Alla fine è sempre una questione di Jene e di Belle Gioie. L’esistenza di queste due categorie tra i giornalisti al seguito della Nazionale fu teorizzata da Giovanni Arpino in Azzurro tenebra, il più bel libro italiano dedicato al calcio e anche uno dei libri più sinceri sui vizi e i vezzi del giornalismo sportivo italiano.
Azzurro tenebra, pubblicato nel 1977 e sciaguratamente non inserito nel Meridiano Mondadori dedicato ad Arpino, racconta in forma romanzata la spedizione azzurra ai Campionati del mondo in Germania del 1974. Le Jene, secondo Arpino, sono «i giornalisti perennemente in tensione per lanciare lo scandalo, lo spiraglio equivoco». Le Belle Gioie, invece, sono «i giornalisti fiduciosi, patriottici, pronti a dar la colpa agli avversari, all’arbitro, al cattivo tempo, alla malasorte, al demonio».
La Jena è sempre in agguato, quindi non ci si deve sorprendere più di tanto della domanda maliziosa fatta ad Antonio Cassano sui gay nel calcio. Altrettanto prevedibile è il biasimo da parte delle Belle Gioie. Film già visti. Nulla di nuovo sotto il sole. Logiche che si ripetono puntuali in ogni trasferta della Nazionale. Ricordate nel 1982, in Spagna, il silenzio stampa degli Azzurri dopo le insinuazioni su una presunta amicizia intima fra Paolo Rossi e Cabrini?
La polemica, piccola o grande, è sempre in agguato. D’altra parte bisogna anche un po’ capire come si svolge la vita degli inviati al seguito della Nazionale di calcio. Me resi conto nel 1994, quando viaggiai al seguito degli Azzurri durante i mondiali di calcio negli Stati Uniti. Una lunga trasferta, cominciata con la sconfitta contro l’Irlanda al Giant’s Stadium di New York e finita con il crollo ai rigori nella finale di Los Angeles contro il Brasile.
Noi giornalisti al seguito della Nazionale eravamo alloggiati in un albergo del New Jersey, a 40 minuti di pullman da Manhattan e a più breve distanza dal campo di allenamento dell’Italia. Ogni giorno, dopo colazione, tutti sul pullman verso il quartier generale italiano. Non ricordo se sul pullman, come sostiene Arpino, le Jene si concentravano negli ultimi posti, tuttavia la divisione fra Jene e belle Gioie era netta. Nella spedizione azzurra a Usa ’94 contribuiva ad esasperare la divisione fra i due schieramenti anche la presenza di Arrigo Sacchi, un CT con idee molto nette, uno che si amava o si odiava, senza vie di mezzo.
Le tensioni erano all’ordine del giorno. Una mattina,già nella sala della colazione dell’hotel, due inviati romani fra i più stagionati, con alle spalle molte edizioni dei mondiali, litigarono di brutto. Uno dei due si alzo di scatto, trascinò rumorosamente la sedia e andò a chiudersi in camera a tenere il broncio. Non avevano litigato per storie di donne, di soldi o di gelosie professionali. No, il battibecco era sul tipo di gioco voluto da Sacchi. Ed erano pure amici.
Ogni giorno, al campo di allenamento, si ripeteva il solito rituale. Un’occhiata ai giocatori sul campo, poi la conferenza stampa di Sacchi e di un giocatore a rotazione. Nessun’altra possibilità di contatto diretto con i giocatori. Così per oltre tre settimane. Routine, noia. La necessità di trovare ogni giorno uno spunto. Ricordo la domanda di una stremata telegiornalista, ormai a corto di domande, a Roberto Baggio: «Roberto, tu oggi che cosa ti chiederesti?». La riposta, nonostante tutto, fu educata, ma purtroppo non la ricordo.
La divisione fra le Jene e le Belle Gioie si palesava durante le conferenze stampa di Sacchi. Le domande spalmate di miele si alternavano con quelle condite di fiele. Spesso Sacchi rispondeva piccato. «Dalla sua domanda si capisce che lei non ha mai giocato a calcio», rispose una volta a una mia domanda, forse ingenua, ma non da Jena. «E infatti sto seduto qui e non lì», gli risposi.
L’ultimo scontro fra le Jene e le Belle Gioie esplose subito dopo la finale di Los Angeles. Clima di smobilitazione, tensione che si scioglieva dopo quasi un mese di trasferta, adrenalina a mille dopo una finale finita ai rigori con i giornali in Italia ormai in chiusura. Due giovani Jene, questa volta appostate davvero in fondo al pullman, fecero una pallina di carta e la lanciarono verso le prime file. La pallina colpì sulla testa proprio la più convinta e filosacchiana delle Belle Gioie. Era solo una innocua e leggera pallina di carta. Non fece alcun male. Ma l’oltraggio fu insostenibile per la Bella Gioia affranta. In un attimo il pullman risuonò di urla, insulti, minacce (“Vi spacco la faccia”). Per fortuna il giorno dopo si tornava tutti a casa.