il commercio tra gli stati e di imporre tasse. Ma vieta qualunque altro intervento. Tutto il resto spetta agli stati e agli individui. Può il Congresso (per risolvere un problema di rilevanza nazionale) obbligare un cittadino a pagare per un servizio sostenendo che prima o poi ne avrà certamente bisogno? I rappresentanti del ventisei stati che si sono rivolti alla Corte Suprema dicono di no. C’è in ballo la libertà individuale, oltre alla dignità e alla sovranità dei singoli stati.
Nel corso delle audizioni davanti ai nove giudici della Corte si è sviluppato un dibattito che bene rappresenta gli steccati ideologici su cui i due fronti si attestano. Il giudice John Roberts (conservatore) ha chiesto agli esperti perché il governo, che oggi obbliga i cittadini ad acquistare un’assicurazione sanitaria, domani non potrebbe costringerli ad acquistare telefoni per fare chiamate di emergenza. Il giudice Antonin Scalia (anch’egli conservatore) si è spinto oltre: essendo il cibo un bisogno universale come la sanità, perché il governo non dovrebbe obbligare i cittadini ad acquistare broccoli?

Per rispondere a queste argomentazioni Anthony Schlaff, direttore del master in Sanità pubblica alla Tufts University, ha scritto sul Christian Science Monitor che se i semafori fossero inventati oggi, il partito repubblicano sarebbe contrario alla loro introduzione. Si tratta di un perfetto esempio di limitazione della libertà individuale imposta dal governo: i semafori ci dicono quando dobbiamo fermarci e ripartire. Ma, come nella salute, i cittadini accettano il trade-off: meno semafori vorrebbe dire più code e più incidenti. Libertà sociale e individuale vanno bilanciati.

Il problema è dove viene tracciata la linea di confine, e molti conservatori americani sono molto radicali nel definire questo delicato punto di equilibrio. Alcuni anni fa, mentre giravo per il Kentucky, chiesi a un amico di accompagnarmi a un poligono di tiro nei pressi di Louisville. Volevo incontrare alcuni militanti della National Rifle Association, che da quelle parti sono particolarmente bellicosi. Il poligono era su una collina e non fu facile convincere i dirigenti del Nra locale a parlare con un giornalista europeo. Poi si fece avanti un signore robusto e mi disse: “Vogliamo il diritto di poterci comprare anche un carro armato per difendere le nostre case e le nostre famiglie. Se poi useremo quel carro armato in modo illegale, allora è giusto che ci arrestino. Ma finché rispettiamo le regole vogliamo la libertà di fare quello che vogliamo. Non diventeremo come l’Europa”.

Quel signore era certamente un estremista, ma esprimeva in modo chiaro una cultura che permea larghi strati della popolazione americana. I puritani che sbarcarono sulle coste del Massachusetts nel 1620 scapparono dall’Europa delle aristocrazie e degli stati centrali e fondarono una società basata sull’individualismo e sulle piccole comunità. Quella tradizione costituisce ancora oggi uno degli aspetti fondanti della società americana. La battaglia in corso sulla riforma sanitaria è l’ennesimo capitolo di una guerra culturale che va avanti da molti decenni ed è destinata a durare a lungo.

Se alla fine di giugno la Corte Suprema dichiarerà incostituzionale la riforma sanitaria di Obama (o almeno le sue norme fondanti) non ci sarà da stupirsi. Quattro dei nove giudici della Corte (Kennedy, Alito, Scalia, Roberts) hanno già manifestato forte scetticismo. Un quinto (Thomas) non ha parlato, ma la sua contrarietà è ben nota. Se Obama sarà sconfitto, la sua credibilità subirà un duro colpo, e la strada verso la rielezione si farà molto più accidentata. 

Leggi il testo della storica sentenza della Corte Suprema.

X