Com’era nelle cose, la buona borghesia del calcio si è ribellata (nuovamente) alle parole di Zdenek Zeman. Il quale ha espresso un concetto di una linearità esemplare: chi è lungamente squalificato – il boemo pone il confine oltre i tre mesi – non dovrebbe allenare neppure durante la settimana. Altrimenti, questa è considerazione d’accompagno, sarebbe come non scontare la pena. Un’ipocrisia. Un modo per salvare le apparenze. La solita giustizia sportiva che non ha il coraggio di andare sino in fondo. Per la precisione, è utile sottolineare come sia proprio il regolamento disciplinare a consentire a Conte di allenare nel corso della settimana. Ma non di sedere in panchina il giorno della partita.
Tra le voci che si sono levate immediatamente a difesa del tempietto calciofilo, quella di Beppe Marotta era del tutto naturale e persino doverosa in un momento di così grande difficoltà. Ma per non limitarsi al banale e colpire di contraggenio, l’ad della Juventus ha immesso il veleno societario ch’era inevitabile, ricordando quel Lecce-Parma in cui negli ultimi dieci minuti di partita il tecnico boemo girò – schifato – la testa dall’altra parte subodorando odor di biscotto. Diciamo non proprio elegante, per non dire patetico, il Marotta. L’altra voce, forse più inaspettata, è stata quella del nostro confessore istituzionale, l’amor patrio fatto allenatore, il custode dei nostri valori calcistici, al secolo Cesare Prandelli. Il cittì della Nazionale ha deciso di abbandonare la sua condizione di terzietà istituzionale, che gli porrebbe l’obbligo del silenzio, per scendere in campo in favore di Conte e della Juventus. «La squalifica di dieci mesi è già abbastanza pesante, non si capisce perché un tecnico non dovrebbe allenare in settimana».
Cercando paralleli o similitudini in altri mestieri, non mi è riuscito di trovare situazioni che potrebbero richiamare alla mente questa ipocrisia sportiva. Prendiamo la professione di medico e proviamo a immaginare una condizione analoga: chi mai si farebbe visitare (allenare) da un dottore che è stato sospeso dal suo Ordine professionale per motivi assai poco lusinghieri? E lo stesso un avvocato: con quale fiducia un cliente potrebbe bussare alla porta di un legale (di fiducia?) per questioni che generalmente hanno a che fare con l’etica delle leggi, il rigore della legge, se il medesimo è stato sanzionato proprio sugli stessi argomenti? Come vedete, Prandelli è stato quantomeno improvvido a declinare con troppa precipitazione le sue pur legittime sensazioni.
Ma poi, al fondo della questione, si pone il problema dei problemi. Quanto può essere contento e soddisfatto un datore di lavoro nell’apprendere che uno dei suoi maggiori dirigenti è stato valutato come un professionista dalla dubbia moralità, esattamente quei temi della moralità che oggi sono sulla carne viva degli italiani? È del tutto meritorio che la Juventus difenda il suo dipendente sino all’ultimo grado di giudizio, ma se anche nell’ultimo grado di giudizio il signor Antonio Conte dovesse essere considerato colpevole, come si comporterebbe, di grazia, l’Fc. Juventus, risolverebbe il rapporto di lavoro per giusta causa?
Per ora solo domande. Ma a breve ci vorranno anche le risposte.