Popolarissimo e impopolarissimo, indiscutibile e discusso, lodato e disprezzato. Amato e odiato. Antonio Bassolino ha segnato in profondità gli ultimi vent’anni della sinistra meridionale (e non solo). Sindaco di Napoli e presidente della Regione Campania, parlamentare e ministro del Lavoro, quattro partiti attraversati nelle loro modificazioni genetiche (Pci-Pds-Ds-Pd) e quattro mandati amministrativi consecutivi senza mai perdere un’elezione. Altare e polvere, successi e scandali. C’era una volta. Dall’ultimo giorno da governatore, ha lasciato le stanze dei bottoni. Oggi quelle stanze sono lontane, una distanza vissuta con sollievo, rimpianto, delusione, «un misto di sentimenti diversi che a volte convivono nell’ambito della stessa giornata. Cerco di fare cose che mi piacciono e che per diversi anni ho potuto far poco. Per esempio, leggere romanzi e buona letteratura».
Ma per Antonio Bassolino la voglia di parlare di politica è rimasta, intatta e totalizzante. Oggi segue con passione la Fondazione Sudd, di cui è presidente. Mezzogiorno, sviluppo, ritardi cronici: «È la parte più sofferente di un paese malato, che da più di 15 anni non cresce, con l’unica parziale eccezione della seconda metà degli anni ’90. Allora, in quei pochi anni, il Sud crebbe più della media nazionale. Ma nell’insieme l’Italia è rimasta indietro rispetto a tutti i grandi paesi europei e questo chiama in causa sia il centrosinistra sia il centrodestra. Io credo che non si riapra una prospettiva seria e positiva senza un discorso di verità che riguarda sia, in primo luogo, le responsabilità interne al Mezzogiorno sia anche l’evidente inadeguatezza della classe dirigente, e non solo politica, italiana».
E a proposito di classe dirigente. Tre nomi: Ignazio Visco governatore di Bankitalia, Luigi Gubitosi prossimo direttore generale della Rai, Mario Greco nuovo amministratore delegato di Generali. Tre napoletani. Segno che Napoli continua a esportare classe dirigente. L’Italia si affida ai napoletani, ma crede Bassolino che la città abbia davvero a cuore i suoi talenti? A vederla, sembra piuttosto una città cinica con i suoi figli… «Non è una città cinica con i suoi figli, è che offre meno opportunità di altre grandi e importanti città. Il futuro di Napoli coincide proprio con la possibilità di poter offrire lavoro ai suoi giovani e alti incarichi professionali e di direzione ai propri cittadini che hanno fatto esperienza altrove, nei paesi più innovativi».
Napoli è governata da oltre un anno dall’ex pm de Magistris, da lei ribattezzato Egogistris. Al di là della battuta, che pure delinea efficacemente il suo pensiero, che riflessione fa su questa attuale fase di governo napoletano?
Luci ed ombre. Luci, come il problema dei rifiuti. Anche se ben lontano dall’essere risolto in modo strutturale. Sebbene i rifiuti vadano in Olanda o in quel termovalorizzatore di Acerra tanto avversato è comunque un bene che non ci siano, o che non si vedano. E ombre, come i passi indietro nel campo culturale, della valorizzazione della cultura come risorsa civile. Quanto a De Magistris, mi è sembrato doveroso rispondergli per una sua singolare intervista sul Mattino nella quale invece di parlare senza retorica dei problemi di Napoli, attacca me.
De Magistris a Napoli, Emiliano a Bari, Orlando a Palermo: è cominciata una nuova stagione dei sindaci?
Siamo dentro un passaggio delicato. Il problema vero è riuscire ad aprire una vera stagione riformatrice, nell’economia e negli assetti istituzionali. I sindaci, a partire dalle loro esperienze, possono dare un contributo importante in questa direzione.
Nell’ultimo libro di Isaia Sales, suo storico collaboratore che si è poi da lei allontanato, c’è una articolata disamina della sua stagione, non esente da anche dure critiche. Tuttavia il punto che emerge è che sostanzialmente lei, esponente di punta della sinistra meridionale, sia stata abbandonato, lasciato solo a sé, dai vertici nazionali del suo partito (D’Alema, Veltroni, Fassino), per i quali la questione meridionale non è stata mai una priorità piuttosto un problema, a vantaggio di una questione settentrionale, imposta a Roma dalla forza della Lega. Condivide questa lettura? Si è mai sentito solo? E la sinistra della Seconda Repubblica è stata sostanzialmente anti-meridionale?
Quando un paese è sostanzialmente fermo ed in certi ambiti va addirittura indietro e questo è ancora più evidente nel mezzogiorno, siamo di fronte a diverse responsabilità. Nessuno si può tirare fuori
e neppure può scaricare solo sugli altri.
Ripensando alla sua ventennale attività al Comune e alla Regione, quale merito maggiore si attribuisce?
Di aver ridato alla città di Napoli consapevolezza e giusto orgoglio e di aver introdotto cambiamenti importanti, quando ho fatto il sindaco. Diventare primo cittadino di Napoli è stata la gioia più grande della mia vita politica, anche più grande di quella pure impressa nel mio cuore di quando entrai giovanissimo nella Direzione del Pci e andai a sedermi tra Umberto Terracini e Paolo Bufalini.
E l’errore?
L’errore più serio, a ben vedere, e che comprende poi dentro di sé altri singoli errori, è di essere rimasto troppo tempo alla Regione. Dieci anni, dopo l’esperienza da sindaco, sono troppi e il troppo
stroppia.
Come pensa che sarà giudicata, domani, l’epoca di Bassolino?
Bene gli anni da Sindaco, in modo fortemente critico gli ultimi anni in Regione. Poi, intendiamoci, anche negli anni d’oro al Comune ci sono stati tanti problemi e molti limiti. Così come negli ultimi anni in Regione abbiamo fatto cose importanti anche sul piano istituzionale, come la legge elettorale con la doppia preferenza uomo-donna o la giusta introduzione del voto di fiducia sul bilancio per interrompere gli assurdi ostruzionismi. Ma è indubbio che nell’immaginario pubblico prevalgano le luci per il comune e gli aspetti negativi per l’ultima fase in Regione. La delusione massima per me è stato vedere la crisi dei rifiuti coprire e soppiantare, ad un certo punto, anche tante cose positive.
Ha mai pensato che per lei, per le sue ambizioni, per la sua carriera, sarebbe stato meglio proseguire il lavoro nel partito piuttosto che lasciare Roma e misurarsi con un territorio difficilissimo come Napoli e poi la Campania?
No. L’esperienza da sindaco è stata la più importante nella mia vita. Sarebbe invece stato meglio se non mi fossi proprio candidato in Regione e avessi ripreso a fare il dirigente politico nazionale, dopo gli anni al Comune.
In un recente incontro pubblico, l’ex Guardasigilli e attuale coordinatore del Pdl campano, Nitto Palma, ha detto che lei «sarebbe un buon sindaco, gli manderei la tessera di iscritto onorario del Pdl, in cui lo vedrei bene». Come ha preso queste parole?
Come un atto di gentilezza, oltre che come una cosa impossibile. Sono e sarò sempre un uomo di sinistra, uno che non ha mai demonizzato Berlusconi, che ha collaborato con i governi di centrodestra sul piano istituzionale, che si è sempre preso lo sfizio di vincere contro il centrodestra, e che non ha mai dato a Berlusconi lo sfizio di vincere.
Ora la Regione Campania è guidata dal Pdl. Qual è il suo giudizio sul suo successore, Stefano Caldoro?
Mi auguro un impegno molto più forte sull’uso dei fondi europei e sul terreno dello sviluppo. Molte cose sono ferme, anche per i forti contrasti interni al centro-destra. Sembra di capire che spesso il
clima è da separati che vivono nella stessa casa.
Il Governo Monti sta vivendo un momento delicatissimo. Come giudica questa stagione dei tecnici?
Penso che le prime difficoltà di Monti siano cominciate proprio sul terreno che gli doveva essere più congeniale, quello delle liberalizzazioni. È un singolare paradosso, tipico però di un paese come il nostro, così refrattario ai cambiamenti. Il governo è ora ad un bivio. Dieci mesi da qui al 2013 sono pochi per poter fare le riforme profonde di cui il paese ha davvero bisogno. Ma sono molti se invece si fanno scelte contraddittorie o perfino incredibili come la stupefacente vicenda degli esodati. Bisognerebbe scrivere ora, prima dell’estate, una agenda politica condivisa per i prossimi mesi e puntare molto su una necessaria ripresa degli investimenti e su una nuova legge elettorale perché se si andasse al voto con il Porcellum si potrebbe avere un vero e proprio default democratico.
Capitolo Pd. Il partito farà le primarie per la scelta del candidato premier. Qual è lo stato di salute del partito oggi, secondo lei? Al posto di Bersani, lei cosa farebbe per allargare il consenso verso il
partito?
Nell’insieme e tenendo conto dei tempi davvero difficili, Bersani sta facendo bene e merita di essere aiutato e incoraggiato. La sua proposta di primarie aperte rimette in moto la situazione ed obbliga ognuno ad uscire dagli schemi prefissati. Preciso che non ho alcuna responsabilità di direzione politica e nessun incarico operativo e non me ne lamento. Cerco di dare un qualche contributo sul terreno della riflessione politico-culturale.
I partiti sono stati messi in difficoltà dall’exploit del Movimento Cinque Stelle. Che opinione se ne è fatto? Come giudica l’ondata di antipolitica, nelle sue diverse manifestazioni, che attraversa il
Paese?
Grillo e il Movimento 5 stelle coprono in Italia il terreno che altrove è coperto dai movimenti estremisti di destra o da posizioni estremistiche di sinistra molto tradizionali. È sbagliato leggere tutto con la lente dell’antipolitica. Dietro i 5 stelle e dietro la crescente ed enorme area dell’astensionismo ci sono domande e contraddizioni alle quali i partiti e le istituzioni non riescono a dare risposte capaci almeno di creare un terreno di dialogo. Attenzione, il distacco tra politica e vita reale rischia di diventare frattura difficile da risanare. Non sono risposte serie né il vade retro Satana né le strizzatine d’occhio. È nel rinnovamento del modo di fare politica e nell’apertura alle donne e ai giovani l’unica strada seria per ridare credibilità alla politica e ai partiti.
Si parla di un suo ritorno in politica, con le elezioni del prossimo anno.
Ma io non ho mai smesso di fare politica. La sto facendo, dopo tanti anni di responsabilità in prima persona ed in prima linea, in altri modi e cerco di mantenere dentro di me una curiosità culturale e
politica sulla realtà, il mondo, su ciò che si muove.