I provvedimenti fiscali del governo Monti, imperniati sulla reintroduzione dell’Imu per la prima abitazione e sull’incremento del prelievo per le altre proprietà immobiliari, sono al centro delle polemiche furibonde da parte di chi denuncia “una gravissima aggressione al bene fondamentale degli italiani, al frutto dei risparmi di una vita, del lavoro e dei sacrifici compiuti per generazioni”.
La strategia adottata dall’esecutivo per promuovere una tempestiva riduzione del deficit e avviare un solido percorso di risanamento dei conti pubblici ha colpito il punto di forza della ricchezza dei cittadini e delle famiglie, rinunciando almeno per ora a intervenire radicalmente sui grandi capitoli di spesa grazie a cui si è accumulata nel tempo la montagna del debito pubblico. Tuttavia l’iniziativa intrapresa da Palazzo Chigi non rappresenta un’eccezione nel panorama comunitario e occidentale, e non rende il nostro paese un unicum, a differenza di quanto avviene per il livello di pressione fiscale sul lavoro e sui profitti di impresa.
In tutti i principali paesi dell’Unione Europea esistono forme di prelievo sul patrimonio e sulle abitazioni di proprietà, sia pure calibrate in base alle esigenze del territorio e caratterizzate da detrazioni variamente concepite. Fino all’anno passato il gettito impositivo legato al patrimonio immobiliare ammontava all’1,47 della riscossione fiscale complessiva: cifra che collocava l’Italia nel gradino più basso a livello europeo. Pur provocando rabbia e frustrazione diffuse, la tassa che ha preso il posto dell’imposta comunale sugli immobili e che entro la fine dell’anno dovrebbe portare nelle casse dell’Erario 21,4 miliardi di euro con un aggravio per i contribuenti di 6,2 miliardi, produrrebbe un riallineamento della realtà italiana a quella delle altre democrazie politiche. Ma quali sono i tratti distintivi delle leggi fiscali sulle abitazioni e sul patrimonio in vigore nei paesi più importanti dell’Ue e negli Stati Uniti?
Nel nostro paese il “decreto salva-Italia” varato dal governo e approvato dal Parlamento l’autunno scorso ha anticipato al 2012 l’estensione dell’imposta sugli immobili alla prima casa, con un’aliquota base del 4 per mille sul valore della rendita catastale dell’immobile, e ha aumentato il tributo sulle altre abitazioni, con un’aliquota del 7,6 per mille. Per l’appartamento in cui si vive è prevista la possibilità di godere di una detrazione di 200 euro, che potrebbe essere aumentata di 50 euro per ogni figlio sotto i 26 anni residente nell’immobile, fino a un totale di 600 euro.
Il regime vigente in Francia è fondato sull’istituto della Taxe foncière, la tassa fondiaria sulle proprietà costruite equivalente alla nostra Imu, e su un tributo speciale che grava generalmente sull’inquilino e corrisponde a una mensilità di affitto, la Taxe d’habitation. Entrambi contribuiscono alla formazione delle risorse fiscali dei comuni. Nello Stato simbolo del centralismo e dell’uniformità amministrativa, è proprio sulle necessità delle istituzioni locali che vengono stabilite le aliquote per quantificare ogni anno l’imposta. La Taxe foncière è concepita sulla base del valore catastale dell’abitazione, ma la sua entità viene calcolata considerando anche se si tratta della prima o della seconda casa, se si trova in campagna o in città, e in quale quartiere è situata. Per le proprietà del valore superiore ai 790 mila euro è prevista una tassa ulteriore, l’Impot de solidarité sur la fortune, calibrata su un’aliquota tra lo 0,55 e l’1,8 per cento del valore dell’immobile. Tributo che aumenta in forma rilevante sui patrimoni oltre 1,3 milioni di euro. Assai consistente è la pressione fiscale sui redditi da locazione, che presentano aliquote progressive tra il 5 e il 45 per cento. Il livello più alto concerne la tassazione sulla seconda casa in affitto, assai elevata rispetto all’imposta sul reddito proprio in virtù della forte progressività che governa la legislazione tributaria a Parigi. Ragion per cui, se da un lato l’ordinamento giuridico d’Oltralpe contempla la facoltà di sgravi fiscali per il pagamento della Taxe foncière, a favore dei contribuenti che non superano una determinata fascia di reddito, dall’altro istituisce vari generi di prelievo patrimoniale. Assente nella gran parte dei paesi occidentali, l’imposta di solidarietà sul patrimonio coinvolge tutte le persone fisiche e le coppie sulla base del loro patrimonio netto, che comprende i beni immobili, gli utili professionali, i valori mobiliari e altri beni materiali, diritti e titoli come i buoni del Tesoro e di risparmio. Tale tributo prevede due grandi scaglioni di patrimonio su cui modulare le aliquote di imposta. Fra 1,3 e 3 milioni di euro viene pagato lo 0,25 per cento di tassa sul valore complessivo di quanto detenuto, mentre per le ricchezze superiori a 3 milioni di euro il prelievo cresce allo 0,50. A partire dal 2010 le persone che decidono di partecipare a fondi di investimento a favore delle piccole e medie aziende in difficoltà nell’accesso al credito, o in fase di inizio di attività e di espansione, possono beneficiare di una riduzione della metà dell’imposta di solidarietà sul patrimonio. E dal luglio 2011 è stata alleggerita la tassazione sulla detenzione delle ricchezze a favore di un prelievo più pesante sulla sua trasmissione ereditaria e familiare.
La tassa patrimoniale sulla casa manca in Germania, dove vige invece un’imposta fondiaria stabilita dal governo centrale, variabile nei Land e da città a città. Le proprietà immobiliari, possedute a titolo privato o appartenenti al patrimonio aziendale, sono soggette pertanto a un tributo locale paragonabile all’Imu. Basato su un’aliquota comune dello 0,35 per cento, e calcolato sulla base di specifici moltiplicatori a seconda delle varie zone del paese, esso è detraibile dall’imposta sul reddito e dalla tassa territoriale sugli affari. In altre parole, il prelievo fissato da Berlino tiene conto del valore catastale dell’immobile, equivalente al 60 per cento del valore di mercato, ma Regioni e Comuni sono liberi di applicare aliquote differenziate e flessibili su tale tassa. Oltre all’imposta fondiaria, è prevista una tassa sui redditi da affitto, che varia in rapporto a un’aliquota marginale.
Anche il Regno Unito contempla l’esistenza di una tassa sul possesso degli immobili assimilabile all’Imu. Si tratta della Council tax, e generalmente oscilla tra lo 0,5 e il 1,3 per cento del valore catastale dell’abitazione che venne definito nel 1991 ed è stato rivalutato tra il 2003 e il 2006. La percentuale del prelievo dipende da numerosi fattori: un appartamento situato a Londra può determinare un ammontare di tasse compreso tra 1.200 e 3mila euro. Il punto qualificante della legislazione britannica risiede nel fatto che a pagare il tributo è chi abita in una casa, a prescindere dalla sua identità di proprietario o di inquilino. La ragione dell’imposta è infatti nel legame profondo e storico fra la vita domestica e il buon funzionamento della comunità, e si esplica nella necessità di coprire i costi dei servizi municipali come la gestione e lo smaltimento dei rifiuti, la manutenzione strade, le prestazioni sociali di pubblico interesse. Funzioni che nel nostro paese restano nettamente separate dal regime fiscale sugli immobili, in virtù di una rigida distinzione tra universo privato e tessuto collettivo. Anche nella patria di Sua Maestà l’imposta sul reddito da locazione si basa su un’aliquota marginale, ed è prevista una deduzione delle spese effettuate. Tuttavia, se giuridicamente manca la nozione di tassa patrimoniale, sui canoni d’affitto superiori a 148 mila euro annui si applica lo Stamp duty, un bollo di registro equivalente all’1 per cento del valore dell’immobile.
Il paese in cui il regime fiscale sulla casa presenta le maggiori consonanze con quello italiano è la Spagna, dove l’imposta sui beni immobili, Impuesto sobre bienes inmuebles, viene pagata dalle persone fisiche e giuridiche proprietarie di abitazioni, con aliquote che variano tra lo 0,4 e l’1,1 per cento del valore catastale in relazione al comune in cui si abita. Recentemente, solo per gli appartamenti con un valore superiore ai 700 mila euro, è stata reintrodotta una tassa patrimoniale. Anche a Madrid è previsto un tributo sugli introiti da locazione, con possibile sgravio delle spese effettivamente sostenute. Se l’abitazione viene affittata a giovani tra i 18 e i 35 anni, il proprietario beneficia di una esenzione integrale delle imposte sul reddito.
Il prelievo fiscale su un bene da sempre ritenuto sacro e intoccabile nel nostro paese non è appannaggio esclusivo degli Stati europei, considerando che negli Stati Uniti, patria dei diritti inalienabili alla vita, alla libertà individuale, alla proprietà e alla ricerca della felicità, esiste la Property tax. Riscossa da ciascuno dei 50 Stati e oscillante fra lo 0,2 e lo 0,4 per cento del valore catastale dell’abitazione, l’imposta incide su una cifra compresa tra il 3 e il 4 per cento del Pil. Oltre il triplo rispetto allo 0,9 medio calcolato per l’Imu. La differenza abissale con la patria del capitalismo e del mercato, dove regna una visione altamente dinamica della proprietà, è nel peso delle tasse sul lavoro e sui profitti di impresa. Mentre nel nostro paese la pressione tributaria ha ampiamente superato la metà del prodotto interno lordo, negli Usa il livello più alto tocca il 31 per cento.