«Oggi le Br non troverebbero sponda nella società italiana»

«Oggi le Br non troverebbero sponda nella società italiana»

La rivendicazione dall’agguato a Roberto Adinolfi, amministratore delegato di Ansaldo Nucleare, è arrivata via posta al Corriere della sera. «Abbiamo azzoppato uno dei tanti stregoni dell’atomo dall’anima candida e dalla coscienza pulita» Firmata Nucleo Olga Federazione Anarchica Informale (Fai). Nel lungo comunicato viene citata una frase co cui Adinolfi avrebbe sminuito l’impatto ambientale del nucleare e la portata del disastro nucleare in Giappone di Fukushima. La rivendicazione – inviata da Gemova – si intitola “Il marchio della vita”. 

Ovviamente l’autenticità andrà verificata. Fino a ieri magistrati e polizia investigativa negavano l’esistenza di una pista privilegiata, per cui tutte le ipotesi di indagine restavano aperte: matrice neo-brigatista, origine nell’universo anarchico-insurrezionalista appunto, legame con le attività commerciali dell’azienda in Italia e all’estero. Tuttavia agli inquirenti e alle forze dell’ordine le tecniche e le modalità dell’attentato ricordano molto da vicino quelle utilizzate dalle Br negli anni Settanta. Elemento che concorre a suscitare un interrogativo: è ragionevole prevedere la possibilità di una ripetizione in forme nuove della stagione degli anni di piombo? E nella società italiana è presente quella zona grigia e nebulosa di acquiescenza e comprensione per la violenza politica che favorì la diffusione del terrorismo e della lotta armata? Lo abbiamo chiesto a Giovanni Pellegrino, già parlamentare dei Democratici di sinistra e presidente della Commissione stragi dal 1996 al 2001. Alla guida dell’organismo bicamerale di inchiesta, Pellegrino ha potuto analizzare in profondità le pagine più tragiche e oscure della storia repubblicana, ne ha illuminato i passaggi cruciali e i legami con le dinamiche politico-istituzionali e con le strategie dei protagonisti della guerra fredda.

Ritiene fondato ipotizzare una matrice brigatista per l’attentato a Roberto Adinolfi?
Sì, ma non in modo esclusivo. La pista che potrebbe far risalire gli inquirenti alla responsabilità di nuclei ricostituiti delle Br è destinata a intrecciarsi con l’area dell’anarco-insurrezionalismo. Fenomeno che nell’ultimo decennio ha prevalso decisamente sul vecchio armamentario marxista-leninista delle Brigate Rosse e dei principali gruppi armati degli anni Settanta, e ha caratterizzato la quasi totalità delle manifestazioni di violenza organizzata. Rileggendo i documenti di rivendicazione degli assassinii di Massimo D’Antona e di Marco Biagi, possiamo riscontrare riferimenti e tracce di tale mutamento ideologico. Linguaggio e contenuti di quei manifesti riflettono una realtà radicalmente cambiata rispetto alla cornice storica in cui presero corpo le prime azioni del terrorismo di estrema sinistra. All’inizio il bersaglio privilegiato dei gruppi armati era lo Stato imperialista delle multinazionali. Più di vent’anni più tardi l’obiettivo era il dominio delle multinazionali in sé. Una prova evidente del rivolgimento economico e sociale intervenuto nei primi anni Ottanta con l’avvento dei processi di globalizzazione. Rientra in tale ottica colpire un rappresentante dell’Ansaldo Nucleare, protagonista dei mercati internazionali e portatrice di un’autonoma strategia commerciale.

Corriamo oggi il rischio di un ritorno al terrorismo politico?
A mio giudizio esiste il pericolo di un terrorismo endemico nell’intero mondo occidentale. Le realtà urbane marginalizzate e frustrate dalle ricadute negative della globalizzazione e dalla crisi in atto potrebbero aggregarsi in nuclei violenti e animati dal rancore sociale. Tali gruppi finirebbero per creare un terreno e una cultura non automaticamente identificabili con il terrorismo, ma che contengono e producono i suoi germi. Anziché subire l’esplosione di una pandemia terroristica come negli anni Settanta e Ottanta, ci troveremmo di fronte a una violenza capillare e pervasiva, profondamente legata all’antagonismo sociale e alla rabbia derivanti dal disagio economico. A rendere più complesso un simile fenomeno sarebbe poi la pluralità dei suoi motivi ispiratori. L’ortodossia marxista-leninista delle Brigate Rosse si mescola infatti con il fanatismo anarchico-insurrezionalista, con l’estremismo ecologista e talvolta con l’integralismo religioso islamico.

Le manifestazioni iniziali di violenza terroristica vennero alimentate da una adesione e tolleranza silenziosa di settori significativi dell’opinione pubblica. Teme il ripetersi di un simile fenomeno?
Il ferimento alle gambe del dirigente dell’Ansaldo richiama l’aggressività originaria delle Brigate Rosse e mette in luce la possibilità di un rapporto di continuità con quel filone. Ma la loro presa sociale e la presenza di un substrato sociale favorevole sono assai più deboli. E sarebbero inesistenti se non vi fosse una disperazione ed esasperazione così diffusa nell’opinione pubblica da creare un terreno meno ostile alla propaganda armata. È tutta qui la differenza con il clima in cui maturarono gli omicidi di D’Antona e Biagi. I gruppi di fuoco responsabili degli assassinii furono individuati in tempi brevi e neutralizzati definitivamente: e nel web anche i Comitati di appoggio alla resistenza comunista, portavoce dell’antagonismo militante più agguerrito, manifestarono un netto dissenso rispetto alla strategia omicidiaria delle nuove Br. Nell’agguato avvenuto a Genova emerge però un dato molto rilevante.

Quale?
Manca del tutto una rivendicazione dell’atto criminale, da sempre parte essenziale della logica della propaganda armata. Le Brigate Rosse, vecchie e nuove, hanno puntualmente rivendicato ogni loro gesto, anche i propri clamorosi “errori”. Gli inquirenti e gli investigatori devono riflettere attentamente su una simile assenza.

Se un dirigente di Equitalia fosse vittima di un’aggressione violenta o armata, la condanna dell’opinione pubblica sarebbe altrettanto decisa di quella espressa verso l’attentato a Adinolfi?
Forse molte persone, a caldo e istintivamente, direbbero “ben gli sta”. Ma al di là di possibili disordini di piazza non vedo nella società italiana le condizioni che contribuirono a incoraggiare il terrorismo. 

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