«Grillo un fuoco di paglia? Anche la Lega era considerata così»

«Grillo un fuoco di paglia? Anche la Lega era considerata così»

«L’identificazione del movimento guidato da Beppe Grillo con l’anti-politica e con il qualunquismo è fuorviante e frutto della cecità del ceto partitico tradizionale, vero responsabile della perdita di credibilità della politica. La formazione animata dal comico ligure dà voce alla parte più avanzata e consapevole della società, che non tollera più i registri e i rituali dominanti nella vita pubblica». Paolo Macry, professore di Storia contemporanea all’Università “Federico II” di Napoli e studioso dei processi di crisi politica e istituzionale, risponde così a coloro che liquidano l’exploit delle Cinque Stelle alle elezioni comunali come un fenomeno passeggero emotivo e irrazionale. Pur manifestando dubbi e scetticismo sulla natura e gli obiettivi del partito dei grillini, lo storico riconosce la capacità di reclutare persone in grado di riscuotere simpatie e adesioni in un voto diretto e di governo. Un legame profondo con il territorio che a suo giudizio potrebbe costituire il terreno favorevole alla creazione di una classe dirigente nuova.

È sorpreso dal risultato del Movimento Cinque Stelle?
Assolutamente no. Soprattutto se consideriamo che appena il 40 per cento degli elettori di Pdl e Lega si sono recati alle urne. Si tratta di un serbatoio formidabile di persone indisponibili ad appoggiare l’attuale assetto dei partiti. I quali, anziché affrontare apertamente e con coraggio una gravissima crisi economica e sociale, hanno preferito nascondersi dietro a un governo tecnico abdicando al dovere di assumere decisioni. Un’ambiguità intollerabile, che è sfociata nell’esito del voto locale.

Molti identificano Grillo con l’anti-politica e il qualunquismo.
Allora pongo io una domanda: è politica quella di un intero ceto partitico che rinvia al prossimo anno il dimezzamento dei finanziamenti pubblici, e non ha neanche la furbizia di rinunciare all’ultima tranche dei rimborsi elettorali del 2012? La formazione animata dal comico ligure, che non ho mai votato e non voterei in futuro, rappresenta il termometro della reazione popolare contro la cecità culturale di una classe dirigente oligarchica, rinchiusa in maniera scellerata nel recinto inviolabile del potere e del palazzo. Mai avevo visto atteggiamenti così dissennati, nemmeno nel 1992 o negli anni Settanta. E voglio dire a Pier Luigi Bersani che essere il primo partito in un simile scenario è una consolazione assai magra. L’avanzata delle Cinque Stelle non può certo essere accostata alla breve parabola dell’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini, che aveva buon gioco nel pescare in una zona grigia di popolo minuto indifferente e ostile alla costruzione della nuova Italia anti-fascista e alla retorica resistenziale dei partiti del Cln. Ci troviamo di fronte a un rifiuto diffuso dei registri politici tradizionali, che viene liquidato con superficialità e arroganza dagli autentici responsabili dell’ondata di anti-politica. Altro che populismo viscerale e irrazionale, come essi vorrebbero far credere. Grillo ripropone in forme discutibili e opinabili il messaggio anti-partitocratico che Marco Pannella tenta di promuovere da anni nel dibattito pubblico italiano.

Ai giornalisti che gli chiedevano una considerazione sul boom delle Cinque Stelle il Presidente della Repubblica ha risposto seccamente che lui conosce solo il boom degli anni Sessanta.
Giorgio Napolitano cerca da tempo di porre rimedio a una realtà di sfascio generalizzato, anche attraverso decisioni forti e con pochi precedenti. La sua strategia è finalizzata alla difesa e alla rigenerazione dell’assetto politico esistente, al quale ha offerto l’ultima chance patrocinando la formazione del governo Monti. L’exploit di Grillo è la testimonianza clamorosa della crisi di quel sistema, ed è comprensibile che il capo dello Stato ne sia profondamente preoccupato. La polemica, se così dobbiamo definirla, era ampiamente prevedibile.

Le Cinque Stelle trionfano nel Nord-Est e nel Nord-Ovest, ma falliscono clamorosamente nel Mezzogiorno. Come spiega questa differenza?
È nelle regioni settentrionali che dall’Ottocento in poi sono nate e si sono affermate tutte le grandi culture politiche italiane. Si trovano al Nord le aree più avanzate e dinamiche economicamente e socialmente, le più sviluppate sul piano industriale e dell’iniziativa privata, e dunque le più esposte e sensibili alle ricadute della crisi. Ragione per cui soffrono di più e manifestano una maggiore rabbia, sono più consapevoli e reattive. L’insofferenza diffusa contro un assetto di potere lontano e arroccato nei privilegi, inamovibile e impermeabile ai sacrifici, costituisce il terreno fertile per l’affermazione dei grillini. Al contrario il Sud, dove l’offerta di lavoro viene soprattutto dalla pubblica amministrazione, conserva tuttora un attaccamento ad antichi rituali e appare più impastato delle vecchie liturgie di consenso e di potere. Penso a Palermo, città partitocratica per eccellenza, dove il Partito democratico ha combinato pasticci inauditi e il trionfatore del voto è Leoluca Orlando Cascio, figura che al pari di Ciriaco De Mita affonda le proprie radici nella metà del Novecento. Ma il Mezzogiorno è anche Napoli, dove Luigi De Magistris ha mobilitato un’ampia fascia di opinione pubblica anti-partitocratica e ostile alle prassi clientelari e correntizie che hanno spadroneggiato in Campania per decenni.

La formazione di Beppe Grillo è destinata a svolgere un ruolo da protagonista nella vita pubblica nazionale?
Vi è un precedente storico importante. Quando la Lega fu creata negli anni Ottanta venne liquidata da molti come un fuoco di paglia. Possedeva un bagaglio di idee innovative come il federalismo, ma riuscì a vivere e ad affermarsi grazie alla formazione di una classe dirigente nelle amministrazioni locali. Gli esponenti delle Cinque Stelle hanno conquistato molti voti direttamente sulla loro persona, in un’elezione basata sulla conoscenza e sulla responsabilità del candidato. Se il loro movimento sarà in grado di reclutare giovani preparati e intraprendenti, potrà avere una prospettiva di rilievo a livello nazionale, proprio come avvenuto al Carroccio. Per ora la formazione animata dall’attore ligure può contare sulla capacità di registrare la crisi politica e culturale in atto. Questo è il suo punto di forza. E un partito che riesce a interpretare e canalizzare queste spinte è più che mai necessario oggi. Soprattutto se pensiamo alla violenza e al fanatismo che si esprime a colpi di pistola, come a Genova. Ecco, quella è l’anti-politica da condannare senza incertezze.  

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