Era il lontano 2001 quando la Corte dei Conti aveva iniziato a bacchettare le amministrazioni locali sui finanziamenti comunitari e sul loro impiego: troppa lentezza nei loro investimenti rischiava di far perdere le risorse provenienti dall’Unione Europea. I “tempi morti delle procedure”, così recitava la relazione della magistratura contabile, rischiavano di vedere realizzato nemmeno la metà di quanto era stato inizialmente finanziato dall’Europa.
A distanza di undici anni il fallimento é stato certificato dalla Corte dei Conti e il paradigma, non casuale, del flop é la Sicilia. La Sezione di Controllo della magistratura contabile per la Regione Siciliana ha pubblicato, lo scorso 2 maggio, un’indagine “sulla chiusura della programmazione 2000/2006 in materia di fondi strutturali europei, con particolare riferimento al FESR”, il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, curata dal magistrato Giuseppa Cernigliaro e le cui conclusioni sono state approvate dal presidente della sezione Rita Arrigoni.
I dati testimoniano l’incapacità dell’ente regionale di spendere e investire adeguatamente i fondi europei. L’intera relazione, composta da circa 55 pagine, é un duro atto d’accusa contro i vertici regionali, in questo momento politico alle prese con una finanziaria che non riesce ad andare in porto perché impugnata dal commissario dello stato e con una assemblea regionale a forte rischio scioglimento.
Il primo punto dolente riguarda i controlli che la Regione avrebbe dovuto effettuare sull’utilizzo dei fondi del Fondo Europeo 2000/2006. L’ente siciliano é riuscito a eseguire controlli di primo e secondo livello solamente su 492 progetti, comprendenti investimenti per 610 milioni, su un totale di spesa di 5,3 miliardi di euro. Pochi controlli ma molte irregolarità: sui 610 milioni passati al setaccio la spesa “opaca” si é attestata a 163 milioni, quasi il 27% del totale.
Secondo la Corte dei Conti é “elevata la spesa viziata da irregolarità riscontrata a seguito dei controlli di secondo livello e delle verifiche della Commissione europea con una componente considerevole relativa agli appalti. Il rischio di ulteriori riduzioni del contributo comunitario impone il miglioramento, per il futuro, dei controlli di primo livello”.
Truffe, mancanza di documentazione, presentazione di finte note spese hanno ingrossato la spesa illegittima dei fondi e la Regione é riuscita a recuperare solamente 8 milioni di euro. Un’inezia. Di conseguenza l’Europa, visti i risultati della spesa dei fondi per gli anni 2000 – 2006, ha deciso di stringere i cordoni della borsa non erogando ulteriori 700 milioni di euro che avrebbero portato a un totale di 6 miliardi spendibili per la Regione Siciliana. Milioni persi e che sarebbero serviti per realizzare il completamento della Palermo – Messina e di alcuni importanti impianti idrici.
La Corte, inoltre, ha espresso “forte preoccupazione per l’elevata incidenza dei progetti non conclusi sulla spesa complessiva, con particolare riferimento alle iniziative destinate alla riqualificazione urbana, al potenziamento dei trasporti urbani, alle reti e ai nodi di servizio e alle risorse culturali dell’Isola”.
Sul fronte delle infrastrutture e dei trasporti l’isola paga un pesante dazio. Basti pensare che le autostrade siciliane dovevano essere incrementate di 60 chilometri e ci si é fermati a 50, mentre la rete ferroviaria sulla Palermo – Agrigento avrebbe dovuto raggiungere 90 chilometri e ci si é fermati a realizzarne 42.
Le conclusioni dell’indagine testimoniano il fallimento della burocrazia regionale, che ha cercato in maniera raffazzonata di finanziare con i fondi europei progetti già esistenti, con ulteriori difficoltà e lentezze. “La non completa realizzazione del programma, – scrivono i magistrati – testimonia la difficoltà di portare a conclusione la complessiva strategia di programmazione. A ciò si è tentato di porre rimedio con il ricorso ai progetti coerenti operando così una mera sostituzione di progetti. L’eccessiva frammentazione degli interventi programmati e la notevolissima presenza di progetti non conclusi hanno sfavorevolmente inciso sullo sviluppo locale e non hanno prodotto l’auspicato miglioramento delle condizioni di vita della popolazione della Regione”.
I progetti non conclusi arrivano a toccare picchi altissimi: il 35% non giunge ad essere realizzato per irregolarità. Strettamente connesso al fenomeno delle irregolarità é quello dei recuperi, poiché gli importi erogati a seguito di errori o frodi obbliga lo Stato membro a reintegrare di tasca propria la cifra nel bilancio comunitario. Chi rompe paga e i cocci sono suoi. Ma anche su questo punto la Sicilia é carente, avendo svolto un’azione di recupero delle somme poco incisiva.
“I recuperi – conclude la Corte dei Conti – vanno perseguiti con maggiore incisività, anche attraverso forme coattive, al fine di scongiurare l’integrazione finanziaria da parte della Regione siciliana con aggravio degli oneri a carico del proprio bilancio”. Probabilmente, nonostante un vasto esercito di dipendenti, la Regione ha dedicato troppe poche persone nella gestione degli uffici dedicati all’utilizzo dei fondi europei: solamente 173 per controllare una spesa di oltre 5 miliardi di euro. Una somma che ha stuzzicato diversi appetiti, i quali hanno fatto perdere, in combutta con la malaburocrazia, l’ennesima occasione di sviluppo all’isola.