La scuola intitolata a Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, vincitrice del premio per la promozione della legalità. L’arrivo nella città di Brindisi della “Carovana anti-mafia”, alla vigilia del ventesimo anniversario della strage di Capaci. Sono tanti, troppi forse, i simboli colpiti a morte nella città pugliese, gli obiettivi di un attentato che ha riportato immediatamente alla memoria gli eccidi perpetrati da Cosa Nostra nel biennio 1992-1993. Governo, magistrati e forze di polizia ribadiscono che le indagini per individuare i responsabili dell’esplosione seguono diverse piste. Ma la prudenza doverosa degli inquirenti e degli investigatori non impedisce di ragionare su un interrogativo. Siamo tornati a rivivere la stagione di sangue dei primi anni Novanta? Si ripropone l’identica strategia terroristica e stragista alimentata da un disegno politico-criminale nei confronti di uno Stato indebolito da una gravissima crisi economica e sociale, oltre che dal crollo di credibilità della sua classe dirigente? Una risposta assai prudente viene fornita da Michele Costa, avvocato e figlio di Gaetano Costa, il procuratore capo della Repubblica di Palermo assassinato da Cosa Nostra il 6 agosto del 1980, acuto conoscitore della mentalità e delle modalità di azione delle organizzazioni mafiose.
L’attentato di Brindisi presenta una valenza simbolica impressionante. Quale può essere la matrice di un gesto così efferato?
Resto colpito da una serie di elementi decisamente anomali. Il giorno e la scuola prescelti come bersagli, le numerose coincidenze: mi sembra tutto troppo perfetto e inaccettabile. Per la prima volta è stata colpita una scuola. Cosa può giustificare tale ferocia? Trovo tutto molto strano, indecifrabile per un’associazione criminale. Si tratta di un atto devastante e distruttivo anche per chi lo ha compiuto. Per questo motivo attendo con ansia i riscontri e le verifiche degli inquirenti. Rilevo peraltro la presenza di due elementi su cui riflettere. Il timer trovato dagli investigatori era bloccato alle 7.55 mentre la deflagrazione è avvenuta dieci minuti prima. Evidentemente si voleva una strage di portata maggiore. L’ordigno era composto da tre bombole di gas, che si possono acquistare in un supermercato, e che fanno pensare a un attentato artigianale. Per questo oscilliamo tra un’ipotesi minimale di un crimine compiuto da uno squilibrato e un’azione concepita a tavolino da una mente raffinatissima. Adesso posso solo dire di sentirmi perplesso, come mi è sempre accaduto in occasione degli eventi più sanguinosi della storia di questo paese.
Accanto all’ipotesi di un’offensiva violenta di Cosa Nostra sul “continente” gli investigatori percorrono la pista che riconduce l’esplosione alla responsabilità della Sacra corona unita.
È vero: l’attentato di oggi è stato preceduto da episodi inquietanti di intimidazione e aggressione contro personalità in prima linea nella lotta al prepotere criminale, alle estorsioni e alla pratica del pizzo. Tuttavia non conosco la realtà pugliese e le sue dinamiche, e non sono in grado al momento di individuare una direzione chiara per ricostruire la matrice dell’attentato. Forse scopriremo che il responsabile è un mafioso isolato e invasato, o che si tratta di una banda di criminali disperati: oppure che esiste un preciso disegno eversivo che ha ispirato la mano degli assassini. Un punto è a mio avviso fuori discussione: l’azione ha una netta impronta terroristica, ed è stata concepita per creare e diffondere la paura nell’opinione pubblica.
Riscontra analogie con la strategia stragista portata avanti da Cosa Nostra vent’anni fa?
Se tutto fosse avvenuto a Palermo forse potrei tentare di dare una spiegazione plausibile. Conosco il tessuto e le dinamiche interne all’universo mafioso siciliano anche sul piano culturale, se così lo possiamo definire. Nella mia città ricordo un unico episodio che possa riallacciarsi all’attentato compiuto a Brindisi. Era il 1986 e mancava un giorno all’apertura dello storico maxi processo alla cupola di Cosa Nostra. Mi trovavo nell’aula riservata agli avvocati di parte civile quando arrivò una telefonata che annunciava l’esplosione di una bomba vicino al tribunale se il dibattimento fosse iniziato. Non accadde nulla. Penso e resto convinto che Cosa Nostra abbia sempre coltivato un disegno criminale di respiro politico e che i suoi gesti siano compiuti per un preciso obiettivo. Finalità che muta nel tempo e a seconda delle diverse fasi storiche: dalla capacità di adattarsi in maniera camaleontica a un clima e a un regime attraverso un patto di potere, alla volontà di affermare in modo brutale e diretto la propria egemonia sul territorio, imponendo alle istituzioni la resa e il cedimento. La mafia si muove spinta da un istinto di auto-conservazione, soprattutto nei momenti delicati e drammatici di passaggio e di crisi, per riemergere ogni volta in forma nuova. Nel crimine compiuto oggi sembra mancare del tutto una logica simile.
Gli attentati del 1993 furono diretti contro il patrimonio artistico italiano, oggi viene colpita la cultura e l’educazione. Siamo davanti allo stesso disegno criminale?
Non lo so. Peraltro nutro forti dubbi e perplessità sul fatto che Cosa Nostra abbia ideato la catena di esplosioni a Milano, Firenze e Roma di quasi vent’anni fa. Vede, proprio non riesco a immaginare Leoluca Bagarella come un appassionato ed esperto di arte in grado di individuare e distinguere gli obiettivi eccellenti per una campagna mirata e scientifica di distruzione. Penso che sia un altro l’elemento davvero allarmante.
Quale?
Viviamo una crisi economica terribile, che si riflette nella diffusione della miseria e della disperazione, e provoca l’impoverimento di un ceto medio penalizzato dai duri sacrifici imposti inevitabilmente dal governo. Un fenomeno che non si può risolvere attraverso pannicelli caldi. Non possiamo aspettarci che le persone così duramente colpite manifestino tutte e sempre in forma pacifica e civile la propria frustrazione. Come messo in luce dall’agguato ai danni del dirigente dell’Ansaldo Nucleare, esiste e si allarga una tensione difficilmente controllabile, destinata a esplodere. Parlando con i miei familiari venti giorni fa, avevo manifestato una strana inquietudine e il timore che presto sulle nostre strade avremmo visto diversi morti. Anche se certo non pensavo a un attentato.
La politica non può fare nulla per allontanare questa prospettiva?
Il ceto dirigente e la realtà partitica sono giunti a un tale livello di discredito e di impotenza che non hanno la forza di fare nulla. Anche per questa ragione ho paura che la crisi in atto determini e favorisca una deriva violenta e autoritaria.